DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

martedì 30 ottobre 2007

Ancora su Vallanzasca: lasciate in pace i morti

Mi scrive Gabriella, postando un commento che ci tengo a pubblicare per esteso, nel caso in cui a qualcuno fosse sfuggito:

Sicuro che "Etica criminale",abbia ricostruito la verità ? Si tratta solo della verità di un assassino e nulla più. Si, chiamiamolo con il suo vero nome ASSASSINO...alis R.V.oops, dimenticavo, grazie a lui le mie figlie sono orfane, io sono vedova e lui, ad ogni intervista, orgogliosamente non si pente. Si vergogni lui e si vergogni chi gli da spazio.

Al suo commento, a strettissimo giro, ne segue un altro, molto più diretto:

La cosa brutta di questo paese è che c'è gente come te che idolatra personaggi inutili di cui un paese civile dovrebbe solo vergognarsi; esempi negativi che diventano miti, scrittori che diventano famosi per aver portato alla luci della ribalta gente che avrebbe dovuto solamente essere lanciata nell'immensità dell'oblio. Vallanzasca è solo un criminale, un assassino, uno che se avesse trovato tua sorella, tua madre tua zia sulla sua strada ad ostacolare i suoi biechi progetti non avrebbe esitato un solo istante a premere il grilletto di una delle tante pistole che sono state nella sua disponibilità.
Hai ragione, ciascuno di noi può pensarla come meglio crede, W la democrazia e lo stato liberale ma dopo aver scritto parole impregnate di cotanta cultura mi piacerebbe sapere se saresti stato in grado di esaltare questo " spregevole mito" se ci fosse stato tuo padre, tuo madre o tua sorella nella lista delle sue vittime.
La cosa che mi rammarica è che esistono tante persone, anche più colte di te, che la pensano come te, addirittura peggio, alcuni erano anche terroristi (forse lo sono ancora)....però VIVADDIO...siamo in democrazia!!!

Grazie per lo spazio

Il Postino

Le parole di Gabriella riaprono una questione delicatissima, nodale per chi fa il mio mestiere e si occupa di storia (nera) recente: il rispetto per le vittime.

A lungo mi interrogai sulla questione durante la stesura di CONFINE DI STATO. In definitiva, nel mio romanzo raccontavo la storia di una banda di assassini, doppiogiochisti e farabutti che hanno maltrattato il nostro paese alle spalle degli innocenti. A lungo mi chiesi se fossi sufficiente rendere i colpevoli il più colpevoli possibile per placare in qualche modo il bisogno di giustizia dei parenti delle vittime uccise dalla bomba di Piazza Fontana.

Non mi seppi rispondere e non mi so rispondere ancora oggi.

Di sicuro non mi sono mai pentito di aver fatto iniziare il mio romanzo con i ricordi dei sopravvissuti.

Con le parole di fratelli, sorelle, madri e figli di coloro che pagarono il prezzo più alto per il folle sogno di alcuni delinquenti ammantati d’idealismo.

Nel caso di Piazza Fontana queste persone non hanno uno Sterling con cui prendersela. Per lo Stato Italiano nessuno è colpevole. E questa gente si è anche vista imputare le spese processuali nel maggio del 2005.

Diverso è il caso di Gabriella.

Renato Vallanzasca, condannato a quattro ergastoli, prima di finire dietro le sbarre si è lasciato appresso una scia di sangue. Molti sono rimasti sul selciato per mano sua e dei suoi.

Io non so chi di voi lettori abbia perso una persona cara.

Io, a diciotto anni, persi mio padre. Lo persi in modo assurdo e violento. Una caduta da dodici metri se lo portò via in pochi minuti.

Se vivete in una piccola città saprete come una morte improvvisa diventi di colpo la storia del giorno.

Io e mio fratello ci trovammo, in questura, assediati dai giornalisti locali (forse assediati è una parola eccessiva. Un paio di scribacchini ci ronzarono intorno). Rifiutammo di lasciar dichiarazioni.

Nei giorni successivi su mio padre si scrisse molto. Ed è fisiologico che qualche imprecisione si annidasse negli articoli. Fisiologico: anche adesso che nono sono più così misconosciuto come lo era mio padre allora, ho letto su di me cose straordinarie (tipo che sarei salernitano o che di nome farei Alessandro…).

Be’, signori miei, quelle imprecisioni (cose banali: tipo la professione o le circostanze dell’accaduto) mi fecero male all’epoca. Mi diedero fastidio. Ci rimuginai per giorni.

Posso solo immaginare cosa voglia dire per chi ha perso qualcuno per mano di un delinquente sentirsi raccontare la storia dell’assassino invece che quella della vittima.

E magari sentire parlare dell’assassino come di una rockstar.

Sulla stessa questione, da anni, martellano il figlio di Calabresi (leggete il suo libro) e gli eredi di Moro: smettetela di parlare di come sono morti i nostri padri. Iniziate a parlare di com’erano in vita.

Tutto legittimo e sacrosanto.

Però. Un però rimane, volenti o nolenti…

Se si sceglie di scrivere del malaffare di questo paese, e si sceglie di farlo usando un doppiofondo storico, non si può prescindere dai cattivi, ma soprattutto dall’immagine dei cattivi che ha attraversato gli anni per arrivare fino a qui.

Lungi da me mettermi in cattedra. Io nemmeno ero nato quando il marito di Gabriella perì per mano di Renato e dei suoi. Però non si può ignorare quello che è successo intorno alla figura di Vallanzasca.

Non si può, specialmente se si scrive crime novel, specialmente se si raccontano i Settanta.

Non per la feticistica (e squallida) archeologia del mito del “Bandito dagli occhi di ghiaccio”, bensì per arrivare a comprendere quale fu il folle meccanismo che spettacolarizzò la morte. Che trasformò un criminale in un personaggio da romanzo.

Lo scrissi nel post precedente, lo ribadisco ora. L’informazione, in questo paese, non è mai stata un granchè. Ma è piuttosto imbarazzante pensare all’ingenuità con cui i pennivendoli trasformarono Vallanzasca in divo mediatico.

Se si scende nei meandri di questo meccanismo perverso (lo stesso che trasformò il caso Montesi in un evento da ribalta e lo stesso che ancora oggi ha mutato il caso Cogne in una soap opera di quart’ordine) si conosce un pezzetto in più del marcio di questo paese. Se si riesce a spiegare un’assurdità come questa ai propri figli grazie alle pagine di un libro, allora credo che valga la pena di scriverli ancora, quei libri.

Io credo che Polidoro abbia dato un contributo in questo senso. Le ore passate in emeroteca trasudano dalla pagina.

Nel mestiere di crime novelist il rischio dell’indelicatezza nei confronti di chi non c’è più è sempre in agguato.

Grazie a Dio, la vita di uno scrittore non finisce nelle pagine dei propri romanzi. Grazie a Dio ci sono spazi dove rendere conto del proprio mestiere.

Sembra che faccia l’apologia del libro di Massimo, e invece parlo di me (Massimo non ha bisogno di essere difeso. Si sa difendere benissimo da solo).

L’avrete capito, in Settanta si parlerà (tra le altre cose) della Milano criminale. Ed è impossibile raccontare quel periodo senza parlare dell’ambiente in cui crebbero Vallanzasca e Turatello.

Io in questo paese, nonostante tutto, ci credo ancora. E credo che valga la pena di parlare di tutto il putrido che c’è stato per evitare di non riconoscerlo nel caso ci ricapitasse sotto il naso.

Non credo che l’oblio sia la strada giusta per lasciarsi le cose alle spalle.

Però, si sa, a parlare di certe cose si rischia di essere fraintesi, di fare grossolani errori o di parlare a sproposito.

E talvolta qualcuno può ritenersi offeso dalle tue parole.

Per quel che può contare, io sarò sempre qua, pronto a render conto di ciò che scrivo.

lunedì 29 ottobre 2007

Su Novamagazine si parla di UWS


United We Stand, benchè ancora in fase preparatoria, è già oggetto di interesse da parte della stampa. Novamag dedica alla graphic novel nascente un pezzo: lo trovate qui.
La firma è quella dell'ottimo Massimiliano Di Giorgio.

domenica 28 ottobre 2007

Segnalazioni, recensioni e Free Press


In realtà tutto è successo qualche giorno fa, e questo post arriva in vergognoso ritardo.
A parziale giustificazione posso dire che sono stati giorni veramente folli di planning, riscritture e trasferte: UWS ha finalmente delle coordinate di sviluppo spaziotemporale, Settanta sta per ricevere una forma pressochè definitiva (no, non è finito. E' a malapena iniziato, ma forse ho finalmente capito dove voglio arrivare) e un terzo progetto di cui per ora non faccio nemmeno il nome (dannata scaramanzia...) sta per partire.
Aggiungete a tutto questo un paio di trasferete familiari piuttosto pressanti, ed ecco che il Sarassone si dimentica di quello che succede intorno a lui.
La prima notizia è l'arrivo in libreria di SATISFICTION, il Free Press culturale di Gian Paolo Serino. 48 pagine formato tabloid, la rivista è molto molto cool. La particolarità che la rende diversa dai concorrenti (oltre al fatto di essere completamente gratuita, che non mi pare poco) sono le Recensioni soddisfatti o rimborsati. La redazione consiglia dei libri. Voi li comprate e, se non vi sono piaciuti, vi rendono i soldi.
Giuro, Serino è matto e ve li rende davvero. Grande onestà intellettuale.
Mica male...
Nel giornale trovate anche un pezzo del sottoscritto. Un pezzo sul perchè un buon serial tv sia meglio di un cattivo libro. Ricorda qualcosa?
La seconda notizia importante è che lo storico sito StradaNove, una delle voci più attente (e vetrioliche) del panorama culturale italiano ha recensito CONFINE DI STATO. Il pezzo, fin troppo lusinghiero, lo trovate qui.
Sempre in tema CONFINE DI STATO, segnalo la citazione del mio libello sul blog diFrancesco Denti, senior-writer producer per mamma Fox, imperatore della comunicazione e acutissimo saggista (se riuscite, recuperate il suo "Teen Idols. Da James Dean a Leonardo DiCaprio, gli dei pagani del secolo XX". Semplicemente geniale).
Grande onore, thanks a lot.
Last but not least, la recensione di CONFINE sul Gazzettino (risale al 9 ottobre)
Per ora è tutto e scusatemi per il posticipo di segnalazione (sarà l'ora legale...)

sabato 27 ottobre 2007

Renato blogger e gli animi infiammati


Ho guardato con una certa curiosità alla diatriba che ha scatenato la notizia del debutto online del quadriergastolano Vallanzasca Renato, da quasi quarant’anni ospite delle patrie galere.

Senza voler entrare nel merito della discussione sviluppatasi nei commenti (da queste parti ognuno è libero di dire la propria) ci terrei a precisare perché Vallanzasca è diventato, nel corso degli anni, materia d’interesse quasi feticistico per il sottoscritto.

Se si scrive crime novel a sfondo storico, rimestando nella palta dei misteri de noantri, il tipo di cattivo a cui ci si trova davanti corrisponde a un numero molto limitato d’esemplari: il violento alla Brusca o alla Provenzano, ferino nella sua crudeltà; il violento sognatore (o idealista) – e qui, si noti bene, parlo ancora del movimento extraparlamentare, sia rosso che nero, prima del passaggio alla lotta armata -; e infine l’uomo nero. Quello che non puoi inquadrare. Perché, come nel peggior film di spionaggi di serie Z (questo erano le porcate dell’intelligence degli anni Sessanta-Settanta), il suo operato è coperto da Segreto di Stato. E qui ti tocca immaginare (così nacque Sterling).

Insomma, anche scandagliando la storia recente per costruire della fiction di qualità, il nostro paese non offre granchè. O forse è colpa solo della nostra epica, della nostra limitata capacità mitopoietica, che il male è folle e insensato ovunque, che solo gli americani (o i giapponesi) riescono a costruirci sopra mondi ammalianti.

In questo pattume, la figura di Renato Vallanzasca stravolge ogni tipo d’archetipo.

Non sto parlando né dell’uomo né del criminale, ma dell’oggetto mediatico.

Le imprese di Vallanzasca non sono molto diverse da quelle di dozzine di criminali comuni suoi coetanei.

La vita di quest’uomo, cresciuto ai margini ma nemmeno troppo, non è di certo materia da romanzo.

Ma il Vallanzasca creato dalla carta stampata, il “Bandito dagli occhi di ghiaccio”, il “Bel René”, questo sì che è interessante.

È l’immagine stessa di un’estetica grossolana e spietata che la fece da padrona per tutto il decennio: se in America avevano Bronson, noi avevamo Maurizio Merli. E proprio il caso Vallanzasca rende l’idea di come un bandito possa trasformarsi in un’icona nel giro di tre o quattro editoriali.

Renato stesso ha contribuito ad alimentare il mito. Io credo che all’epoca amasse pensare a se stesso come un divo del cinema.

Certi atteggiamenti vennero esasperati nel prosieguo della sua carriera, ma tutto e sempre in funzione di quell’immagine mediatica che i giornalisti (i pennivendoli, direbbe Renato) regalarono al grande pubblico.

Con tutti i giustificativi del caso, non si parla più della stampa tontarella dell’epoca del caso Montesi. Negli anni Settanta l’Italia era un paese moderno, con un’economia in costante crescita e una maturità editoriale invidiabile (pensate a cos’era la stampa spagnola nel 1975, all’indomani della fine del franchismo).

Eppure…

Eppure è italianissimo il gusto per l’eccessivo, lo smodato.

E’ italianissimo il gusto per il romanzo d’appendice.

Questo tipo di processo mi ha reso molto interessato alla figura di Renato. La sua carriera da divo del cinema fake. Il suo rispecchiare l’Italietta che lo volle mito (pensate alle migliaia di donne che gli spedivano missive d’amore in carcere).

E devo dire che il libro di Massimo Polidoro ha aperto orizzonti d’indagine in tal senso impensabili anche solo dieci anni fa. Su Renato esistevano, lo dissi anche qualche post fa, solo il libro di Bonini, il volumetto dell’Arceri e un capitolo nel saggio di Fasanotti e Gandus.

Poca roba. Intrigante, vero. Ma datata. Quei libri cercavano l’uomo. O magari il criminale.

E ingeneravano dibattiti simili a quello a cui abbiamo assistito su questo blog. Sì, perché se si esclude la dimensione mediatica di Vallanzasca, restano solo l’essere umano e il bandito. E se si sceglie di trovarne simpatico uno dei due ci si mette nei guai. È una palese contraddizione in termini

Renato Vallanzasca è simpatico. Lo si evince dalla sua penna.

Renato Vallanzasca è, al contempo, un assassino. Un pluriergastolano.

E trovar simpatico un ergastolano, ne converrete, è un bel problema.

Ma torniamo a Polidoro: ciò che Massimo ha fatto, nel suo splendido libro, è trascorrere un sacco di tempo in emeroteca. Ha riportato alla luce il Vallanzasca che la stampa costruì ad uso e consumo dei propri lettori.

Certo, ha parlato anche dell’uomo e delle persone che si è circondato. E pure del malfattore.

Ma credo che il recupero del Vallanzasca dei giornali sia il picco più alto dell’opera di Massimo.

Il suo studio ha ridato vigore ai miei.

Ecco perché mi sento di consigliarlo, soprattutto a coloro che hanno curiosità di conoscere la faccia tronfia e troppo truccata – da starlet – dei Settanta.

giovedì 25 ottobre 2007

Forse non tutti sanno che...



Anche Vallanzasca ha un blog (www.renatovallanzasca.com).
Esatto, Renato Vallanzasca (del quale, tra l'altro, nei prossimi mesi parleremo aprofonditamente...), a.k.a. Il bandito dagli occhi di ghiaccio, a.k.a. Il bel René, ecc. ecc.
Beh, che fate ancora qui? Correte a darci un'occhiata.
E, se l'argomento vi appassiona, leggetevi lo strepitoso ETICA CRIMINALE di Massimo Polidoro sulla vita e le opere di Renato.
Che ve lo dico a fare?

mercoledì 24 ottobre 2007

United We Stand in avvicinamento: prime info


Prometto da giorni di accennare qualcosa su United We Stand (da qui in poi UWS) ma poi finisco sempre per scantonare. Credo dipenda dall'inconscio desiderio di non dirvi troppo, che se no la sorpresa vi si guasta.
Tuttavia, qualcosa bisogna pur dirlo, vuoi perchè tra un mese, un mese e mezzo circa UWS vi piomperà sui denti come il martello di Thor (oddio, forse ho esagerto con l'enfasi...), vuoi perchè si tratterà di una forma di entertainment totalmente nuova, che merita un paio di righe per essere introdotta.
UWS è una graphic novel, su questo non ci piove. Scritta dal qui presente e disegnata dal sommo Maestro Daniele Rudoni (per chi non lo conoscesse, date un'occhiata ai suoi ultimi lavori per casa Marvel). E come tale avrà un'esistenza cartacea e una linearità evolutiva.
Il volume a fumetti (a uscita presumibilmente trimestrale), tuttavia, non sarà l'unica linea di sviluppo narrativo dell'universo di UWS. Tra un'uscita e l'altra seguirete l'evolversi della vicenda sul sito www.unitedwestand.it, attualmente in costruzione (costruzione affidata alle sapienti mani del professor Vladi Finotto e al dottor Antonio Picerni della Venice International University). Altre due testate saranno ospitate sulla piattaforma elettronica. Due testate a uscita presumibilmente bisettimanale (perdonate l'abuso dei presumibilmente, stiamo stilando in questi giorni il planning annuale dell'opera) che indagheranno l'universo di UWS tramite racconti di approfondimento, avvicinamento e assestamento, report, intercettazioni, e altri gioiellini testuali. Il tutto coadiuvato da una biblioteca di immagini in continuo aggiornamento.
L'intero pacchetto, oltre ad assomigliare in tutto e per tutto a un american comic (scansioni simili ce l'hanno avute, in passato, long stories come reign of Supermen, successivo alla morte dellUomo d'acciaio in casa DC, o il recente crossover Civil War targato Marvel: un'unica lunga unità narrativa ripartita tra quattro o più testate mensili) ha il vantaggio di essere interamente autoprodotto. Un autentico figlio della rete, senza alcuna mediazione editoriale.
Il cartaceo verrà editato con Lulu, l'editore online on demand. La parte internet verrà sviluppata tramite fantastiche tecnologie web 2.0 come Deviantart o Wordpress (sì, ci sarà anche un blog di UWS, molto diverso da questo. Più simile a un diario di bordo.)
L'estrema propensione del progetto verso il pubblico avrà il suo culmine, una volta che il mondo di UWS sarà in rete da un po' e avrà sedotto i lettori, in una branchia del sito molto simile al livello 2 dello spazio web di Manituana dei Wu Ming. In parole povere, chi lo vorrà, potrà contribuire a creare il mondo di UWS. Ad espandere la storia, a segnare nuove piste nella continuity della graphic novel. Le opzioni paiono molto interessanti data la duplice natura visivo testuale dell'opera.
Detto questo, vi ho detto molto, ma in pratica non vi ho detto nulla.
Che era esattamente quello che mi ero ripromesso.
A chi il titolo United We Stand ricordasse qualcosa, clicchi pure qui e si senta libero di immaginare la nostra creatura come figlia illegittima di quella degli 01.
Chi invece volesse provare a immaginare qualcosa sulla nostra storia, si vada a dare un'occhiatina al video che tempo fa postai su questo blog.
Per ora è tutto. Seguiranno, ça va sans dire, aggiornamenti.

martedì 23 ottobre 2007

L'abbondante di sinistra vs la nicciana calligrafa erotica: ultimo atto di una querelle da due soldi

La graziosa diatriba telematica che si propaga con gusto tra questo sito e la Rivista culturale delle edizioni di Ar si colorisce via via di toni helzapoppiani.
La signora (mi dicono sposata e madre di famiglia: l'avreste detto?) Valerio si è presa la briga di rispondere al mio ultimo post inveendo acida contro il sottoscritto e "la sinistra rosea dei sospiri".
Mi imputa di prestare poca attenzione ai suoi scritti nicciani e di soffermarmi "lubrico" sulla sua "calligrafia erotica".
Prima sudato, poi lubrico! Ma signora mia, come glielo devo dire che, seppur in questi anni non ho esattamente trattato il mio corpo come un tempio, faccio il possibile per mantermi decoroso, persino nell'intimità della magione, di fronte alla tastiera (uso Dove, riduce la traspirazione).
Ma veniamo, vi prego a un breve estratto della "calligrafia" della signora Valerio:
“Il dito della fanciulla schiuse l’occhiello delle mutandine, e fece trapelare l’asola di Venere…”
A signo', la mia prosa sarà pure sghemba, ma la sua (oh, mi scusi. La riga di cui sopra non è sua, è della camerata Oselladori)...
Che bisogno c'è, dico io, di giustificarsi, di tirare in ballo Nietzsche e le dietrologie su Piazza Fontana? Se le va di trastullarsi coll'erotico, signora mia, si trastulli pure... E' un'occupazione dignitosa (e più redditizia di degli studi nicciani, va là...)
Ora, le prometto solennemente che farò in modo di recuperare i preziosi testi di Ar su Piazza Fontana e dintorni. Li leggerò con attenzione ma credo che difficilmente illumineranno di rinnovata sapienza il quadro storico che mi sono fatto.
Come a dire, signora mia, possiamo pure pungolarci con battutine al vetriolo sui reciproci aspetti o inclinazioni autoriali, ma la Storia è la Storia.
L'estremismo armato di destra non è un'invenzione da giallista da strapazzo. L'accusa di ricostituzione del Partito Fascista non è una multa per sosta vietata.
Il Paese sanguina ancora per le ferite inferte dai neri dei Settanta.
La gente con cui si accompagna, signora mia, con cui immagino si trovi la sera a discutere dello "scetticismo della
kalokagathìa", quarant'anni fa preferiva il manganello a Nietzsche. Si faccia un giro in emeroteca, vedrà che qualche bella foto di Freda in tenuta da guerra si trova senz'altro.
Questo è ancora un paese libero, per carità, esca con chi le pare; ma mi perdonerà se al momento trovo più proficuo (nonostante la laurea in filosofia) occuparmi di quello che questa gente ha fatto in passato piuttosto che dei suoi studi sull'Anticristo.
Che, casomai un ragazzo di vent'anni leggesse il mio romanzo, gli fosse ben chiaro da subito con chi è preferibile uscire la sera.

Piesse: dal numero di visite sul blog ho imparato una cosa. Se si vuole sfondare il muro dei cento tocca compiere gli anni o accapigliarsi coi fascisti...

Quasi mi scordavo: oggi compio 29 anni


Non sono trenta e non sono più ventotto. A momenti mi scordavo.
Capita sempre così: nella settimana del mio compleanno cerco disperatamente di ricordarmi il giorno e poi BAM! Mi passa di mente.
Meno male che ci hanno pensato mia moglie e mia madre a farmi fare mente locale (sms, telefonate, "come stai?"; "un po' più vecchio, vagamente febbrile. Non male, insomma.").
E poi è arrivato anche il regalo. Molto gradito perchè inaspettato.
Ho scoperto navigando alla cieca di essere finalista al Premio De Lollis. Have a look, please.
Dicevo della sorpresa: enorme, dal momento che non sapevo nemmeno di concorrere.
E' meraviglioso!
Tanti auguri a me...

lunedì 22 ottobre 2007

I misteri degli "occhi che sanno": la destra non è più quella di una volta, signora mia

Delle volte a fare il mestiere che faccio s’impara qualcosa. Cose più vistose quando si è agli inizi, sottili verità nel prosieguo degli studi.

Per esempio, mentre mi documentavo su Piazza Fontana, recuperai materiale sull’estremismo di destra e più di una volta incappai nel nome di Franco Freda. I più attenti tra voi conosceranno le gesta di questo signore, attualmente libero ma a suo tempo processato per i fatti del 12 dicembre 1969, confinato insieme al camerata Ventura all’Isola del Giglio (sull’episodio ho pure scritto un racconto), condannato a quindici anni di carcere per associazione eversiva e successivamente (dopo che, nel 2000, il Consiglio dei ministri sciolse il suo Fronte Nazionale) per ricostituzione del partito fascista.

Se si scava nella vita di Freda si scopre il rovescio della medaglia della sua militanza politica: fu senz’altro un uomo d’azione, ma non limitò il proprio impegno alle mazzate. Fu (ed è tutt’ora) un cultore della parola.

Nel 1963 fondò una casa editrice, le Edizioni di Ar, che pochi mesi fa hanno festeggiato il quarantaquattresimo compleanno.

Editò Evola e diversi studi evoliani, e nel 1969 diede alle stampe La disintegrazione del sistema, vero e proprio best seller dell’epoca. Nessun veterofascista, picchiatore nero o dirigente missino poteva fare a meno della propria copia.

Però, si sa, il mercato editoriale è una brutta bestia, e per far sopravvivere un’azienda per quarant’anni un best seller non è sufficiente.

Per cui, dagli con le ristampe di Mastro Julius, la rivista economica Antibancor, la collana Paganitas (testi ermetico-sapienziali contemporanei e non), le pubblicazioni dedicate alla propaganda (Il tempo e l’epoca dei fascismi).

Però anche così non è che gli affari s’impennassero.

Già il libro è un prodotto di nicchia nel nostro Paese; se ci aggiungi connotazioni politiche che hanno a che fare con un partito dichiarato illegale cinquant’anni fa non è che hai proprio strappato il biglietto vincente alla lotteria del marketing.

Ecco perché, stanco della magra libraria, Freda ha tirato fuori dal cilindro un classicone che qualche copia te la fa vendere sicuro: il caro vecchio binomio Sesso & carnazza di skiantosiana memoria.

È dunque nata, pochi anni or sono, la collana Le librette di controra.

L’ANSA battè un comunicato in occasione del memorabile lancio: Le Edizioni di Ar, di Franco Freda,
hanno appena inaugurato, con la pubblicazione di una trilogia di
Fiammetta Oselladori, una nuova collezione editoriale, 'Le librette di controra', dedicata alla letteratura erotica. L'iniziativa intende rappresentare i toni e i modi dell'eros di destra.

Lo so, so cosa state rimuginando, malelingue che non siete altro.

Ma vi sbagliate: niente libri da sporcaccioni alla Melissa P.

Anzi.

Tra le Librette ci sono titoli di tutto rispetto.

Come il didascalico Contro la P. Melissa. Elogio e invettiva o la raffinata trilogia di Fiammetta Oselladori (nom de plume di una pudicissima giovane destrorsa) I cinque sensi o le cinque forme del piacere.

Gran favore di pubblico e critica e grandi plausi alla giovanissima (classe ’79) direttrice di collana, tale Anna K. Valerio (nella foto).

Fin qui tutto bene. Ma, direte voi, “a Simò! Ma che cce frega a nnoi de li romanzetti porno de li fascisti?

Domanda legittima.

Questa lunga introduzione non serviva a promuovere il prodotto, bensì a dare un minimo di informazioni riguardo all’ultimo (in ordine cronologico) recensore di CONFINE DI STATO.

Anna K. Valerio in persona si è presa la briga di dire due parole sul mio libello. E lo ha fatto dalle pagine di Cultrura, rubrica telematica delle Edizioni di Ar.

Il pezzo s’intitola I misteri degli "occhi che sanno" e lo trovate qui. Non lo incollo di seguito per non far ingrassare a dismisura il post. Chi ne ha voglia, gli dia pure un’occhiata.

Non scenderò nei particolari della disanima, dal momento che la libertà d’espressione è uno dei diritti costituzionali a cui sono più legato. E ognuno è libero di mandare il mio libro a quel paese se gli va.

Visto che la letteratura è cosa pubblica e CONFINE abita sugli scaffali delle librerie di mezza Italia.

Però, leggendo le righe di Anna (mi perdonerà se ardisco a chiamarla per nome), qualche perplessità m’è rimasta. E ci terrei che mi desse una mano a chiarirmi i dubbi.

In primis vorrei ringraziarla per avermi dato del “ragazzetto”. A noi mammiferi sopra il quintale raramente si riservano epiteti sì vezzosi.

Ma entriamo nel vivo della recensione: Anna scende subito nel particolare analizzando con acribia la mia scrittura: “è giunto alla prosa di un romanzo (edito da Marsilio) sapendo di scontento e sudore, di una esistenza delusa, come uno schiavo rabido.”

Ammazza, mi son detto. Vorrei rassicurare i miei lettori sulla mia presunta sudorazione di fronte alla tastiera del computer: a parte qualche paragrafo stilato nella torrida estate del 2005, che mi portò a terger la fronte un paio di volte in più del dovuto, giuro su ciò che ho di più caro che non è poi così faticoso il mestiere dello scribacchino. Persino il problema del transitorio dolore oculare da sovraesposizione allo schermo è stato da tempo risolto dall’avvento dei monitor LCD. E col mio Samsung da 20 pollici non corro rischi.

Vi prego inoltre di non immaginarmi poi così rabido qualora la pagina appena redatta non mi soddisfi appieno.

Sono un uomo pacioso: i miei familiari (e la gatta Matilda) potranno confermarvelo in ogni momento (anche per iscritto).

È capitato che non fossi di ottimo umore quando il governo Prodi fece l’indulto, o quando, anni addietro, quel signore basso basso vinse le elezioni. Ma al massimo avrò mandato affanculo il televisore. Niente di eclatante.

Anna s’imbroglia invece quando parla della mia indignazione. Quella che ho provato scrivendo CONFINE.

Un’indignazione dopolavoristica, a sentir lei.

Personalmente, associo il “dopolavoro” a un concetto di tranquilla superficialità, di rilassata pace col mondo, di serena (magari un po’ vacua, ma che male c’è? È il bello dell’aver finito di lavorare…) rilassatezza.

Be’, quello che provai nel periodo in cui studiai i fatti di Piazza Fontana, in cui lessi le testimonianze dei famigliari delle vittime, in cui ebbi la fortuna di parlare con qualcuno di loro, non aveva niente di dopolavoristico.

Ero incazzato sul serio a quel tempo. E siccome, secondo lo Stato Italiano, nessuno è colpevole per i fatti del 12 dicembre 1969 – non lo è Freda, non lo è Ventura. E questi due signori – nonostante le testimonianze di Fabris e Siciliano, che li dicono parte integrante del meccanismo di morte e che sono state riconosciute attendibili dagli inquirenti nel 1990 – non possono più essere condannati per il fatto perché prosciolti da ogni accusa nel 1985 – ho dovuto creare Sterling per avere qualcuno con cui prendermela.

Nonostante tutto, l’incazzatura è ancora prepotente.

Ma forse le parole di Anna sono frutto di un equivoco.

Come lei stessa ammette, di CONFINE DI STATO non ha letto che poche righe. Righe che, peraltro, non appartengono al romanzo, ma allo spin-off LA LEGGE DEI FESSI.

Forse questo senso di disagio che le comunica la mia scrittura c’entra col titolo dell’opera.

Eh sì, signori miei, perché Anna dirige una collana in cui vengono annoverati capolavori del calibro di La cosacca del barone von Ungern, L’oscura meraviglia e Sclip. La prigione del vizio.

E il mio racconto, con quel titolino banalotto fa una magra figura là in mezzo.

Per cui è deciso, d’ora in poi la short story sul blocco del porto dell’Isola del Giglio del 1976 si chiamerà LA LEGGE DELLA FESSA.

Chissà che mi riesca di rientrare nelle grazie della sofisticata signorina Valerio.

Blog in pausa: il conducente ha la febbre


Giusto ieri parlavo con un amico conosciuto su anobii di questo blog.
Mario (così si chiama l'amico) si complimentava dicendomi che Confinedistato.com non è il solito spazio autoriale (sostitutivo dello psicanalista) ove maestri della penna descrivono per filo e per segno le proprie entusiasmanti esistenze bohémien.
Io gongolavo e rispondevo all'apice della saggezza: "onestamente, credo che ai miei lettori interessi di più della nuova legge truffa sull'editoria che della mia temperatura corporea".
Non sono passate nemmeno ventiquattrore da quando ho scritto questa mail.
E di cosa parla il primo post che scrivo da giorni?
Indovinato (non che il titolo fosse così criptico): ho la febbre, mannaggia la pupazza!
A dire il vero ce l'ho da venerdì, anche se ho tentato d'ignorarla bombandomi di BRUFEN.
Ma stamane era lì pronta ad attendermi.
Febbre, naso chiuso, catarro, voce da bambina dell'Esorcista...
Voi direte: "Ecchissene?"
Sacrosanto.
E io non voglio nemmeno tirare in ballo precedenti illustri di pezzi simili (la Bignardi, l'anno scorso, nel periodo del Salone).
Questo post giusto per dirvi che potrebbe capitare di sentirsi un po' meno nei prossimi giorni.
In tutta questa faccenda c'è di buono che, mal testa permettendo, stando a letto tutto il giorno potrò sorbirmi una quantità mai vista di serie TV, film e libri che il lavoro frenetico di questi giorni mi ha fatto trascurare.
E renderne conto per voi appena sopraggiunta guarigione.
Già nel week end mi sono dato un po' da fare: Ocean's 13, Spiderman III, 300, Dexter e i primi quattro episodi della seconda serie di Heroes.
Questa cosa che continuo a nominare Heroes e non ne scrivo mai si appresta a diventare una barzelletta.
Ora prendo pubblicamente l'impegno: non appena la serie italiana finisce, faccio un pezzo come si deve (ho già il titolo pronto, ma non spiffero nulla, nemmeno sotto tortura).
Statemi bene (almeno voi).

venerdì 19 ottobre 2007

La "longa manus" dell'authority (i blog e la burocrazia parte due)


Non so perchè, ma quando i commenti sono così ben scritti, mi sembra riduttivo rispondere in quattro righe.
Per cui ci faccio un post.
Antonella e Okappa dipingono due scenari completamente diversi sulla proposta di legge che potrebbe rivoluzionare il mondo editoriale. La notizia stmane era in prima pagina su Repubblica.it, al momento è slittata parecchio in fondo.
Antonella sostanzialmente vede la questione come l'ennesima decisone presa da chi comanda senza interpellare l'utente finale. In stile governo despota o terribile golosissima multinazionale.
Okappa ribatte che, nonostante la grancassa che la notizia ha generato per la rete, la proposta di legge deve ancora passare indenne attraverso il Parlamento per entrare in vigore.
E che comunque i blog non vedrebbero lesa la loro indipendenza anche in caso di repentina entrata in vigore del provvedimento.
Siccome la proposta è visionabile da chiunque (qui), mi sono preso la briga di analizzarla un po' più attentamente.
Le contraddizioni appaiono sin dai primi paragrafi:
dapprima si dice che prodotti audio e video sono esclusi dalla presente normativa (in quanto non prodotti editoriali). Trenta righe dopo ci si corregge. Si dice che gli audiovisivi sono prodotti editoriali "integrativi o collaterali" se escono in bundle con un prodotto editoriale.
A questi prodotti si applicano le modificazioni di normativa.
Cioè, non ti sbagliare a fare uscire un cofanetto LIBRO + DVD e promuoverlo con mezzi alternativi (vedi: Lulu.com), se no sono mazzate.
Mazzate nel senso che ti tocca compilar scartoffie, pagare un botto di tasse in più rispetto a quelle che si pagavano sino ad ora (e che rendevano lulu.com competitivo per quanto riguarda il selling al dettaglio, il print on demand.)
Inquietante è (ma che ci si indigna a fare? In questo Paese pare la prassi...) che nella riforma poco o nulla cambi per i finanziamenti pubblici ai giornali, specie quelli politicamente schierati:

Art 17 1. Sono concessi contributi diretti a favore di: (...) b) imprese editrici di quotidiani e periodici, anche su internet, che siano riconosciuti come propria espressione, anche per esplicita menzione riportata in testata, da forze politiche che, nell’anno di riferimento dei contributi, abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o almeno due rappresentanti eletti nelle proprie liste al Parlamento europeo.
Quindi, vediamo se ho capito bene:
se produco in proprio la mia cosa Audio Video o magari anche solo sulla cara vecchia carta stampata e lo vendo tramite internet divento automaticamente CASA EDITRICE e sono soggetto a tasse e burocrazia (ma soprattutto a tasse). Se lo produco con lulu.com il soggetto a tasse è lulu.com, che se la legge passa finirà per alzare i prezzi.
Se invece domattina mi sveglio e fondo una fanzine hard-core del PD, tra un annetto mi rimborsano fino al 60% (sic, andatevelo a vedere) di quello che ho speso per farla (chi controlla quanto ho speso? Lo dichiaro insieme ai reditti. Ottimo escamotage per non pagar le tasse su altri redditi cumulabili).
Se invece la pubblicazione la faccio a sfondo parafascista o veteroducesca, ci schiaffo su il logo di AN o della Mussolini e presento regolare domanda, i soldi me li cacciano subito, perchè i gruppi politici in questione hanno un rappresentante in Parlamento fin d'ora.

Dite che faccio male a sgobbare su UNITE WE STAND (a breve ne saprete di più, promesso)? A saperlo mi fondavo Il Giornale del Berlusca in Rete e dormivo lieto come un pascià.
Se avete tempo (e voglia, è un po' noiosa), spulciatela la legge, ci sono un sacco di sorpresine...

Tempi duri per i blogger: burocrazia in arrivo...


Se passa questa legge finisce che ci tocca riempire un sacco di cartaccia. E alla minima parola fuori posto saran dolori...
Cosa ancora più inquietante è l'estensione del concetto editoriale. Quasi si stesse prefigurando una reazione preventiva a rivoluzioni editoriali come quella di Lulu.
Magari sono troppo cospirazionista io...
Ad ogni modo, val la pena starci attenti.

mercoledì 17 ottobre 2007

Qualche problema in casa Google: sparizioni misteriose di commenti e post su Blogspot

E' successo tutto mentre ero offline.
Pare che il mio post sulle Secret Origins sia scomparso e ricomparso più volte, e alcuni dei commenti lasciati dal nostro affezionatissimo e super informato Mario Uccella siano stati ingurgitati a tradimento da blogspot.
A me sono arrivati via mail, ma non ne ve n'è più traccia sul blog.
misteri della rete.
Ad ogni modo, mi sembra doveroso postare l'immagine realizzata da Bolland per un numero di Secret Origins e "regalatami" da Mario.
Per le signore e signorine che non si districano con facilità nella continuity dei fumetti americani, una breve nota introduttiva: i cinque signori in doppiopetto e Borsalino che complattano in un bianco e nero d'annata sono, ça va sans dire, gli stessi della gigantografia che li sovrasta.
Semplicemente, sono in borghese.
Da sinistra a destra: Superman - Clark Kent, Flash - Barry Allen, Lanterna Verde - Hal Jordan, Jon Jonnz - Martian Manhunter, Bruce Wayne - Batman.
Una tra le cose più sfiziose dell'immagine è che il vero aspetto di Martian Manhunter è quello in verde, con mantello e splippino supereroistico.
Ho voluto postare l'immagine perchè, come dice Mario, mi pare riassuma un po' delle tematiche che si discutono da queste parti.
Ancora complimenti al dottor Uccella per la sua onniscenza.

Sarasso: Secret Origins su Booksblog.it


Lo so, ho detto che avrei scritto su Heroes. Lo farò presto. Vorrei prima che finisse la prima serie in Italia (è già finita? Avvisatemi, non la sto seguendo, l'ho vista in inglese mesi fa), di modo da non spoilerare indebitamente.
Nel frattempo, però, rimaniamo in ambito supereroistico con un tema assai caro ai comics-readers: le origini segrete. Dal Batman di Frank Miller al Carver Holden del recentissimo e geniale Sleepers ogni eroe che si rispetti ha avuto la sua occasione di raccontare com'è finito a fare ciò che fa.
Be', signori e signore. Quel momento è giunto anche per il vostro Sarassone.
Qui ci sono le mie origini segrete, raccontate in esclusiva a Manila di Booksblog.it.
Leggete avidamente ma non aspettatevi nessuna foto in calzamaglia e mantello.

martedì 16 ottobre 2007

Centoquattro: ammazza che record...


Scusate l'uscita vanagloriosa, ma questo blog non aveva mai registrato così tante visite in un giorno solo.
CENTOQUATTRO. E sono solo le undici meno venti. Capace che prima di mezzanotte si arrivi a 110.
Ora, lo so che ci sono i refresh, i ricorsivi, i curiosi e i disattenti (che tornano perchè si sono scordati).
Però permette l'emozione...
E permettemi di ringraziarvi per il vostro entusiasmo.
Con affetto,

S.

P.S.: l'immagine dite? Non ho trovato nulla di più appropriato (o di più sobrio). So sorry...

Democrazia o pallone? Cul de sac...

Io che di pallone so poco o nulla e che di politica avrei preferito parlare solo attraverso le pagine dei miei romanzi, ho finito per infilarmi in un discreto cul de sac.
Però, direbbe il saggio, "fijo mio bbello, se te le vai a cercà..."
Come dargli torto?
Partiamo dal pallone, così diamo subito saggia prova della mia incompetenza. Di mio sono granata da che mi ricordo, anche se in famiglia del calcio fregava poco o nulla a nessuno.
A parte mio nonno, che era juventino. E siccome mio nonno (il barbiere, lo stesso che mi ha insegnato le canzoni di Buscaglione. Chi si chiedesse di che parlo è pregato di dare un'occhiata al mio TURKEMAR. Che è gratis e in copyleft...) mi era molto ma molto simpatico, non sono cresciuto nella naturale dicotomia da derby.
Se vinceva la Juve ero felice perchè era felice il nonno.
Se vinceva il Toro saltavo di gioia e il nonno che doveva fare? Tenermi il muso? Finiva che, pure col fegato in subbuglio, un mezzo sorriso me lo regalava lo stesso. Dunque, pari e patta.
Per chiudere il quadretto schizofrenico nel quale si è formata la mia coscienza calcistica, mio padre a metà dell'infanzia ebbe la bella idea di regalarmi la maglia del Milan (scusa ufficiale: sulle bancarelle della fiera non c'era altro. Era arrivato troppo tardi).
Il Milan di allora era quello di Gullit e Van Basten, che con tutta la faziosità possibile era dura non entusiasmarsi se avevi dieci anni e a pallone ci giocavi tutti i giorni in cortile.
Oltre tutto, a essere sinceri, a calcio ero anche una discreta pippa, dunque quella maglia rossonera (rigorosamente in flanella. All'epoca i materiali dell'abbigliamento per bimbi eran quel che erano) era l'unico deterrente per avermi in squadra durante i sorteggi nei lunghi pomeriggi estivi.
Vedete ben voi che razza d'inguacchio.
Finita l'epoca del pallone e degli amichetti maschi, sopraggiunta l'età in cui il calcio era diventato un sport el'altra metà del cielo irrompeva brutale nelle nostre vite, il passatempo nazionale sparì per un bel pezzo dalla mia esistenza.
A parte le parentesi mondiali (lì anche la parte più snob del sottoscritto lascia spazio all'hooligan che c'è in me), non ho mai trascorso domeniche o mercoledì di fronte al televisore o allo stadio.
Quando ho iniziato a fare il mestiere che faccio, però, l'interesse per il calcio (specie quello vintage) ha invaso il mio campo di studi. Non si può pretendere di occuparsi della storia di questo paese prescindendo dalla più italiana delle passioni. Molto ho letto sul grande Toro e sulla Juve di Platini e soci. Ho rimescolato i miei primi ricordi alle immagini di repertorio dell'82, mi sono emozionato quando Facchetti se n'è andato, l'anno scorso: la sua carriera l'ho ripercorsa nei libri e tra i racconti della gente, mentre mi documentavo su Confine.
A tutt'oggi non sento l'esigenza di guardare una partita in tv, ma se mi capita per le mani un libro come LA FARFALLA GRANATA di Dalla Chiesa, è facile che lo divori in mezza giornata.
Amo troppo la storia d'Italia, e il pallone ne è parte integrante.
Discorso diverso per la politica.
Mai avuto in tasca tessere (a parte quella della CGIL. Orgoglioso tesserato da anni).
Mai sognato di votare a destra.
Vuoi per colpa della famiglia (nonno, sempre lui, partigiano e comunista. L'altro nonno socialista della prima ora. Grazie a Dio se ne andò nell'83 e non gli toccò assistere allo scempio di Bettino), vuoi per le passioni e le frequentazioni giovanili (le ragazze in gonna e tacchi alti, vai a sapere perchè, non mi son mai piaciute. E se tampini quelle con i jeans strappati, la kefiah e le camicie a quadri - flanella che ritorna prepotente in ogni fase cruciale della mia vita - prima o poi, come insegna Eco, finisci in un Kollettivo).
Per chi è della mia generazione la nascita di Forza Italia segnò il discrimine tra l'essere di sinistra e il non esserlo.
Il partito del Berlusca ci piombò addosso in un pomeriggio piovoso del '94. Seconda liceo: terra di nessuno. L'età in cui ti fai crescere i capelli e smetti di vestirti come piace a mammà.
L'età in cui le tue compagne di classe se la fanno già con quelli più grandi, e quelli più grandi sono solo di due tipi: fighetti o alternativi.
Sorrido alla vacuità delle distinzioni quindici anni dopo, e mi chiedo che mondo aspettarà i bimbi dell'asilo dove insegno, che di anni ne hanno cinque.
Ad ogni modo, a quei tempi là, la discesa in campo di quel signore basso basso spiegò a noi tutti cosa non volevamo essere. E fu diecimila volte più efficace dei discorsi dei padri e dei nonni sui fascisti.
E' quasi ridicolo dirlo, ma il discrimine iniziale fu estetico.
Quelli a modino che cercavano le bamboline senza cervello di là. E noi scafazzoni con Siddartha sotto braccio (per inciso, una palla mostruosa, ma se non lo leggevi avevi scarsissime possibilità di limonare) di qua.
A sinistra.
Penso all'ingenuità d'allora e sono sempre più convinto di quel che dissi riguardo al voto ai sedicenni: val la pena di aspettare un paio d'anni.
Ad ogni modo, partì tutto da lì. Marx e il commercio equo e solidale vennero dopo. Vennero dopo la riscoperta del mito partigiano e la condivisione dell'identià culturale. Arrivarono le scuole di partito per alcuni e i ripensamenti per altri (un vecchio compagno di allora rischiò di farsi prete e adesso è finito per fare il dirigente di cooperativa. Un altro dei Duri e Puri di allora sgobba sedici ore al giorno per una multinazionale giapponese e vota ancora Rifondazione).
Io, da allora, sono cambiato parecchio. Ma due cose sono rimaste intatte:
- Salvo Alzheimer o altre patologie psichiche non voterò mai a destra
- Da allora sogno una grande Sinistra unita.
Ho aspettato tanto, e come dite voi magari anche questa volta si tratterà dell'ennesima bufala dei furbetti del quartierino. Ma credo che valga la pena crederci.
Io credo in questa nuova formazione politica, confido nella sua serietà, ho fiducia nelle migliaia di giovani che fanno prte del movimento.
Dice: "Che, te sei tesserato?"
No, e non è mia intenzione nell'immediato futuro. Ma sono molto orgoglioso della realtà che sta nascendo.
Detto questo, chiusa la parentesi PD.
Nei prossimi post tornerò ad occuparmi di pop culture e forme di entartainment alternativo.
Mica per mancanza di schiettezza, ci mancherebbe.
E' che credo di aver molte più cose da dire sui serial americani che su Veltroni.
Qualche piccola preview: si parlerà di United We Stand, di Heroes e di serialità da American comics.
Graziea tutti voi per il calore che ha aceso questa discussione.

lunedì 15 ottobre 2007

Entusiasmi democratici e delusioni sportive


Ho visto con piacere che il mio entusiasmo per il nascente PD è stato variamente discusso nei vostri commenti. Ne sono nati spunti gustosi, tanto che secondo me val la pena scrivere qualche riga in più di un semplice commentino di risposta.
Barbara si chiede se sia davvero possibile la conciliazione di identità storiche così diverse (la Margherita e i DS) e Marco, un po' a malincuore, paragona il diffuso sentimento di delusione nei confronti della politica a quello che ha attanagliato centinaia di tifosi (calcistici ma non solo) all'esplodere di scandalacci quali Calciopoli o quello relativo al doping.
Lungi da me fare propaganda "democratica". Ci sono luoghi più indicati e persone molto più adatte (nel bene o nel male) del sottoscritto. Ma visto che se ne parla, tanto vale rendere ragione del mio spregiudicato entusiasmo delle ultime ore.
In un paese in cui Grillo ha svelato le oscenità del Palazzo senza pudori, in un paese dove La Casta ha venduto (e meno male) un milione di copie, appassionarsi alla politica, credere in una sua rinascita improvvisa è quanto meno ostico.
Ma si guardi, per cortesia, che c'è scritto sulla prima pagina del libro di Rizzo e Stella:

A Leone e Sofia,
nella speranza che crescano appassionandosi alla politica.
Diversa, però.


Il Walterone Nazionale non ha vent'anni e nemmeno trenta, questo è certo.
Non li ha nemmeno Letta.
Su Gawronski ed Adinolfi non aprirei bocca.
Il nuovo segretario del partito democratico non è un volto nuovo. Milita da anni ed è cresciuto nella scuola del PCI. Anche con tutto l'entusiasmo possibile nei confronti del suo lavoro di amministratore della Capitale, non si può scorgere in lui il segno del rinnovamento.
Ne convengo.
Dimentichiamoci però per un attimo del vertice e diamo un occhio alla base.
Anni fa (quasi quindici, ormai), quando il carrozzone del Cavaliere muoveva i primi passi nel mondo politico, si aprì un ventaglio inconsueto di opportunità per i giovani che volevano fare la propria parte.
Dai consiglieri provinciali, ai responsabili di quartiere, su su fino alle cariche dirigenziali, nel neonato partito del Berlusca confluì una generosa fetta della nuova classe politica.
E nelle vecchie sedi del PDS che si faceva? Si lavorarava ancora alla maniera di Togliatti. Strutture fortemente gerarchizzate, vecchie carampane che a forza di stare all'opposizione parevano averci preso gusto, al punto da essere incapaci di governare persino le amministrazioni locali per piùdi un semestre.
Ragazzi e ragazze volenterosi (e, ahimè è il caso di dirlo, un po' ciucci) nelle fila di Forza Italia hanno imparato a far politica, a lavorare insieme per un fine comune.
Peccato che il fine fosse quel che era (cercare di tenere quel signore basso basso il più a lungo possibile fuori di galera) e che nel giro di un quinquennio le dirigenze fossero blindate, conservate per i riciclati della DC, per i piessini, per qualche vecchio fascista allo sbando in cerca di casa.
D'altro canto, nella Casa Rossa cosa si faceva durante le transizioni da PCI a PDS e da PDS a DS?
Gran bei comizi e grossi lacrimoni ogni volta che l'ottimo Fassino piangeva per un addio ("Questa è l'ultima volta che parlo da un palco del PCI..."; "Questa è l'ultima volta che parlo da un palco del PDS..." e via discorrendo, come disegnava Vauro qualche giorno fa), ma di fatto non si è mai rinnovata la struttura. Le gerarchie e la scuola del Partito sono rimaste la stesse da quando Baffone era ancora vivo.
Qualcosa di nuovo sembrò affacciarsi con la Margherita, ma molti come il sottoscritto si sentirono troppo a sinistra per votare il neonato partito del mascellone Rutelli.
Sempre per parlare di come stavano le cose alla base, nemmeno a casa del bellissimo sindaco di Roma c'erno le possibilità che aveva offerto Forza Italia ai tempi della propria assemblea costituente. Un po' più dispazio per le donne, questo va riconosciuto, ma quelle giovani (leggi: sui trenta e magari un po' più vecchierelle) - didascalicamente - al massimo venivano inquadrate nei comitati giovanili (leggi: nessun potere, nemmeno a livello cittadino). Quelle un po' più in là con gli anni, bene che gli andasse, facevano i gregari.
Adesso, finalmente, qualcosa è cambiato.
A suo tempo mi ero arrabbiato sulla blindatura delle liste elettorali da parte di un partito che ha, tra gli obiettivi della propria costituente, la riforma della legge elettorale. Che senso ha andare a fare le primarie col vecchio sistema elettorale se siam qui per cambiarlo? Bell'esempio che diamo.
Poi, venerdì sera, Luciano Violante mi ha svelato l'arcano.
Non è che l'abbia svelato proprio a me. L'ha spiegato alle trenta persone che si erano radunate al Conservatorio di Novara per sentirlo. E tra quei trenta fortunati c'era anche il vostro Sarassone.
Senza troppi giri di parole, se si uniscono le liste blindate (ossia, senza la possibilità di esprimere preferenza diretta per il candidato) alla legge sulle pari opportunità (accolta alla lettera dalla costituente del nuovo PD), si ha la possibilità (rivoluzionaria sino ad ora) di costruire la neonata dirigenza di un partito con il 50% garantito di presenze femminili.
Se le liste non fossero state bloccate, diceva Violante, indovinate un po' chi sarebbe stato spinto in avanti? I soliti maschietti.
Perchè non è che in Parlamento non ci sia posto per le signore. Ma il punto è che per far entrare una signora bisogna cacciare un uomo. E già lo sai come vanno a finire queste cose.
Già solo con questa miglioria si sorpassano vetusti comportamenti da scuola di partito marxista-leninista.
Se ci aggiungete le quote riservate ai giovani, vi renderete conto in fretta di quanta gente tra i venticinque e i trentacinque entri a far parte del direttivo del nascente PD.
E le dirigenze, signori, saranno votate, mica caleranno dall'alto come accadde per la setta del Berlusca (o come capitava già solo per il vecchio PCI).
Quindi ci sarà la possibilità non così remota di vedere, nel giro di un quinquennio, la Sinistra italiana completamente rivoluzionata.
Roba come questa (mica solo il bel faccione di Walter) mi scalda il cuore.
Così come me lo scaldano i ragazzini della Sanmartinese Calcio (squadretta di quartiere dei dintorni di casa mia) o la primavera del Toro (Marco, hai a che fare con un vecchio granata, I'm really sorry).
Quanti di loro arriveranno in serie A?
Quanti di loro si perderanno per strada?
Quanti di loro si faranno rovinare dal marciume del mondo corrotto dello sport più venduto del mondo?
Non ne ho idea. Ma so che molti di loro continueranno a giocare con passione, talento e metodo finchè le ginocchia li terranno in piedi. E questo mi basta.
Se poi capitasse di vederne qualcuno in Nazionale (o in Parlamento) , allora vorrà dire che il mio entusiasmo era speso bene.

domenica 14 ottobre 2007

Tre milioni e fischia di elettori: mica cotica...


Torno adesso dalla sede novarese dei DS (anzi, ex sede dei DS e da stanotte nuova sede del Parito Democratico) e devo dire di aver provato emozioni d'altri tempi. Focacce e spumantini, ma soprattutto sorrisi, sorrisi, sorrisi.
A mia memoria, che la politica l'ho sempre vissuta di riflesso e per vie traverse, era dai tempi dell'elezione del primo sindaco non di destra (da che fossi al mondo) nella mia città natale (Vercelli) che non provavo niente del genere.
Ok, ammetto di aver tirato tardi e fatto qualche balletto alle ultime politiche, però viverla così da vicino è un'altra cosa.
Sono felice.
Felice che un Paese abbia scelto di crederci ancora. Felice di esserci mentre qualcosa di grande sta nascendo.
Felice, davvero.
A dire il vero ero un po' scettico fino a stasera. Scettico che ci fosse ancora un grande elettorato di sinistra. Un elettorato pronto a resistere a quel signore basso basso e agli amici suoi con le mortadelle da tre metri e le camicie nere sbiadite.
Eppure...
Eppure tre milioni e mezzo di persone consentono di sperare ancora.
Stasera me ne vado a letto col sorriso sulle labbra.
Le polemiche sui dati gonfiati e sulla "fotografia del Paese reale" le rimandiamo a domani, ok?

Ah, per la cronaca. Ho votato Veltroni (ma credo si fosse capito...)

sabato 13 ottobre 2007

Dare i numeri (e i luoghi): qualche aggiornamento e un po' di date


Scrivo questo post per aggiornarvi sulle attività nell'officina Sarasso, ma soprattutto per fare il punto. Per avere un promemoria per i mesi futuri, che si preannunciano piuttosto intensi.
Direte voi: "ma che te costa comprarte 'na genda?"
Ce l'ho un'agenda, la sto fissando proprio in questo momento. Bellina, con la copertina di cuoio. L'unico problema è che se ci scrivo sopra qualcosa me lo dimentico all'istante.
Di solito lavoro così: scrivo tutte le cose da fare (dalla telefonata al capitolo da scrivere) su un enorme post-it che viene incastonato su un papero di gesso che regge un'astina con una pinzetta al culmine. Man mano che una faccenda è sbrigata, la cancello con un pennarellone nero finchè il foglietto è inservibile e va sostituito.
No comment...
Il foglietto, al momento, non basta a contenere tutto quello che succederà nelle settimane a venire.
Ma andiamo con ordine.
Tramite un collega scrittore (Marco Stolfa) sto cercando di organizzare una presentazione a Trieste il 10 novembre. Nulla è ancora certo ma ci stiamo lavorando. Ah, visto che siamo in tema, date un'occhiata al libro di Marco qui. O cercatene tracce in rete.
In data da definirsi, ma spero tra novembre e dicembre, mi piacerebbe presentare CONFINE DI STATO alla Biblioteca di Galliate. La Biblioteca di Galliate è uno tra i circoli culturali più attivi del novarese, sia sul fronte della letteratura nera che, soprattutto, per quanto riguarda i libri per ragazzi. Se la cosa si riuscisse ad organizzare, ci sarebbe un ospite d'eccezione a introdurmi: Massimo Polidoro. Io e Massimo non ci conoscevamo, ma ci siamo sentiti al telefono qualche giorno fa. Oltre ad avere il pregio di essere una persona deliziosa e disponibilissima (tanto per dire: mi ha chiamato lui e siamo stati un ora al telefono. E l'avevo cercato io), è anche uno dei maggiori esperti italiani di vintage criminology.
Nello specifico, ETICA CRIMINALE, il suo libro su Renato Vallanzasca, è il lavoro più completo che esista in merito. Molto più attuale del libro di Bonini e molto, molto più fico del segaligno volumetto della Arceri.
Spero che la serata si faccia, perchè potrebbe essere un'occasione ghiotta per discutere di temi a noi tutti assai cari.
Il 24 novembre, lo sapete, sarò ospite di Carlo Lucarelli a Politicamente scorretto, il convegno su giallo, noir e storia che si tiene ogni anno a Casalecchio di Reno. Sul sito, purtroppo, non c'è ancora il programma aggiornato, ma mi dicono che arriverà presto.
L'8 dicembre, a Più Libri Più Liberi, la fiera della piccola e media editoria di Roma, ci sarà l'ultima presentazione del 2007 di Turkemar. La trasferta si preannuncia interessante perchè in quel week end potrei avere la fortuna di fare due chiacchiere con il Maestro De Cataldo. Non sto già più nella pelle (e non è l'ennesimo bieco riferimento alla mia impeccabile silhouette).
Nello stesso periodo, ossia dal 4 al 10 dicembre, c'è il NoirFest a Courmayeur. Potrei farci una puntatina, ma nulla è certo, per ora. Vi terrò informati, promesso.
Ci sarà una data di CONFINE DI STATO a Genova, probabilmente alla Libreria del Porto Antico (ex Rizzoli) ma, ancora una volta, non ho idea della data.
Per concludere, ed è veramente un appuntamento che mi riempie d'orgoglio, il professor Claudio Milanesi dell'Università di Aix en Provence mi ha invitato all'annuale prestigioso convegno sul poliziesco. Il titolo del meeting di quest'anno sarà "La storia e il romanzo poliziesco. Italia e America Latina". A rappresentare l'Italia ci saremo io e Gianpaolo Simi.
L'emozione è davvero fortissima perchè i nomi che sono stati ospiti alle edizioni passate della kermesse fanno davvero battere i denti: Lucarelli ,Fois, Guccini, Macchiavelli, Vallorani, De Cataldo, Genna, tanto per citarne qualcuno.
Terrò un intervento durante i lavori del convegno e ci saranno un paio di presentazioni tra Aix e Marsiglia.
L'appuntamento è per il 6,7 e 8 marzo 2008. Vedrò di prepararmi come si deve e recuperare qualcosa di dignitoso da mettermi (non credo che la felpa marrone di United We Stand sia indicatissima...).
Mentre tutto questo ben di Dio bolle in pentola, da queste parti non si batte certo la fiacca. Insieme al Maestro Daniele Rudoni, al Professor Vladi Finotto e al dottor Antonio Picerni dell'Università di Venezia (Venice International University) stiamo sgobbando per il lancio di United We Stand, la graphic novel che dipinge una sorta di futuro alternativo di CONFINE DI STATO. Tra non molto il sito del progetto sarà operativo e inizierà una campagna di avvicinamento alla prima uscita. Preparatevi a un esperienza di intrattenimento senza precedenti. Preparatevi a entrare nel mondo di UWS attraverso aggiornamenti settimanali su ben tre piattaforme telematiche. Preparatevi a innamorarvi di personaggi straordinari.
Preparatevi al Colpo di Stato.
E di più non dirò, nemmeno sotto tortura. In ogni caso, non temete, sarete costantemente aggiornati.
ça va sans dire, il lavoro su Settanta procede costante.
Questo lo stato dell'arte in data odierna.
Se avessi dovuto scriverlo su un post-it il povero papero di gesso ne sarebbe stato irrimediabilmente schiacciato, data la mole dell'appunto.
Chiaro che, a qualunque delle date in questione siete tutti invitati, che ve lo dico a fare?
Ci si sente presto.
Grazie per l'attenzione.

giovedì 11 ottobre 2007

Save private Castlerock! Un appello



Ricevo dal caro amico Matteo Zampini e volentieri pubblico.

Il sito di cui si parla, per i meno attenti, e www.castlerock.it, frequentatissimo punto di riferimento per cinema, musica e libri.

Caro Simone,

ti scrivo per chiederti di fare un appello sul tuo blog. La questione è molto semplice. Castlerock sta cambiando in modo radicale. Chi ha creato questo meraviglioso portale nei prossimi giorni inizierà a lavorare

full-time alla zona dedicata al cinema. Questo indubbiamente avrà un riflesso su tutti gli altri siti compresa Library Zone. Castlerock nasce per la passione dei libri e in particolar modo per Stephen King. Negli anni

il sito è cresciuto ma ha conosciuto particolare fortuna solo nel cinema.

Questo è semplice da capire: oltre ad una dedizione totale da parte della redazione, molti sono i collaboratori che si sono avvicinati attirati dallaqualità espressa.

Siamo quindi ad un punto di svolta. Library Zone diventerà una realtà a se stante ma non può pensare di esistere se dietro c’è solo una persona. Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di conoscere un paio di valide collaboratrici ma il sito necessita di qualcuno che prenda decisioni, si occupi della redazione, insomma che tenga in piedi la baracca.

E da solo non penso proprio di farcela.

Sogno una Library Zone che sia un punto di incontro, di scontro e di confronto fra scrittori, editori, traduttori e i non addetti ai lavori. Il mio appello è quindi questo. Che tu sia scrittore, editore, traduttore oppure un appassionato di libri, ti chiedo di metterti in contatto con me. Library Zone vuole diventare una e-zine di riferimento, un punto di ripartenza per il mondo dei libri. Recensioni, articoli, approfondimenti, ma anche angolo per pubblicare i propri racconti e mille altre iniziative. Rimane il presupposto che necessito di almeno un braccio destro (e perchéno uno sinistro:P) per poter dare un senso e una continuità al progetto. Da

solo avrebbe più senso un blog. Non mi voglio dilungare oltre, credo che il messaggio sia chiaro. La mia

email è matteo.zampini@castlerock.it e chiunque abbia voglia di farsi sentire io sono qui in attesa.

Grazie

Matteo

Mica male una ZONA LIBRI del genere! Uno spazio d’incontro tra autori, editori e lettori.

Una zona franca (che in questo periodo congestionato ce n’è tanto di bisogno…)

Che aspettate? Scrivete a Matteo!

martedì 9 ottobre 2007

Uno contro tutti: un paio di battute sul V-DAY

Ennesimo pezzo della Collezione dell’oblio. Un po’ datato ma doveroso.

Scrivo questo pezzo per rispondere a Marco, che qualche tempo fa mi chiese se avrei pubblicato qualcosa sul V-Day di Grillo. Non era tra le mie priorità, ma considerando che durante il limbo del cambio ADSL in casa se n’è discusso parecchio (non solo, autisticamente, tra me e mia moglie – il gatto non parla, credo che sia apolitico – ma con grande frequenza in compagnia di amici, parenti e conoscenti), val la pena mettere giù un paio di considerazioni che mi girano in testa.

Partiamo dall’ovvio. La domanda: “Sei contento di farti governare da persone condannate per concussione e compagnia bella?” è retorica.

Fa il paio con l’obiezione di Letta in merito alle pensioni d’oro dei parlamentari. In sostanza chiedeva ai cittadini: “Sei contento di pagare i contributi in un certo modo e di andare in pensione a una certa età mentre la classe politica che ti governa – quella che ha scelto per te tempi e modi della contribuzione – adotta per sé un differente (e, ça va sans dire, immensamente più conveniente – ché se no non ci sarebbe ragion di polemica) sistema contributivo e pensionistico?”

Indi per cui, la battaglia di Grillo non può che essere empatizzata dal cittadino.

E la sua proposta di legge per cacciare i delinquenti (e non permettere il futuro accesso al cadreghìn dei loro degni compari) sembra la soluzione perfetta ai problemi del Paese.

Tanto più dopo la diffusione dello strepitoso libro di Stella e Rizzo sugli sprechi della politica nostrana (La casta, Rizzoli, 18 euro spesi bene).

Detto questo, non sono andato a firmare in piazza e non ho mai messo il banner su questo blog.

Dice: “Che non sei d’accordo?”

Per carità. Tutto sacrosanto, però ci sono un paio di cose della faccenda che mi hanno inquietato.

La prima, di un’ovvietà scandalosa ne convengo, è che la denuncia provenga da un outsider, da un uomo di spettacolo. La seconda, forse un po’ meno ovvia, è che si tratti di un uomo solo contro tutti.

Ora, lo so che Grillo non è più solo un comico da qualche anno a questa parte. E il lavoro svolto da questo signore meriterebbe di stare sui libri di storia.

Detto questo, la sua è una voce solitaria. Ed è comunque sempre e solo la sua.

Insomma, mi sarebbe piaciuto di più se intorno a lui si fosse creata una comunità (trecentomila persone – tante sono state le firme raccolte nel V-Day - ne formano una di tutto rispetto). E che questa comunità avesse cominciato a pensare e muoversi con le proprie gambe. Senza più bisogno del leader, che in un Paese come il nostro è sempre una figura problematica (lo so che sono quelli senza capelli, di leader, a dare problemi, e Grillo, bontà sua, fa ancora concorrenza a Branduardi, però…).

A costo di apparire più veterocomunista di quello che sono, dico che indignarsi è uno straordinario punto di partenza.

Però poi occorrerebbe fare.

E a fare (ma soprattutto a decidere) è sempre meglio essere in tanti che uno solo.

Una volta la chiamavano democrazia…

A dirla tutta, però, quello che mi ha fermato sulla strada della firma in piazza sono state le parole di Costanzo, intervistato in merito all’iniziativa.

Disse l’ex massone piduista parlando dalla TV: “Quella di Grillo mi sembra una pensata straordinaria, l’ho sottoscritta, e se fossi più giovane scenderei in piazza con lui”.

Ecco, vedere la propria firma accanto a quella di un vecchio amico di Gelli su un documento pubblico è un po’ troppo per un ragazzo all’antica come me.

È una sorta di campanello d’allarme. Se ora anche i vecchi tromboni da Prima Repubblica, gli stessi che neanche trent’anni fa si trovavano la sera, in grembiule e guanti bianchi, a fantasticar di golpe e nuovo ordine mondiale, si affrettano a salire sul carro del vincitore (il successo di Grillo è indiscutibile), significa che quel carro, ancor prima d’essere partito, rischia di fare una brutta fine. Quella che hanno fatto tutti gli altri.

E qui si torna al discorso della mobilitazione collettiva.

Churchill diceva che il potere corrompe. E che il potere assoluto corrompe assolutamente.

È innegabile che chiunque (anche con le migliori intenzioni), insieme a una grande visibilità si porti a casa lo spostamento dell’attenzione da quello che dice a chi lo dice.

Il fatto che la gente ti ascolti e ti venga dietro è una bella responsabilità. Nel microscopico lo vede chiunque abbia un blog (sottoscritto compreso): tu scrivi, la gente ti risponde. Se molta gente è d’accordo con te, è molto probabile che tu venga indicato come simpatico a terzi. Se fai di tutto per inimicarti il prossimo, prima o poi girerà la voce che sei uno stronzo.

Immaginatevi, dopo tutto ‘sto marasma, cosa c’è sulle spalle di Grillo.

Diventare il portavoce dell’incazzatura di un paese contro la classe dirigente può trasformare questo brillante signore di mezza età in quello che non ha mai desiderato essere: un simbolo.

E i simboli, si sa, prima finiscono sulle magliette, e poi sulle schede elettorali.

Grillo ha fatto la sua parte.

Ora è tempo di farsi da parte

È tempo per la comunità creatasi intorno a lui di fare da sola. Di eleggere i propri rappresentanti (fosse anche solo per andare a tirare le uova ai rammendatori d’arazzi di Palazzo Chigi, quelli da 3000 e passa euro al mese per quindici mensilità).

Perché è sempre meglio decidere dal basso chi comanda che ritrovarsi un leader apolitico che finisce per candidarsi alle elezioni. E non fate quella faccia, succede di continuo: Di Pietro, Berlusconi… Do you remember?

Io lo so che Grillo è di un’altra pasta, ma non si sa mai…