DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

sabato 1 settembre 2007

Se non ci fossero gli amici: due (bei) libri e uno che non ho ancora letto

Nel paese dei favori, delle mani che si lavano a vicenda, del malcostume della spintarella e della raccomandazione, se uno si azzarda a parlare bene di un amico, finisce nei guai.

Fa la figura del maneggione nepotista, del complottardo massonico assetato di carboneria.

Questo per dire che vi vorrei parlare di tre libri, ma siccome sono di amici, ho qualche remora a farlo.

I libri mi sono piaciuti davvero. Fin qui…

E gli autori, a parziale scanso di equivoci, li conosco, è vero. Si è parlato molto e diverse volte (magari con una birra davanti), ma non si è mai mangiato insieme. Per esempio.

Dunque non è come se facessi i complimenti a mio fratello o al mio migliore amico.

È una cosa diversa.

Vabbuò, fate come vi pare, datemi del raccomandatore di persone care (che, per inciso, non hanno bisogno di nessuna raccomandazione: vendono cento volte quello che vendo io), ma io di ‘sti tre libri vi parlo lo stesso.

Si parte con Nelle mani giuste (d’ora in avanti NMG), capolavoro del mio maestro Giancarlo De Cataldo. Dico capolavoro e non “nuovo romanzo” perché tra l’epopea di Romanzo criminale e questo libro c’è un solco profondo che arriva fino al cuore del Paese. NMG è il libro più ellroyano di Giancarlo. Ancora prima di leggerlo ne parlai con Pietro Cheli, di Diario, e me lo sconsigliò. Ne lessi male, i primi giorni che era in giro. Voci discordanti, insoddisfazione, “non è all’altezza di Romanzo criminale”.

Partii prevenuto. Dopo venti pagine mi accorsi che quelle che avevo letto sui giornali erano un sacco di balle.

Giancarlo usa la lingua come nessun altro. I suoi personaggi sono veri, pulsanti. Dicono e fanno cose da film vivendo immersi in un posto terribile. Che di fasullo ha poco o nulla.

E poi le donne... Le donne di De Cataldo (magari sfortunatelle e un poco maltrattate) sono strepitose. Animali feroci, ritratti di pancia. Che fanno sognare e danno i brividi.

Se pensi poi al Paese che Giancarlo descrive, un Paese che tutti ricordano fin troppo bene e che di Bello non ha proprio niente, capisci che questo signore sa fare il suo mestiere.

Sul libro di Giancarlo vi consiglio di leggere la recensione di JP Rossano. La trovate qui: molte delle cose che dice JP le sottoscrivo in pieno.

JP è il secondo amico di cui vorrei parlare; il secondo compagnuccio, se preferite.

E di rigore, l’imbarazzo dovrebbe essere ancora maggiore perché del suo libro ho letto solo qualche riga.

Eppure…

Il libro si chiama L’ultima stoccata ed è edito da Il Molo.

È una storiaccia nera piena di cattivi, cruda all’inverosimile, con un detective privato che ha a che fare col più grande dei difetti nostrani (dopo il nepotismo, beninteso): la brama di potere.

Storia che garba facile al palato del sottoscritto, ma non è questo il punto.

Il punto è che JP scrive bene. Ci siamo conosciuti in rete e spesso scambiamo pareri e sagaci battute in tema di noir. Abbiamo in comune la passione della penna e del nero. E JP sa vedere (e raccontare) angoli che nessuno indaga, pieghe del nero inusuali, forti e difficili.

JP sa quello che fa con le dita sulla tastiera.

Per cui, se vi va, date un’occhiata al suo lavoro. E se invece volete risparmiare 11 eurucci, fate almeno un salto sul suo sito.

L’ultimo amico con cui voglio chiudere è Enrico Brizzi. E qui potete dirmi poco o nulla, davvero.

Io ed Enrico ci conosciamo per colpa di un amico comune: il regista Matteo Bellizzi (regista del booktrailer di Confine di Stato). E ci capita di tanto in tanto (l’ultima volta a Torino a maggio), di trovarci nella stessa stanza (generalmente con Matteo) a fumare Marlboro e raccontare aneddoti improbabili (e, rigorosamente, veri): tipo quella volta che Mr. Jack Frusciante alloggiò a Torino in un famoso hotel e, appena arrivato da Bologna, a tardissima notte, nella hall si beccò Bono Vox e Gorbaciov abbracciati come Franco e Ciccio…

Quindi, amici amici proprio no.

Conoscenti, forse. Ecco.

Mani avanti perché, anche in questo caso, ho adorato il suo ultimo romanzo.

E mica siamo partiti col piede giusto. A dire il vero, di suo, non avevo mai più letto nulla dai tempi del Jack Frusciante. Mica per sfiducia: Jack l’ho adorato, da ragazzo. Solo per fatalità. Enrico non scrive esattamente le cose che scrivo io, per cui…

Però Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro l’ho comprato. Vuoi perché eravamo a Torino e lo stava presentando, vuoi perché pareva molto ma molto brutto sedersi con lui e mille altri amici che avevano la propria copia sotto il braccio…

Ed è rimasto nello scaffale fino all’ultima tranche di vacanza.

Peccato. Perché è un libro da leggere all’inizio della primavera, quando i venti caldi spaccano l’inverno, e ti viene voglia di partire. Il pellegrino è la storia di un viaggio. Un viaggio che Enrico ha fatto veramente, l’estate scorsa. Un viaggio da Canterbury a Roma, lungo la Via Francigena.

A piedi.

Sì, signori, non fate quelle facce.

Non-so-quanti-cacchio-di-mila chilometri a piedi.

Un viaggio lungo una stagione. Un viaggio fatto l’estate dei Mondiali attraverso quattro nazioni.

Un viaggio che fa tremare i polsi.

Stupendi personaggi (su tutti Bern, il pellegrino tedesco tatuato a sfondo religioso dalla vita in su), una scrittura che fa sognare, non si discute.

Ma questo è soprattutto un libro che mette voglia di parte. Perché i luoghi sono reali, e sai che Enrico ci è passato davvero.

E quando lo vedi che si aspira una Marlboro dopo l’altra mentre ti spiega che sapore ha l’acqua sul Gran San Bernardo, pensi che, anche se pesi un quintale e il tragitto più lungo che fai è da casa al lavoro (cinquecento metri), potrebbe esserci anche per te della strada da fare.

Questo è quanto, signori.

Leggete, se gradite.

E fatemi sapere.

Io non vi do i soldi in dietro come Serino, ma mal che vada avete già comprato tre ragali di Natale.