DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

mercoledì 1 agosto 2007

Nuovi link nella sezione Cool Stuff

Date un'occhiata. Aggiunti il sito di Lucarelli, della Lipperini, di Vibrisselibri, ecc.
Tutta roba indispensabile, se vi piace quello che piace a me.
Sarò pedante, ma ve lo ricordo anche in questo post: NON DIMENTICATE BOLOGNA (e leggete il post sotto)

Bologna choc: ventisette anni dopo


Cliccate qui, fate la cortesia.
Cliccate qui adesso, per non dimenticarvi, domani, di puntare il videoregistratore.
Domani, 2 agosto, ventisettesimo anniversario della strage di Bologna, alle 10.25 (ora in cui la bomba esplose, ventisette anni fa) su History Channel andrà in onda il documentario di Enzo Cicco e Giorgio Lolli su quel giorno orribile.
Più che di documentario sarebbe più corretto parlare di documento, dal momento che Cicco e Lolli, nemmeno ventenni, quel giorno si fecero strada tra la polvere, il sangue e le macerie per dare una mano.
E, più o meno consapevolmente, con le loro videocamere fecero testimonianza. Immortalarono storia e tragedia.
Non dimenticatevi, domani, di Bologna.
E tenete gli occhi aperti sullo schermo finchè ci riuscite, chè immagini come queste valgono più delle mille parole degli scribacchini come il sottoscritto.

Personaggi schedati: qualcosa su J.A.S.T.

Quello che sto per dire c’entra con J.A.S.T., la spy-story collettiva a cui sto lavorando.

Ma c’entra anche col mio modo di immaginare le storie. Di costruire le trame, di annodare il racconto.

C’entra col mio modo di scrivere.

Questo è il primo vero post di “officina” che compare sul questo blog. E dal momento che questo spazio è nato proprio per svelare i ferri del mestiere, per aprire una finestra e permettervi di vedermi al lavoro, non perdiamo tempo e andiamo al sodo.

Da alcuni giorni, su suggerimento del mio editor in Marsilio, ho iniziato a preoccuparmi di ciò che i miei personaggi sentono molto più di ciò che fanno. Finora ho sempre proceduto strutturando la trama in cemento armato. Progettando ogni singolo meccanismo narrativo, agendo come un demiurgo senza cuore sulla storia.

Non che mi sia intenerito a riguardo, per carità. Ma se voglio che i miei personaggi acquistino tridimensionalità, devo conoscere i loro sentimenti prima di decidere cosa far loro fare.

Dal momento che devo sapere esattamente come reagiranno di fronte a questa o quella situazione.

Se li farà soffrire, se li agiterà, se lo faranno controvoglia o con grande trasporto emotivo.

La trama rimarrà sempre una grande preoccupazione. E i meccanismi narrativi saranno perfetti, oliati e funzioneranno al meglio delle loro potenzialità, ve lo prometto.

Ma d’ora in avanti, anche i personaggi risulteranno meno bidimensionali. I cattivi saranno sempre cattivi, per carità. Al male puro non si cambia faccia. Ma sarà interessante vedere come il nero assoluto cambia tono e lucentezza su sfondi di diverso colore.

Senza stare a girarci troppo intorno, vi parlerò di uno dei personaggi di J.A.S.T., stando attento a non spoilerare (rovinare la sorpresa è peccato mortale), ma comunque facendovelo conoscere per quello che è.

Questo tizio è un uomo. Un adulto, potremmo dire senza troppi complessi.

E siccome J.A.S.T. è una storia di spie, non faticherete a immaginarvi che lavoro faccia.

Detto questo, è bene sfatare un gran bel cliché (che nel mio Confine di Stato ho ampiamente contribuito ad alimentare): non tutte le spie assomigliano a James Bond. Come amava ripetere Dulles, direttore della CIA di qualche anno fa:

"Nella realtà James Bond avrebbe avuto un grosso dossier a suo nome al Cremlino dopo la sua prima impresa e non sarebbe sopravvissuto alla seconda."

Detto questo, le spie non hanno macchine da duecentomila dollari, vestiti firmati, non sono alte un metro e novanta e non sono sempre cool.

Questo per il semplice motivo che non ce ne sono molti, in giro, di tizi così. E quelli che ci sono si notano a chilometri di distanza. Dunque le spie hanno la pancia, gli occhialini, qualcuna un po’ d’acne, qualcuna il riporto. A volte vestono alla moda e a volte sono prive di gusto. A volte la mancanza di gusto è una ragione di servizio. E non immaginatevi travestimenti alla Lupin III.

Le spie sono reali. E quella di cui mi sto occupando io sente il peso di questa realtà schiacciargli le spalle.

Il mio uomo ha pensieri reali, reali preoccupazioni. Reali rodimenti di culo.

In barba all’insegnamento di Kurtz a Sterling al campo di Ultor:

“L’addestramento sviluppava una vocazione: disinteressati di te, delle eruzioni di imbarazzo, degli assalti e degli insulti. Impara a non essere niente. Impara a vedere tutto. Impara a uccidere.”

Il lavoro di intelligence ha tante facce. E non tutte assomigliano a quella sporca e cattiva degli operativi.

C’è il controspionaggio statico, che non è poi tanto diverso da un qualunque lavoro d’ufficio.

E come un qualunque lavoro d’ufficio genera noia, frustrazione, stress.

Questo è decisamente un bel mondo da indagare.

E non necessariamente tutte le spie sono dei lupi solitari come Sterling. Dediti alla causa come samurai.

L’intelligence può essere un lavoro importante, ma c’è posto per dell’altro nella vita di una spia. C’è posto per i dubbi e per gli affetti. C’è posto per la rata del mutuo e per le vacanze al mare.

Se smette di essere uomo e diventa automa, il soldato dell’informazione diventa macchina. Perde il contatto col reale. Questo non succede al mio uomo.

Almeno non subito.

E, anche nella vita di una spia, l’evoluzione degli avvenimenti (della storia, nella fattispecie) genera mutamento, stuzzica lati del carattere sopiti, fa sbagliare e recriminare. Crea problemi.

Questo è uno degli universi possibili che vorrei indagare nel mio personaggio.

Detto questo, detto niente.

E detto fin troppo.

Per cui, per ora, passo e chiudo.

Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità.

Ci ritorneremo, ci ritorneremo…