DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

martedì 25 settembre 2007

Due parole su Dalla Chiesa e Giannini

Pubblico questo post rubando la connessione a un amico generoso. La latitanza del provider persiste, ma ogni tanto riesco ad ovviare. Chiedo scusa a tutti quelli che mi scrivono, per i lunghi ritardi nelle risposte. Come diceva quel signore con la faccia bianca, "Non può piovere per sempre". Prima o poi l'esilio telematico finirà. Per ora, beccatevi questo "posticino" su tv e dintorni. A parziale ricompensa dell'affetto di voi lettori nonostante la serrata forzata.

Questo post, oramai, è stravecchio, ma conserva una sua dignità dal momento che è stato scritto il giorno prima che Cheapnet mi staccasse la spina.

L’argomento, di per sé, non è più così attuale (è passata qualche settimana), ma credo che valga la pena spenderci un paio di parole. Specie perché ha molta attinenza con ciò di cui parlo in Settanta.

La fiction su Dalla Chiesa. Parto diretto, così ci capiamo subito: non mi è piaciuta.

Doverosa premessa: mi sono fermato alla prima puntata. La seconda non l’ho vista perché ero fuori a cena.

Mi riprometto di guardarla prima o poi, ma temo che non possa cambiare radicalmente le mie impressioni.

Il mio riferimento assoluto, in termini di fiction italiana, è ancora l’inarrivabile PAOLO BORSELLINO alla cui sceneggiatura collaborò De Cataldo. È uno standard piuttosto alto, ne sono conscio. Ma credo che tra tanta paccottiglia sia l’unico tentativo riuscito. Almeno fino ad oggi.

Nel lavoro di De Cataldo e soci i protagonisti sono estremamente reali e i dialoghi sono piccole opere d’arte (uno su tutti, quello tra Falcone e il boss all’Ucciardone).

Non discuto gli aspetti squisitamente cinematografici (fotografia, regia, ecc.), ma l’ensamble regge per tre ore e fischia, con momenti di grande pathos ed emozioni forti da blockbuster “ammerigano”.

Se veniamo al Dalla Chiesa di Canale Cinque, invece, l’impressione non è tanto diversa da quella che mi lascia in bocca il R.I.S.: vorrei ma non posso.

Come ho già scritto altrove, trovo controproducente scimmiottare una grammatica che non ci appartiene.

Riproporre pedestremente inquadrature, dialoghi e situazioni che in mano a Bruce Willis fanno sognare, messe in scena dai nostri attori fanno a malapena sorridere.

Mi riferisco, nello specifico, all’irruzione nel covo delle BR, alle sparatorie, alle semplici risse, agli inseguimenti.

Maurizio Merli e Luc Merenda parevano divi di Hollywood a confronto delle guardie e dei ladri che ho visto l’altra sera.

Inoltre, se la buonanima del Maurizione nazionale se la doveva vedere al massimo con Milian (ai tempi di Roma violenta ancora serio e compassato nei panni del Gobbo), questo manipolo di attori così così proprio non poteva reggere il confronto con Giannini. Sfida impari: quattro a zero e tutti a casa.

Giannini, oltre ad avere la voce più bella del panorama del doppiaggio italiano (dopo la dipartita del buon Ferruccio, tocca a lui tirare la carretta), è un signore che il mestiere lo fa da qualche anno. E per inciso l’ha sempre fatto da Dio: se pensate al passaggio dal mozzo terroncello di wertmulleriana memoria all’ispettore malandato che dà la caccia ad Hannibal Lecter, capirete di che parlo.

Giannini è un’interprete vecchio stile con una voce da un milione di dollari. Se non gli affianchi al Pacino (e già… E poi chi lo doppia?), la sua presenza triterà chiunque. Per cui, i comprimari con l’accento di Portici o del Testaccio paiono fuori luogo a fianco di cotanta raffinatezza, rendono la scena surreale.

L’unica interpretazione che vale qualcosa è quella del folle intervistatore al citofono di Parla con lei. Geniale: il suo è un brigatista hard-core. Di quelli veri. Gli altri (Curcio per primo) sono macchiette finto U.S.A.

L’insieme è “vorrei ma non posso” perché la storia del movimento e delle Brigate Rosse è eccessivamente stigmatizzata. E Dalla Chiesa è vittima del solito approccio delle fiction biografiche di casa nostra: l’agiografia.

Ora, sono conscio che scrivere un lungometraggio su un uomo di Stato sia sempre un casino. Specie se si tratta del tipo di uomo di Stato che piace a tutti, perché combatteva i cattivi ed è pure morto sul lavoro.

Creerebbe problemi un personaggio come Pertini, di cui nessuno s’azzarderebbe a dir male (e invece, a sentir chi l’ha conosciuto, non era ‘sto stinco di santo e nemmeno ‘sto gran statista. Pare preferisse le strisce di Tex e Nembo Kid a Levi e Pavese e che avesse il terribile viziaccio di barare al gioco). Figuriamoci un’icona come Dalla Chiesa.

Però, come mi hanno fatto notare i Wu Ming a proposito di Confine, se fiction e storia devono andare a braccetto (e la fiction vuole accollarsi una funzione pseudo-didattica), allora bisogna contarla giusta.

Dalla Chiesa è stato un immenso servitore dello Stato. Ma nel suo passato ci sono macchie pesanti, come l’iscrizione alla P2. E nel tv show sembra che ci sia costretto dagli eventi. Addirittura passa una notte insonne e il mattino dopo va a levarsi d’impiccio. Ma mi sa che la questione era un po’ più complicata…

Dalla Chiesa è stato un duro avversario della criminalità organizzata e del terrorismo rosso. E da combattente sapeva che in guerra nessuno risparmia nessuno. L’introduzione degli Speciali non fu una semplice reazione alla eccessiva violabilità delle carceri nostrane. Fu un atto di guerra.

Stesso discorso vale per la durezza della sua repressione nei confronti delle BR. Dalla Chiesa non si tirò indietro quando fu ora di dimostrare a quegli uomini di ferro quanto fosse tutta d’un pezzo la sua volontà di schiacciarli. A Genova, si macchiò dello sterminio di un intero commando terrorista. Sorpreso nel sonno e trucidato senza il minimo ripensamento. Anche quello fu giudicato come atto legittimo. Perché a tutti gli effetti si trattava di un’azione di guerra.

Guerra sul suolo italiano. Guerra di Italiani contro Italiani.

Questi erano i Settanta e questo era il lavoro che toccò a quell’uomo. Lavoro da soldato, non da sbirro.

E invece in tv lo si vede sempre e solo come un uomo per bene che faceva ciò per cui era pagato. Che non sparava mai per primo o alle spalle.

Stesso discorso si può fare sulle BR.

La realtà del movimento non era quella del commando da operetta che abbiamo visto in tele.

Pare di stare a guardare i terroristi che si affannano a non far dormire Jack Bauer. Soldatini pazzi e determinati che mettono in scena una rivoluzione blasé, tutta palle e mai un passo indietro.

La complessità del movimento sfugge all’icona televisiva. L’aria irrequieta dei covi non arriva allo spettatore. Non arriva la determinazione degli organizzatori e non arrivano i dubbi degli operativi. Non c’è la polemica sull’innalzamento dello scontro che portò al sequestro e all’uccisione di Moro. Non ci sono le vittorie fortuite dei terroristi che si trasformano in bandiera per il reclutamento. Non c’è la strafottenza dello Stato nei confronti dell’organizzazione. Non c’è la manipolazione dei dirigenti di colonna sui ragazzi che fecero fuoco.

Non c’è l’immagine nitida del folle sogno di pochi che si tramutò in un grido disperato: in Inghilterra i Pistols suonavano nei giradischi dei ventenni arrabbiati. Da noi, in quegli anni, la rabbia si tramutò in P38, in mano ai coetanei dei fan di Rotten e soci. E lo Stato se ne accorse quando oramai era tutto fuori controllo.

Tutto questo non l’ho visto in tv l’altra sera. Ho visto solo un’occasione presa al volo da sceneggiatori e producer: trasformare in un clone di CSI trent’anni di storia recente.

I‘m so sorry, folks, ma non è questa la fiction che ho in mente.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Allora...
Cominciamo con il dire che la fiction (dal latino "fingere", ovvero finzione) sul Generale dalla Chiesa non è piaciuta neanche a me. E per niente.
Il motivo credo d'averlo spiegato qualche post fa: finché non la smetteremo di scimmiottare gli "ammerrigani", con prodotti di qualità sicuramente più infima, dal budget risicato e con sceneggiature ad uso e consumo delle casalinghe di Voghera, non si troverà mai la "via italiana" alla fiction, e questo è triste nel paese che con i teleromanzi di fine anni '50-inizio anni '60, ha saputo diffondere agli spettatori la cultura traendola dalla letteratura "alta" dell'otto-novecento europeo.
In quanto al resto...
Quelli erano i Settanta (...), è vero; e chi non c'era non può nemmeno lontanamente immaginare cosa fosse l'Italia in quel periodo. Il movimento del '77, la sua repressione Kossighiana (nel senso di Kossiga), le diverse correnti che lo animavano in conflitto tra loro (memorabili gli scontri tra Lotta Continua e le femministe), i collettivi politici nei licei e nelle università, i gruppi di autocoscienza, l'austerity (quando la tv e i cinema chiudevano alle 22.30 per via della crisi petrolifera e le domeniche le auto non circolavano), l'assassinio politico del Vate Pasolini, autore di quell'"Io so", il primo VERO, j'accuse verso la classe politica dominante in quegli anni, il timore di svegliarsi una mattina e di ritrovarsi con i carri armati per strada come la televisione mostrava accadere negli stessi anni nel Cile dei "carabineiros" di Pinochet e nell'Argentina dei generali golpisti, lo Stato di diritto che rischiava di andare a farsi benedire...
Detto questo:
Non credo che il Generale dalla Chiesa sia mai stato massone e realmente iscritto alla P2. Ci sono troppo testimonianze contrarie, che la sola parola di Kossiga non basta a confutarle. E questo per il suo essere inviso alle alte gerarchie militari dell'epoca, praticamente tutte iscritte alla massoneria deviata di Gelli, invidiose anche dei suoi successi in campo lavorativo. Quindi, perché avrebbero dovuto accoglierlo tra le loro fila? Per metterlo a tacere? Per renderlo innocuo? Ci avevano già pensato e si sono mossi per tempo, facendo in modo di svuotarne le funzioni operative e farlo finire ad insegnare il suo mestiere, sino al suo assassinio, nel 1982, proprio nel momento in cui stava per cominciare a ripulire la Sicilia dal bubbone mafioso.
E a tal proposito, io starei attento a definire "sterminio" il conflitto a fuoco di Genova: si vuol forse far passare i brigatisti per degli stinchi di santo o per degli innocui bambini che giocavano a guardie e ladri?
In quanto al compagno Sandro Pertini, non potrà esserci mai nulla che mi farà cambiare opinione sull'ultimo politico di specchiata onestà morale e di genuino interesse per il "suo" Paese e i "suoi" concittadini, l'ultimo capace di aggregare intorno a sé la società civile e compattarla contro il nemico comune del terrorismo d'ogni colore, restituendo alle istituzioni quel poco di credibilità che ancora avevano. Avrà anche preferito Tex e Superman/Nembo Kid a Levi e Pavese, ma che male c'è dopotutto? Anch'io non ho mai digerito Hemingway, e questo fa di me un cattivo soggetto o un fruitore di cattiva letteratura?
In quanto allo Stato "strafottente" nei confronti delle Br, chi, come te, sta scrivendo "Settanta", dovrebbe sapere che nella realtà, una "parte" di questo stesso Stato così definito, era in combutta, complice, se non addirittura istigatore, delle imprese dei terroristi (do you remember Mario Moretti?), e parlo di quella parte che coincideva con la P2, mica bau bau micio micio... Poi, non dimenticarti che la fiction la trasmettevano su una rete Mediaset, ovvero un network che permette ad un suo telegiornale (per usare un eufemismo) diretto da un avanzo d'avanspettacolo, che dalla Chiesa fu ucciso dalle BR e non dalla mafia. Per tacer del fatto che il suo editore di riferimento è uno che negli elenchi della P2 risultava iscritto per davvero, e che nei Settanta edificava complessi residenziali nella periferia di Milano con i soldi datigli dalla Banca Rasini, infiltrata dalla mafia e dalla loggia di Gelli, e che nella sua villa di Arcore per stalliere aveva un boss di Cosa Nostra...

Mario Uccella

mark71 ha detto...

Concordo con il commento precedente.
la fiction sul generale Dalla Chiesa è un castigo di Dio per lo spettatore ma lo sono anche le altre di questo genere , Rai o Mediaset poco importa !
Per quanto riguarda l'adesione del generale Dalla Chiesa alla P2 , l'ipotesi più probabile è che egli si sia avvacinato alla loggia coperta per saperne qualcosa di più , infatti dai tempi delle bombe di Savona (1974 - 1975) , cercava di capire se la massoneria fosse implicata nella strategia delle tensione , inoltre , alti ufficiali dell'Arma iscritti alla P2 cercavano sicuramente di blandire il campione della lotta al brigatismo. Peraltro , secondo alcuni collaboratori del generale come Bozzo e Arlati , all'interno della Divisione Pastrengo esisteva un gruppo di potere legato alla P2 che non vedeva di buon occhio Dalla Chiesa. In realtà si cerca di far discendere l'adesione di Dalla Chiesa alla P2 da quella di suo fratello Romolo , ma ciò non si può ritenere corretto...
Per ciò che concerne la BR , la loro storia è talmente complessa che è difficile pretendere da una fiction del genere qualsiasi discorso serio e approfondito. Mi sento di concordare con il fatto che nella lotta armata di sinistra si siano verificate parecchie zone d'ombra ed ambiguità e i personaggi più ambigui sono stati proprio i capi brigatisti come Moretti e Senzani. Che poi le BR non fossero degli stinchi di santo è veramente pacifico. C'è stato un periodo in cui non passava giorno senza un assassinio o un ferimento rivendicati da sigle brigatiste e consimili , spesso con motivazioni risibili...
Per concludere il generale Dalla Chiesa era senz'altro spregiudicato nei mezzi adottati per combattere il terrorismo. Poliziotti e carabinieri non andavano certo per il sottile , tuttavia i terroristi (di destra come di sinistra)sparavano per uccidere in caso di confronto con le forze dell'ordine. Il terrorista nero Tuti , per dire , aveva ucciso due poliziotti e ne aveva ferito un terzo prima di scappare. In questo caso cosa possono pensare dei poliziotti o dei carabinieri che agiscono sul campo ? O la mia pelle o...
Sul caso dell'irruzione in via Fracchia , poi , non c'è accordo su quanto è successo , perchè i carabinieri di Dalla Chiesa hanno sempre affermato di aver risposto al fuoco e sembra che uno di loro ci avesse rimesso un occhio. Tra i presenti nel covo era presente anche un certo Dura che era uomo di fiducia di Moretti e che , un anno prima , aveva assassinato a sangue freddo il sindacalista Rossa. Non un delinquente qualsiasi dunque... Si può concludere che la reazione fu eccessiva , maè molto arduo affermare che si agì "a freddo".
E Pertini ? Ce ne fossero di uomini così , oggi...

Ciao

Marco V.

Anonimo ha detto...

Sempre a proposito di fiction made in Usa, consiglierei anche "Dexter", la storia di uno anatomo-patologo della polizia di Miami, che ha la particolarità di essere (di giorno) un affermato professionista, stimato nel suo campo, e (di notte) efferato serial killer della fauna criminale della città che vede le gesta del Miami Dade di Horatio Caine e company. L'attore principale è stato anche protagonista di "Six feet under" (interpretava il fratello gay).
Ve lo figurate da noi, Lorenzo Flaherty (il capitano Venturi di RIS) che di notte se ne va in giro ad ammazzare papponi, pusher e pedofili? Altro che Moige!!

Mario Uccella

Simone Sarasso ha detto...

@Mario:
Mi sono appena procurato la Season One di Dexter (rigorosamente in lingua originale) e mi frego le mani dalla voglia di vederla.
Tra l'altro in America sarebbe cominciata anche la seconda serie di Heroes, per cui... Ma su Heroes mi sa che varrà la pena farci un post dedicato.
@Mario e Marco (su Dalla Chiesa e soci): la mia non era una critica al rigore storico. Interessa più ai compagni Wu Ming che al sottoscritto. Non discuto sulle licenze che si son presi gli sceneggiatori di Dalla Chiesa, discuto sullo stile.
E se di stile si tratta, i discorsi sulla P2 e soprattutto su Pertini acquistano una nuova prospettiva.
Perchè non si prova ad andare più a fondo, oltre l'immagine pubblica consolidata?
Un eroe non è meno eroico se è pieno di difetti.
Pertini (che porto nel cuore da sempre) lo sentirei ancora più vicino se sapessi che aveva quel difettuccio di barare. Più umano. più vicino. Ecco