DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

sabato 25 agosto 2007

Per vedere ‘sta cazzata: cronaca greca di una settimana bollente


“…Per vedere ‘sta cazzata!” è una frase ricorrente dei viaggi miei e di mia moglie. È la frase che di solito pronuncio dopo aver percorso chilometri sotto il sole o nel freddo, giungendo sconsolato di fronte a qualche reperto storico magnificato dalla guida di turno. Negli anni è diventato un modo di vivere, quasi un cliché narrativo, e nessuno si offende più se io, a metà percorso, inizio a canticchiare: “Per vedere… Per vedere…” (esiste anche un motivetto abbinato allo slogan: lo inciderò in mp3 e lo posterò sul sito, promesso).

A questo giro, l’espressione di famiglia si è sprecata, ed è stata una Grecia un po’ meno convincente del solito.

Non sono mancate, ad ogni modo, le piacevoli sorprese.

Ma andiamo con ordine.

Partenza traumatica da Malpensa vecchia all’alba e alle otto, freschi come delle rose (rose che non hanno dormito per trentasei ore), appoggiamo le valigie sul suolo greco. Ritiro la macchina in cinque minuti (l’uomo dell’AVIS è efficiente ovunque, da Bangalore a Punta Raisi. Effetti collaterali della globalizzazione) e alle nove siamo già in viaggio verso il nulla.

Lo dico per chi non c’è mai stato: nei piccoli paesi ellenici dare un nome alle strade pare sia peccato. Per cui l’unico modo di trovare l’hotel è andare a chiedere in qualche bar e tentare di farsi spiegare la strada in un esperanto dei viaggiatori che sa d’inglese, greco e turco.

Così facciamo, ma l’uomo, in cambio dell’indicazione, pretende che ci si fermi ad abboffarsi nella sua taverna.

Calamari, insalata greca e un lontano parente del frico di cui ora mi sfugge il nome.

Il tutto innaffiato dalla locale Mythos e da due dosi da portuale di raki.

Per farvela breve: niente turismo culturale il primo giorno; pisolino e cenetta leggera. E arrivederci.

Da venerdì inizia il tour de force, altresì detto nazi tourism: se si va in un posto occorre vedere TUTTO. E poco importa se occorra svegliarsi alle sette e sciropparsi duemila miglia in macchina.

Per cui, vai col MUSEO ARCHEOLOGICO di Heraklion (chiuso per metà: dieci euro di biglietto per quattro frammenti di mosaico e una brocca – pure bellina – a forma di toro), la GROTTA DI ZEUS (saltata a piè pari: di fronte all’impervia salita preferisco una birra sotto le fresche frasche, mando la dolce metà in avanscoperta e mi accontento delle foto sulla digitale), le città di CANDIA e RETHIMNOS con quaranta gradi all’ombra.

Come? Mare, dite voi? Nei ritagli di tempo.

Sì perché c’è ancora da vedere l’ultima e la più strepitosa delle bellezze dell’isola di Creta: IL PALAZZO DI CNOSSO.

Premesso che temendo l’insolazione si punta la sveglia alle sette e mezzo (e già la giornata non ti sorride…), al palazzo è comunque impossibile arrivare prima di mezzogiorno.

Lontano, direte voi… Per nulla.

Il problema sono le autostrade greche. Il greco, fiero e rigoroso, non concede seconda possibilità: se a Roncobilaccio non vedi le indicazioni, puoi uscire e rientrare nel senso di marcia opposto.

Se a Creta ranzi l’indicazione KNOSSOS (scritta in greco e grande quanto un Gronchi rosa), affaracci tuoi.

Puoi solo fare inversione in piena autostrada (ma magari ti stuzzica l’idea di tornare vivo) o rassegnarti: l’unica via che ti riporterà al punto di partenza è una mulattiera spersa nei campi. Ti toccherà attraversare un mare d’ulivi e sentieri sterrati, farti quasi sparare dalla sentinella d’una base segretissima immersa nei boschi e stare molto attento a non investire la classica nonna greca (modello base: completo nero e fazzoletto in tinta legato sotto il mento).

Così, a mezzogiorno, quando il sole è allo zenith, ti ritroverai nel bel mezzo del Palazzo.

La storia la conoscono anche i bambini, e mia moglie me la ricorda per lenirmi l’insolazione e far sembrare meno scema la mia bocca spalancata per l’arsura: mi dice di Teseo e Arianna, ma soprattutto di Pasifae, che per capriccio divino, s’invaghì di una bestiola da tre quintali destinata al sacrificio e ci fece pure un figlio.

Chi non fosse sazio di dettagli pulp, può cliccare qui.

La visita dura una mezz’oretta, non di più. E non ricordo, giuro, quanto ho sborsato per il biglietto (l’ho comprato in bundle con quello del museo archeologico).

Ma quando finalmente guadagno la sommità del palazzo, mi appoggio tronfio a una delle due colonne ridipinte di rosso per i turisti (quella vera, l’altra è di cemento armato) e scruto finalmente l’enorme distesa di vasi finti, pietre vere interpolate da ferro, cemento e plexiglas e prato all’inglese, non posso che esclamare il più soddisfatto e fragoroso dei PER VEDERE ‘STA CAZZATA!

Questa la parte buffa e meno soddisfacente del viaggio.

Ma, come dicevo in principio, qualche soddisfazione c’è stata.

Il cibo, per esempio, ma soprattutto i prezzi. A pranzo non si è mai speso più di dieci euro per ingurgitare dell’ottima Pita farcita.

E a cena, è il caso di dirlo: mollami…

Il meglio fritto di pesce e la meglio moussaka, col meglio vino a prezzi ridicoli: trentacinque euro massimo. In due, s’intende.

E infine, gran godimento estivo sotto l’ombrellone (che, per inciso, con due sdraio costava sei euro al giorno. Quasi come a Forte dei Marmi…): la lettura.

In una settimana scarsa ho divorato due libri e mezzo (l’ultimo lo sto finendo in questi giorni).

KAI ZEN, LA STRATEGIA DELL’ARIETE

RIZZO-STELLA, LA CASTA

BRIZZI, IL PELLEGRINO DALLE BRACCIA D’INCHIOSTRO

E su questi libri, potete giurarci, ci scapperà qualcosa in più d’un post…