DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

mercoledì 27 aprile 2011

Raymond Benson e John Milius, HOMEFRONT - La Voce della Libertà, Multiplayer.it (2011)


LA STORIA


C'è stato un tempo in cui la Guerra Fredda mi faceva più paura di Freddy Krueger.
Correva l'anno del Signore 1988: a me e mio fratello era appena stato accordato il privilegio della TV in camera. Stavo per compiere dieci anni e quel microscopico schermo bombato in bianco e nero era meglio d'un bacio con la lingua strappato alla biondina del terzo piano.
La sera si guardavano robe spinte tipo I RAGAZZI DELLA TERZA C o DRIVE IN (i link wikipediani sono per gli under twenty).
Qualche volta COLPO GROSSO, ma di solito io mi addormentavo prima. Lottavo per tenere gli occhi aperti, ci provavo sul serio: niente da fare. Mio figlio ha preso da me, dev'essere una maledizione genetica: verso le dieci le palpebre diventano così pesanti che sviene. Qualunque cosa stia facendo (guardare le canzoncine su youtube, giocare con un ordigno rumorosissimo, cantare col papà), allo scoccare dell'ora X perde conoscenza.
Io uguale.
Almeno fino al 3 febbraio 1988.
Sera gelata, i miei alle 20.00 spegnevano i termosifoni e tanti saluti (siam mica Onassis! Se hai freddo, ficcati sotto le coperte!). Mercoledì: giorno sacro! Chicco, Sharon e compagnia briscola scalpitavano per allietarci. Incredibile a dirsi, nel pleistocene ottantino i programmi della sera iniziavano alle 20.30 precise. E, come per magia, alle 20.00 si era già cenato.
A pensarci adesso fa strano: qua, prima delle nove la lavastoviglie non è mai piena. E i film, ben che vada, cominciano a quell'ora. Quelli belli alle 21.30. Ventitre anni fa la lavastoviglie e Alain Delon se la giocavano nell'immaginario erotico di mia madre: allora si lavava tutto rigorosamente a mano, eppure alle otto tutti a letto (noi) o sul divano (mio padre).
Mah!
Non divaghiamo: mercoledì sera, dicevo. Dal mattino fantasticavo sui capelli della bionda Zampetti, ma allo scoccare dell'ora fatidica, qualcosa non va. Invece del telefilm di culto va in onda un filmetto con Terence Hill visto duecento volte. Io e mio fratello ci guardiamo straniti per un secondo interminabile: "Cazzo. Cazzo. Cazzo. E adesso?"
Lui ha cinque anni in più, per cui mi spedisce all'apparecchio a cambiar canale.
Lo zapping si faceva così, allora: uno in piedi (io, sempre io) accanto al televisore, incapace di vedere alcunché da quella distanza (fate conto che gli ultimi modelli prima dell'avvento dell'LCD avevano una definizione di 800x600 su uno schermo da 21". Potete immaginare la nitidezza del Brionvega da 14" cacati del 1988...) e l'altro comodamente seduto a letto, con una mano sul mento e gli occhi fissi allo schermo, attento valutatore d'intrattenimento.
Gira che ti rigira i sei canali disponibili (Italia 7 valeva la pena solo dopo una cert'ora, Telelombardia era meglio appena svegli), incappiamo in un film che sembra proprio fico.
Su RAI 2, tra l'altro, solitamente nota per le sue trasmissioni spaccapalle tipo MIXER (non fate quella faccia! Avevo dieci anni. E mio fratello 15. Mica ci son nato, storico: eccheddiavolo!)
I titoli di testa scorrono impietosi, mentre il cielo del Colorado si riempie di scie di condensazione di caccia militari e una bella culona stringe un kalashnikov lumandole esterrefatta. Dissolvenza al nero, caratteri cubitali:


Il film l'abbiamo guardato tutto, fino alla fine.
Non mi sono addormentato alle dieci. E nemmeno all'una.
Ho passato la notte con gli occhi sbarrati temendo l'imminente attacco delle truppe sovietiche.
Già, perchè quel filmone che - allora non potevo saperlo - avrebbe segnato il mio immaginario per sempre, così fottutamente pieno di carrarmati, elicotteri, bazooka, paracadutisti e fucili mitragliatori, narra della prima invasione di un esercito straniero sul suolo statunitense in epoca moderna.
L'esercito in questione è la gloriosa Armata Rossa, coadiuvata da bandoleros nicaraguensi e cubani armati fino ai denti. Film dell'84, girato al culmine dell'edonismo reaganiano, è ambientato nell'89, paradossale anno di sangue che vede lo scoppio della Terza Guerra Mondiale (fa sorridere, anzi tirare un sospiro di sollievo pensare che in realtà l'89 è stato l'anno della distensione, col crollo del Muro e tutto il resto). Il mondo è diviso secondo strambe logiche territoriali: l'America invasa dal Blocco Sovietico è alleata con la Cina (dal medesimo blocco nuclearizzata fino alle ossa).
URSS e repubbliche socialiste di mezzo mondo fanno comunella, patiscono la fame per colpa della peggiore carestia di sempre e decidono che è il caso di invadere la Terra della Libertà e prosciugarne le risorse. L'Europa, denuclearizzata dai Terribili Ecologisti Tedeschi appena saliti al potere, se ne lava le mani.
Mondo bizzarro, ve l'ho detto. In un posto del genere può succedere davvero di tutto: tipo svegliarsi una mattina, andare al lavoro come sempre, e prima di sera ritrovarsi partigiani sulle montagne, a tritare l'invasore russo a colpi di M16. Succede a un giovanissimo Patrick Swayze (reduce della 56ma Strada) e ai suoi amici.
La guerra del millennio va avanti per un bel pezzo, con perdite ingenti su entrambi i fronti, ma come finisce non ve lo dico. Così, se vi va di recuperare questo pezzo di storia in home video, la sorpresa finale ce l'avete intatta.
Ora, direte voi, perchè cavolo ti sei messo a raccontarci questa maledetta storiella nel bel mezzo della recensione d'un romanzo? Quando cacchio attacchi a parlare del libro?
Subito, non temete.
Se vi ho raccontato di ALBA ROSSA è perchè il regista del film che mi ha sconvolto l'infanzia è, guarda caso, il co-autore del libro in questione, HOMEFRONT (Multiplayer.it 2011).
Di lui e delle altre due mani alla tastiera parliamo fra poco.
La storia di HOMEFRONT non si discosta molto dai presupposti del capolavoro dell'84. L'idea era talmente buona che andava approfondita, tenuta viva, debitamente aggiornata. Questa volta Milius colpisce nel segno: al posto dei russi metteci i coreani. Coreani del Nord, ça va sans dire, che nel 2025 hanno trasformato il loro paese nella Grande Repubblica di Corea annettendo il Sud e allargando spaventosamente i confini, dopo aver inglobato Giappone e altri stati limitrofi.
L'invasione del Sacro Suolo Americano è preceduta da un giantesco IEM che scaraventa i figli dello Zio Sam in pieno medioevo, senza elettricità nè acqua corrente. Ma gli esiti sono simili a quelli dell'89: in tutta la Nazione sboccia la resistenza. Resistenza fatta in casa, come la cheesecake.
I partigiani sembrano non avere possibilità contro gli spietati musi gialli, e invece ogni tanto gliele suonano, complici alcune carrettate di tecnologia militare come si deve.
La sto facendo semplice, ma il romanzo è parecchio documentato: rintraccia le origini della crisi statunitense in avventimenti risalenti al nostro presente e descrive nitidamente il tracollo finanziario e militare fin dal 2001: prima le Torri, poi la crisi dei subprime, l'esternalizzazione e la robotizzazione dell'esercito, la denuclearizzazione progressiva, le concessioni (a braghe calate) ai perfidi speculatori del Far East e infine il colpo di mano da parte delle serpi dagli occhi a mandorla. E tanti saluti alla bandiera (sostituita da una coreanizzazione del celebre vessillo a stelle e strisce, con lo stesso effetto del tricolore biancorossoblu sui caschi delle SS durante l'occupazione del suolo francese), alla mamma (stupri ed esecuzioni di massa sono all'ordine del giorno) e alla torta di mele (prima le risorse naturali del Nord America vengono depredate, e poi i cuore del paese viene avvelenato. Non vi dico come se non vi guasto la sorpresa). Il punto di vista del romanzo è duplice: HOMEFRONT è un western dove i buoni sono buoni e i cattivi cattivissimi, non ci sono santi.
Il buono si chiama Walker, faceva il giornalista scandalistico per un fogliaccio losangelino (talmente naif che Hush Hush, in confronto, sembra Nuovi Argomenti) quando è scoppiato il casino. Ha abbandonato la Città degli Angeli in groppa a una moto e ha finito per diventare La Voce della Libertà, il meglio deejay rivoluzionario in circolazione.
Il cattivo ha un nome fichissimo e tarantiniano: si chiama Salmusa, come le maledette vipere coreane. E' un figlio di puttana di tutto rispetto: uccide, tortura, impicca, devasta e sacrifica innocenti senza il minimo rimorso. Benson, si sa, ha una fissa per i villain asiatici e c'è da dire che questo gli è uscito parecchio bene.
Il libro viaggia come un treno, dipinge il cupo scenario dell'invasione in maniera vivida e lascia aperte diverse porte su scenari internazionali paurosamente probabili.
Se l'avessi letto a dieci anni, probabilmente non dormirei da allora.

GLI AUTORI

John Milius è una specie di genio. In carriera ha cesellato capolavori immortali come la sceneggiatura di Apocalypse Now e ha diretto vere e proprie pietre miliari: Un mercoledì da leoni e il già citato Alba rossa, tanto per dire. Ma, se date un'occhiata a wikipedia, rimarrete di sale per la quantita di chicche che sono passate per le sue manone.
Tuttavia, non è semplicemente un illuminato. E' anche un pomposo ciccione fascista che indossa volentieri magliette come questa.
Negli anni Ottanta, in cui Reagan si limitava a covare la demenza senile che l'avrebbe sconvolto di lì a poco, l'atteggiamento a cazzo diritto di John gli dava un certo tono e lo autorizzava a dipingere i russi come il Male Assoluto; nel XXI secolo, questo manicheismo spietato suona un po' demodé. Specie se ce la si prende coi nordcoreani, ultimi baluardo del vetusto spettro comunista sulla faccia della Terra.
Il punto è che il vecchio John non lavora solo, ma si accompagna a un ex nerd texano con un gran bel paio di palle e una penna cazzutissima: Raymond Benson, il tizio a cui la defunta Gildrose (ora Ian Fleming Publications) dal 1996 affida le avventure di James Bond. E' colpa di Benson e della sua avversione per i musi gialli se sempre più spesso negli ultimi lustri 007 si è trovato a rischiare il culo in Oriente.
Ecco dunque spiegati la presenza di Salmusa, i caratteri bianconeri da film di cowboy e indiani, i dialoghi ruvidi e gli scontri a fuoco ad alto tasso di testosterone (scontri a fuoco da dieci e lode, senti a me).

LA TRANSMEDIALITA'

Se l'esperienza Homefront si chiudesse qui, parleremmo di un bel romanzo di genere, scritto da due signori con i giusti gradi sulle spalline. Ma il romanzo non è che la punta dell'iceberg dell'esperienza transmediale: a poca distanza dall'uscita del libro, THQ pubblica il videogame omonimo per PC, PS3 e XBOX 360. Lo sparatutto in prima persona è parte integrante dell'universo narrativo: se volete sapere cosa diavolo è successo alla cellula rivoluzionaria di Montrose, Colorado, vi tocca procurarvi una console o una scheda grafica all'altezza, imbracciare il fucile e buttare giù più coreani che potete.
Il gioco, va detto, è parecchio tosto. Io sono una pippa, ok, ma persino in modalità FACILE mi tocca ripetere i quadri mezza dozzina di volte prima di farmi largo in mezzo a montagne di cadaveri dagli occhi a mandorla.
Nel videogame non s'impersona Walker, bensì l'ex pilota di elicotteri Robert Jacobs, ora guidatore di Goliath. Al povero Rob succedono un sacco di cose pazze: tanto per dire, all'inizio del gioco sta per essere portato in compo di concentramento in Alaska e viene salvato dai compagni. Da allora in poi gli toccherà vendere cara la pelle a colpi di AK47 e lanciagranate.
I dettagli sono per i nerd: ecco perchè THQ ha messo in piedi un wiki come si deve, dove ogni particolare della storia è raccontato per filo e per segno.
A noi interessa la portata enorme della rivoluzione narrativa di cui Milius e Benson, pasciuti signori d mezza età (67 anni il primo, 56 il secondo) si fanno promotori. Le idee saranno un po' datate. E anche la retorica cazzodurista a stelle e strisce, per carità. Ma sta di fatto che qualcuno, finalmente, ha capito che nel XXI secolo le storie hanno smesso di esistere su un supporto solo e strisciano liberamente dalla carta alla rete, dall'LCD di casa all'IMAX 3D del multisala (è già in lavorazione il film di HOMEFRONT, che ve lo dico a fare: per anni si è cianciato di un remake di ALBA ROSSA. Ora il fottuto arcano è stato svelato...).
Crossmedia storytelling, è così che funziona di là dall'Oceano. E la bordata è tanto potente che l'onda d'urto arriva fino a qui. Grazie a Diio, nell'asfittico e vetusto panorama dell'editoria italiana, di quando in quando nasce un fiore. Quel fiore si chiama Multiplayer.it, e vale la pena spendere due parole sul favoloso lavoro che la piccola casa editrice di Terni (che stampa a Città di Castello) sta portando avanti.

L'EDITORE

I videogame hanno smesso da un pezzo di essere roba per ragazzini. Soprattutto perché i ragazzini che giocavano a PAC-MAN sono diventati grandi (spesso padri di altri ragazzini, a loro volta game addicted) ma non hanno smesso di giocare. L'industria videoludica, negli ultimi trent'anni, ha avuto un'evoluzione dieci volte più profonda e radicale di quella che ha interessato la macchina del cinema. I giochi elettronici hanno rubato al grande schermo, alla TV, al fumetto e alla narrativa cartacea codici espressivi. Li hanno rimaneggiati, adattati, interpretati. Hanno reso interattiva l'esperienza morbosamente voyeristica della settima arte. Ci hanno catapultati dentro alle storie.
Il rinculo della bordata ha colpito, di rimando, i media da cui gli ingegneri del videogame hanno imparato a raccontare. Da qualche anno non solo autori di best seller come Tom Clancy si sono dati una svegliata e hanno deciso di firmare alcuni giochi di grande successo (si pensi alla saga di SPLINTER CELL), ma i produttori di giochi hanno avvertito l'esigenza del pubblico interattivo di proseguire la narrazione anche dopo aver riposto il controller. E' nato un genere, quello dei tie-in videoludici. Romanzi ambientati nei mondi dei videogame. Qualche esempio: basta sfogliare il bellissimo catalogo di Multiplayer.it per rendersi conto della fantsmagorica offerta.
STAR WARS, RESIDENT EVIL, GEARS OF WAR, DRAGON AGE, MASS EFFECT, METAL GEAR SOLID, DOOM, GILD OF WARS, BATTLESTAR GALACTICA, HALO. Per ciascuna delle saghe citate, ci sono almeno tre volumi pronti. Spesso di più.
Ok, direte voi, ma che razza di paccottaglia ci stai vendendo? Romanzi tratti da videogame? saranno robetta per ragazzini...
E qui casca il somaro. Provate a leggerne uno. Provate, soprattutto, a dare un'occhiata ai nomi degli autori: la saga di Metal Gear è affidata interamente a Benson, la nuova trilogia di Halo a Greg Bear (plurivincitore del prestigioso Hugo e del Nebula), e via discorrendo.
Non tutti i libri in questone sono capolavori, beninteso, ma spesso capita d'incocciare in autentiche perle. Scritte come si deve, con le radici affondate in un immaginario solido e polimerizzato e, last but not least, con una grafica da dieci e lode.
Anche qui, il piccolo editore ternano dà un milione di punti a tanti colossi della carta stampata.
Le copertine sono spaziali, la qualità delle immagini devastante, il sito della casa editrice spettacolare, le cartelle stampa e i contenuti bonus in rete corposi e di grande qualità.
Qualità è la parola chiave: Multiplayer.it ha scelto un terreno di gioco difficile e poco noto, ha investito con coraggio e sostanza, e ha rifilato una lezione di stile a tutti quanti.
Dice: ma quindi? Davvero è tutto perfetto? Il romanzo sparatutto è fico e senza sbavature, il videogioco pure, l'editore anche, ma non c'è nemmeno un difettuccio in tutto il pacchetto HOMENFRONT?
Purtroppo uno c'è, e bello grosso.
E tocca farci i conti.

LA TRADUZIONE

La traduzione, ahimé, non è all'altezza. Nè del testo originale (che mi sono letto integralmente, perchè è poco carino criticare il lavoro altrui senza valide argomentazioni), nè degli standard in circolazione. Il romanzo è uscito a poca distanza dall'edizione statunitense, dunque immagino che la traduttrice e i revisori abbiano dovuto correre a perdifiato per consegnare il lavoro nei tempi stabiliti, ma i passi falsi sono davvero troppi per non segnalarli.
Errori grossolani, come locazione per location (luogo, posto), venti e ventisei al posto di 2026 (lo so che in americano si legge così, ma è l'anno, non l'ora...) e una borsata di altre cose del genere.
In generale, però, è proprio il tono del narrato a risentire della cattiva traduzione. Alcune peculiarità della sintassi a stelle e strisce, come l'estrema sintesi consentita dall'aggettivazione a tutto campo, se trasposte alla lettera si rivelano stucchevoli. E azzoppano il pathos del racconto.
La traduzione fa davvero un brutto servizio al romanzo. Intendiamoci, è comunque leggibile, ma se ve lo sparaste in originale, avvertireste davvero quel brivido che noi imbolsiti nostalgici del testosterone anni '80 ancora proviamo quando il sergente Gunny Highway sputazza truce: "E' meglio che prendi nota: sono cattivo, incazzato e stanco. Sono uno che mangia filo spinato, piscia napalm e riesce a mettere una palla in culo a una pulce a duecento metri. Per cui vedi di andare a rompere il cazzo a qualcun altro".
Ecco, per colpa della traduzione questa roba non c'è.
E, se ci pensate, quando si legge l'opera più importante di un vecchio geniale ciccione fascista, dettagli del genere hanno una certa importanza.

CONCLUSIONE

HOMEFRONT vale i soldi che costa? Sì, 19 eurucci si possono spendere. Che poi, se ve lo acchiappate su AMAZON, costa pure meno.
L'unico problema è che, appena chiuso il libro vorrete spenderne 63,99 per il videogame. O magari solo 46,99 per la versione PC... ma sai che c'è? Con 'sta scheda grafica gira e non gira, 'spetta che aggiorno! Magari mi acchiappo anche il controller XBOX 360... E allora ciao.
In più, se masticate l'inglese e avete avuto la costanza di leggere fin qui, vorrete dare un occhio pure alla versione originale, che costa solo 5,97...
Insomma, alla fine della fiera, vi avrò fatto spendere tra i 75 e i 90 euro. Ma vi sarete resi conto di cosa vuol dire raccontare storie nel XXI secolo.
Stare al passo coi tempi non ha prezzo, bella gente.
Per tutto il resto... che ve lo dico a fare?