DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

giovedì 28 maggio 2009

Settanta Hard Boiled: cronaca di troppi giorni di tonsillite e presentazioni e birra e passi da gigante sulla via della guarigione...

Non era una notte buia e tempestosa, ma piuttosto un pomeriggio con un caldo da cani. Giovedì 21 maggio: la giornata più calda dell'anno. Novara affondava nell'afa, pareva di stare a luglio. Io, amante sfegatato delle temperature equatoriali, me la godevo a torso nudo nel mio studio, battendo sui tasti con successo e sorseggiando, non senza qualche malizia, caffè freddo fatto in casa. Alle 17.15 infilai una camicia di lino e la mia vecchia digitale e mi precipitai in centro: L'uomo sarebbe arrivato a minuto. L'uomo, al secolo Giorgio Faletti, aveva venduto milioni di libri. Libri che mi ero stra-goduto (il primo), che avevo letto con piacere (il secondo), che non avevo letto affatto (il terzo) e che ero ansioso di leggere (il quarto che, secondo i ben informati, assomigliava un sacco al primo). Arrivai con un certo anticipo e notai una folla robusta e corpulenta accalcarsi alle vetrine del Mel Book Store nuovo di pacca in corso Italia. Scavalcai la mandria umana e scivolai oltre le porte in vetro temperato: nonostante il vetro, la temperatura, all'interno, non migliorava. il termometro sballava oltre i 28°. Feci un giro per rinfrescarmi e agguantai un paio di tartine. Il mio occhio di investigatore allenato scivolò su una pila di SETTANTA fresca di stampa. Il bollino rosazzuro NOVITA' ammiccava, fluo, dalla copertina. Non feci nemmeno in tempo a salutare il mio amico Alessandro che L'uomo entrò. Più alto di come l'immaginavo, occhi di ghiaccio, parlata sicura. Dedicò a me e ad Ale appena una decina di minuti; poi tornò dal suo pubblico: anche senza microfono lo stordì, lo incendiò, lo fece ridere e applaudire. Nonostante il caldo africano, nonostante la totale assenza di amplificazione, erano tutti lì per lui: orecchie tese, a pendere da quelle labbra fini, disegnate da un rasoio. In quel preciso istante capii il significato dell'espressione UN MILIONE DI COPIE. L'uomo fece il suo show, dopodichè diede disposizioni e la folla si ordinò in una lunga fila. Centinaia di persone libromunite, in attesa dell'autografo, del feticcio, dell'eterno ricordo. La feci due volte quella fila. Sudando, imprecando per la camicia incollata alla schiena, per gli spifferi che maltrattavano il mio collo madido e bianchiccio. La prima volta ottenni quello che volevo. La seconda donai all'uomo la mia creatura. L'uomo fu gentile: volle che firmassi la sua copia di SETTANTA. Scambio di cicatrici a penna blu su pagine lucide come la neve: Alessandro ci immortalò. Quella foto finì sul giornale qualche giorno dopo. Questa è tutta la storia. Ma significa poco e niente. Quello che successe dopo... quello sì che è davvero importante. Dopo finimmo a cena da Ale. Le nostrre donne ci raggiunsero: mangiammo salato, bevemmo birra e vino. Faceva caldo: spalancammo le finestre. CORRENTE. Fu così che iniziò tutto. Quello fu lo zenith esatto della mia settimana. Fu così che presi freddo. Fu così che, a meno di ventiquattro ore dall'anteprima mondiale di Settanta, mi beccai la tonsillite.

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E qui finisce la metà hard boiled della storia e inizia quella tragica.
L'indomani del grand soirée falettiano mi alzo con un certo pizzicore in gola, ma non ci faccio caso più di tanto. Vado a scuola, disegno per 88 bambini decine e decine di animali con 36 gradi all'ombra, torno a casa, mi butto sotto la doccia e mi appronto per Officina Italia.
Camicia bianca appena stirata, lo dico perchè è importante.
Insieme alla Lara e al Pava (mia moglie rimane a casa, pora stella, è venerdì sera e il sabato mattina lavora) approdiamo senza difficoltà alcuna alla Palazzina Liberty, in Largo Marinai d'Italia 1 a Milano. Scendiamo nel sottosuolo fino al bar e afferiamo con foga delle birre. Intanto arrivano anche Jacopo De Michelis, Federico Baccomo (a.k.a. Duchesne), Antonio Scurati, Alessandro Bertante e Fabio De Luigi. La truppa s'ingrossa e noi trangugiamo birre su birre per combattere la calura.
Scendo un attimo in bagno e, come nel migliore dei film splatter, succede il finimondo: il mio naso, che non aveva dato problemi negli ultimi vent'anni, d'improvviso cede e si tramuta in un irrefrenabile pompa ematica: ho l'epistassi. Porca di quella troia.
Ora, facciamo due conti: ansia da palcosenico (mentre sanguino copiosamente, quattrocento persone prendono posto) + camicia bianca (pronta a trasformarsi nella shirt che indossò tarantino alla prima di Hostel) + qualche birra in corpo + tonsille in espansione + febbre in arrivo = un bel casino.
Proprio un bel casino. Mentre cerco di darmi una sistemata, mi guardo allo specchio: sembro il fantasma di Johnny Rotten dopo una striscia lunga un chilometro e una pera di roba. Solo più in carne.
A un passo dal panico, da uno dei cessi alle mie spalle spunta Fabio De Luigi. Lui è lì al posto di Niccolò Ammaniti: leggerà un brano scritto da lui e chiuderà la serata. Io, invece, devo salire sul palco tra poco, e la mia narice destra sembra la fontana di Trevi il 19 ottobre 2007.
Fabio è gentilissimo: prima mi chiede come sto. Poi si offre di ripassare la parte insieme e infine, senza nemmeno imporre le mani, esercita un benefico influsso che arresta il flusso sanguigno.
Per miracolo la camicia è ancora intonsa. Mi sciacquo, mi do una regolata e torno di sopra.
Faccio il mio dovere senza intoppi e poi, finalmente, svengo su una poltrona (al bar) fino a quando non è tutto finito. Incredibile soddisfazione nel finale: Ottavia Piccolo (ci credereste?) si avvicina per farmi i complimenti e stringermi la mano. A momenti ci resto secco.
Poi ci sono un sacco di amici con cui chiacchierare: Rita, Sergio (grandissimo!), Francesco, Matteo (che è venuto apposta da Verona e ha fatto le foto), Grazia e Stefano che, stringendo una copia di CONFINE DI STATO, mi dice: "QUESTO... E' UN CAZZO DI LIBRO!", ed è il miglior complimento che abbia mai ricevuto da quando scrivo (non me ne voglia la signora Piccolo...).
Poi la febbre ha la meglio e la Lara e il Pava mi riportano a casa.
Me la misuro per curiosità prima di andare a nanna: 38.7...

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L'indomani è sabato e mi riposo. Però, proprio sul più bello, quando sono gonfio di antibiotici e tachipirina, nè sveglio nè addormentato, sento suonare alla porta. Guardo dallo spioncino e scorgo due tizi nerovestiti. Penso a Ultor e rabbrividisco, poi mi ricordo che è il giorno della benedizione delle case. Riguardo dallo spioncino: niente machere antigas: sono preti. E giovani per lo più. Adesso, io non sono nemmeno credente, ma 'sti due poveri cristi girano bardati come esploratori Sardauker con 38 gradi all'ombra: hanno bisogno di una pausa.
Li faccio entrare, do loro dell'acqua e facciamo due chiacchiere. Scopro che uno è messicano ("Cristo! Non mi attaccherà mica la suina?", pensano le mie tonsille...) e ha diciannove anni, l'altro è veneto e di anni ne ha 28. Fino a poco tempo fa faceva architettura e ha fatto anche l'Erasmus in Portogallo. "E come cazzo ti è venuto in mente, fratello, di fare il prete?", vorrei chiedergli. Ma non faccio in tempo: suonano di nuovo alla porta. Guardo dallo spioncino e vedo altri tre tizi vesiti di nero fino ai piedi.
Entusiasta del clima da Hellzapoppin' li faccio entrare e accomodare: altri due messicani e un veneto. Che bevono acqua, vestiti da prete, nella mia cucina.
Per un attimo mi chiedo se nel paracetamolo non ci fosse anche uno schizzetto di codeina: cazzo, ci sono tre preti messicani e due veneti nella mia cucina e sono perfettamente sobrio.
"Non mi crederà nessuno", penso. Mia moglie dirà che avevo le visioni.
Per cui faccio una foto e chi s'è visto s'è visto (eccola qua).
Poi pregano e finalmente li caccio e torno a letto. Non succede nulla fino al giorno successivo.

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Il giorno successivo è domenica 24 maggio. E alle sei, in centro, c'è la presentazione di Settanta.
L'atmosfera è bollente, in città e su facebook c'è parecchia attesa. E infatti, quando io e il mio amico Luca Ottolenghi arriviamo in loco, benchè manchi più di mezz'ora all'inizio, ci sono già diverse persone che occupano le sedie schierate come fanti prima dell'assalto sotto i portici del Teatro Coccia. Il proprietario della libreria mi accoglie e chiacchieriamo mentre i portici si riempiono sempre di più. Quando cominciamo ci sono solo posti in piedi: cento persone, anima più anima meno.
Io e Luca parliamo per più di un'ora: di stragi, di americani, di Servizi, di Pasolini, dei Settanta. Poi è il momento della musica: Marco Pasquino suona, il pubblico apprezza. Poi firme, birra per Luca, Tachipirina per me e un panino prima della nanna.
Ospite illustre e inatteso: Riccardo Bertoncelli (sì, proprio quello dell'Avvelenata di Guccini).

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Ieri sera, esattamente in concomitanza con la finale di Champions e la presentazione della giunta, sprezzanti del pericolo come autentici samurai, io e Gianluca Mercadante siamo andati a presentare le nostre ultime fatiche letterarie (SETTANTA e POLAROID) all'ultimo incontro della rassegna AD ALTA VOCE. Ci siamo presentati a vicenda e abbiamo intrattenuto il gentile pubblico (non numerosissimo, va detto; ma molto, molto preparato) per un paio d'orette parlando di questo malandato Paese.

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Oggi è giovedì; e il prossimo appuntamento in vista è quello di sabato. Duplice incursione genovese in combutta con il compagno Ettore Maggi.
I nostri due libri, SETTANTA e IL GIOCO DELL'INFERNO, saranno protagonisti prima alla Libreria Il Libraccio, in via Rossetti 2 alle 17.30, e poi in piazza Matteotti alle ore 21.00.
Accorrete numerosi, mi raccomando. Ci si vede là.

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Prima di chiudere, la rassegna stampa di SETTANTA, aggiornata a questa mattina.
Del mio nuovo libello si sono occupati LIBERAZIONE (oggi), PANORAMA.IT (ieri), PAGINA.TO.IT, MILANONERA, NOVAMAG e per ben due volte il quotidiano locale TRIBUNA NOVARESE.