DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

martedì 1 gennaio 2008

Star Wars: a me, me piace (la seconda trilogia… che sarebbe la prima)

Primo post dell’anno: post al vetriolo che – già lo so – mi farà piovere addosso una tonnellata di critiche.

Questo pezzo ce l’ho in canna da tempo, ma non avevo fino ad ora trovato modo di metterlo nero su bianco.

Durante queste feste, complice l’ozio delle ferie, mi sono riguardato tutti e sei i film di Mastro Lucas e il meraviglioso documentario Star Wars – Empire of dreams.

A fine visione, emozionato come un ragazzino, un pensiero ribelle continuava ad ossessionarmi. Ho provato a tenerlo a bada per un po’, ma ora l’outing si fa necessario: DATEMI DEL MATTO, MA IO PREFERISCO LA SECONDA TRILOGIA.

Ahhhh…. L’ho detto.

Ora, quando avrete finito di inveire, provate a starmi a sentire.

Per ragioni anagrafiche non appartengo (per un soffio) alla generazione che ha avuto l’onore di vedere il primo tassello dell’esalogia (quello che oggi si chiama EPISODIO IV) al cinema.

Posso solo immaginare l’effetto che fece sugli spettatori di allora quell’astronave che entra in campo e non finisce più. Bocche spalancate per un quarto d’ora.

Era il 1977. La mia, di bocca, rimase spalancata sei anni più tardi, quando i miei mi portarono a vedere Il ritorno dello Jedi. Bocca aperta, bavetta e russata incorporata.

Troppo giovane il Sarassino per godersi la continuity – indecifrabile a un cinquenne – o decisamente inadatto lo spettacolo serale per la mia giovane età.

Fatto sta che, in un periodo senza Emule e videoregistratori, penetrare l’arcano della favola mistica del conflitto Impero-Repubblica basandomi solo sui frammentati e confusi racconti di mio fratello maggiore (fan sfegatato, dunque molto poco obiettivo) era impresa impossibile.

Mettetevi nei miei panni: tutto quello che ricordo del Ritorno dello Jedi sono vaneggiamenti su una palla gigante che si chiama Morte Nera e una dozzina e mezza di buffi animaletti pelosi che abitano un paese che sembra Gressoney.

Ero un po’ nella situazione in cui si trova mia moglie attualmente: per nulla appassionata di fantascienza e duelli stellari all’ultimo sangue, in vita sua ha visto solo Episodio II. Se le chiedi di cosa parli Guerre Stellari ti risponde serafica: “Di cosa parli non ho mica capito bene. So solo che c’era un mostriciattolo verde che schizzava impazzito con una spada laser in mano e un esercito di filippini clonati pronti a conquistare il mondo.”

Dalle torto…

Lucas, nel documentario uscito in bundle all’edizione in dvd della prima trilogia, spiega come esistano due tipologie di fan di Star Wars: quelli che hanno più di venticinque anni – i detrattori della nuova trilogia che fremono ancora rivedendo la prima – e quelli che ne hanno meno di venticinque – gli ignari della triade capostipite pronti a stupirsi per i prodigi tecnici degli ultimi episodi.

Anche se, negli anni, la prima trilogia l’ho vista e rivista, credo fatalmente di appartenere alla seconda categoria.

A metà anni Novanta, più o meno nel periodo in cui uscì l’edizione rimasterizzata di Arancia meccanica, il capolavoro di Lucas tornò sul grande schermo. Scene aggiuntive, qualità video migliorata, ecc.

In tv Guerre Stellari era passato, per carità, ma per un motivo o per l’altro non dovevo aver prestato molta attenzione. Il punto è che al liceo ero più o meno l’unico che ne sapeva poco o nulla di Cavalieri Jedi, Lato Oscuro della Forza e compagnia briscola.

Per cui mi armai di santa pazienza ed ebbro del furore dell’apprendimento mi sparai Episodio IV ed Episodio V en pantalla grande. Risultato: nemmeno questa volta riuscii a tenere gli occhi aperti.

Però mi portai a casa un pugno di impressioni:

- Darth Fener è un tipo fichissimo

- Suo figlio Luke è un bambascione

- Leia non è bellissima ma guadagna un sacco di punti non indossando biancheria intima

- Han Solo… Ok, Han Solo è uno giusto (anche se non si capisce perché si accompagni a quell’enorme, incomprensibile batuffolo con cintura borchiata)

- Odio R2-D2. E siccome sono un ragazzone sentimentale, mi si stringe lo stomaco ogni volta che fa un dispetto al suo amico dorato.

Questa lunga e doverosa premessa per puntualizzare un paio di cose sulla drammatizzazione dei personaggi lungo l’intera saga. Prima di scrivere queste righe ho letto una pletora di recensioni e approfondimenti sulla Seconda Trilogia e più o meno ovunque si accusavano gli sceneggiatori di aver appiattito la narrazione rispetto all’omologa anni Settanta-Ottanta.

I personaggi e gli interpreti degli Episodi I, II e III (a parte Anakin, ça va sans dire) non reggono il confronto con Sir Alec Guinness e mr. Harrison Ford, ok. Ma per quanto riguarda l’intreccio e lo sviluppo della storia, secondo me non c’è partita.

E qui arriviamo alla mia prima visione di Episodio I.

L’anno era il 1999. Il cinema era l’Arcadia di Melzo. Per la precisione, la Sala Energia dell’Arcadia di Melzo.

Per chi vive nei grandi agglomerati urbani, multisala e suono sorround sono consuetudini da più di dieci anni.

Ma nella dormiente pianura vercellese, cinema voleva dire: Cinema Italia o Cinema Principe. Due salette striminzite con sedie scomode e senza galleria. Il Cinema Viotti (l’unico davvero degno di appellarsi “cinema”) fu chiuso un sacco di anni fa per essere messo a norma (non successe mai); al Cinema Astra la galleria c’era ma ci proiettavano solo porno (pure alle dieci di mattina).

Episodio I fu la mia prima esperienza di multisala. Fu il mio primo passo nel cinema del XXI secolo.

Il secondo fu Matrix ed ebbi la netta sensazione di essere di fronte a un cambiamento epocale (la stessa cosa che successe, probabilmente, agli spettatori settantasettini di Guerre Stellari).

Gli amici continuavano a magnificarmi le doti del THX, il sistema sonoro proprietario di Lucas (“Una ficata! Sembra che le pallottole ti volino sopra la testa!”). Io ascoltavo attentamente i trailer in loop sullo schermo e l’atmosfera non mi pareva tanto diversa da quella del vecchio e malconcio Cinema Italia (mi guardavo dal parlarne agli amici, beninteso…).

Fino a che non arrivò il momento.

Buio in sala, quaranta secondi di silenzio assoluto.

Poi: la rivelazione.

Un brivido sordo che squassa le viscere, arriva alle spalle e in un nanosecondo sfreccia giù, in mezzo alla sala. Lo sterno trema, sul maxischermo partono i titoli in prospettiva.

Bocca aperta. Questa volta davvero.

Che ci crediate o no, non ho avuto il minimo cedimento: due ore e fischia a occhi sbarrati. A godermi duelli di lightsaber, inseguimenti aerei, filosofia Jedi da quattro soldi.

E la bocca (già di per sé dischiusa) spalancata ulteriormente allo spuntare della seconda lama dall’arma di Darth Maul.

Da quel momento ho capito cosa provavano i miei amici. Da quel momento ho atteso Episodio II con la stessa trepidazione con cui, fino a marzo dell’anno passato, ho aspettato Manituana di Wu Ming.

E quando fu il momento di Episodio III, mi pareva fosse uscito il romanzo di Ellroy su Nixon (nei confronti del quale, da qualche anno a questa parte, ho quasi perso le speranze).

Non ce la feci ad attendere una macchinata per un cinema come si deve. Me lo sparai il primo week-end al vecchio e decrepito Cinema Astra (nel frattempo aveva smesso coi porno e si era riconvertito alla programmazione mainstream).

Nelle condizioni peggiori, per giunta: difetto di messa a fuoco, protezionista sbronzo, vai a sapere.

Me ne godetti ogni attimo. Uscii con un senso di pienezza.

Credo che il mio giudizio complessivo sul lavoro di Lucas sia potentemente influenzato dai quintali di effetti speciali che la Seconda Trilogia si trascina dietro.

Ora, che il sottoscritto sia un tamarro credo che l’abbiate capito. E dunque comprendete agilmente come tutto quello sfarfallio di luci, suoni e battaglie stellari mi abbia colpito dritto al cuore.

Ma in fondo, pur investendo nell’analisi dell’opera tutta la buona fede di cui sono capace, non credo che Star Wars sarebbe diventato ciò che è senza l’apparato visual effect. Parliamoci chiaro: anche i ragazzini dei Settanta facevano la coda al cinema per vedere i robottoni e le astronavi dell’impero somministrare sonore mazzate a fresconi repubblicani.

E lo confermano anche gli Oscar che la trilogia ha vinto nel corso degli anni: Oscar tecnici. Gli stessi che, per inciso, vinse Matrix.

Se poi ci si vuole nascondere dietro il dito della filosofia Jedi, è un altro paio di maniche…

Credo che sia qui la chiave del mio fievole amore nei confronti della Prima Trilogia: dopo Star Wars venne Alien, e il mondo delle astronavi s’incupì, divenne più crudo. Alien era il vero Lato Oscuro della fantascienza. Di Alien (e un po’ pure della Weaver, lo ammetto), m’innamorai a prima vista.

I primi Star Wars non li capii, li fraintesi, non riuscivo a penetrarne il segreto.

Se ho imparato ad apprezzarli, in età adulta, è grazie alla Seconda Trilogia, in particolare ad Episodio III.

Episodio III è l’acme della storia del miglior cattivo dello spazio. Darth Fener è archetipico, tridimensionale, splendido. Rinnega se stesso, si accorge della pochezza dei valori su cui è fondata la sua intera esistenza, si danna, risorge – novello Frankestein – dalle proprie ceneri. Altro che Neo: Anakin Skywalker è l’universo dantesco compresso in due metri di acciaio e vetroresina.

Senza Episodio III l’intera esalogia vale poco. La Prima Trilogia non basta a se stessa, filosofeggia troppo.

Episodio III apre porte che il primo Lucas non era assolutamente in grado di spalancare.

Senza la Seconda Trilogia non avrei mai scoperto l’universo di Star Wars, l’avrei relegato per sempre nel limbo delle “cose fichissime del passato che mi riprometto di guardare” (c’è Star Trek ad attendermi in fondo a quell’abisso, insieme a Ben Hur e Spazio 1999). E sarebbe stato un vero peccato.

Detto questo, Episodio III non è questo gioiello di perfezione: contiene scivoloni di cui il mondo dell’entertainment ride ancora. Un esempio su tutti: Obi Wan al culmine del duello finale che invita Anakin a non reagire perché lui si trova “più in alto”.

Persino Luke in Gilmore Girls lo prende in giro scherzando con Lorelai.

Gli scivoloni, tuttavia, non cambiano il mio modo di vedere la cosa.

Tra le due parti della saga scelgo quella moderna e vi lascio senza rimpianto l’originaria.

E ora, ve ne prego, non infierite troppo con tutti quegli strali…