DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

giovedì 28 febbraio 2008

Rambo, Terminator e l’inevitabilità degli Ottanta


Meglio partire diretti, così ci leviamo subito il dente: io odio gli anni Ottanta.

Nonostante questo, sono d’accordo con Saverio Fattori che non si possa non fare i conti col deprecabile decennio. In questo periodo di alacre stesura del nuovo romanzo sono così immerso nei Settanta che a momenti mi dimentico quello che è venuto dopo.

Nato nel 1978, del decennio di piombo non ricordo, ça va sans dire, nulla. Ma ho studiato lo studiabile, ascoltato il necessario e visto il fondamentale.

Risultato: amore a prima vista.

Negli Ottanta, invece, ci sono cresciuto. E rimembro con sommo dispiacere la musica orribile, Reagan e quel torbido senso di successo a tutti i costi che serpeggiava nell’aria.

Detto questo, senza gli Ottanta non credo che potrei scrivere ciò che scrivo.

La sofferta riflessione è nata ieri sera, dopo la visione di John Rambo, il quarto capitolo della stallonica saga che dura da più d’un ventennio.

Io e il mio socio Rudoni, lasciate a casa mogli e fidanzate, eravamo in cerca di un filmaccio ammazza ammazza, un paio di panini con salsiccia e due birrone da competizione.

Spettacolo delle 20.00. Numero di persone in sala: 4 (compresi noi due).

Tutto prometteva per il meglio.

Vi spiego: non è masochismo, è pura voglia di trash. Anni fa organizzavo serate analoghe a casa mia, affittando i peggiori Van Damme (quello con Dennis Rodman guest star era il nostro preferito) o rivedendo a ripetizione le puntate registrate di Sledge Hammer (vera chicca per intenditori. Una delle poche cose decenti prodotte negli Ottanta).

Be’, che vi devo dire? Ieri sera si è comunque mangiato pesante, ma si è finiti a vedere un gran bel film.

C’era tutto quello che ci aspettavamo (Stallone con la fascia che spara con un’enorme mitragliatrice), ma in mezzo alle pallottole c’era qualcosa in più. E non mi riferisco all’ambientazione Birmana, con l’ultraviolenza quasi documentaria.

Parlo piuttosto di regia e caratterizzazione del personaggio.

Conscio di addentrarmi in una tematica molto poco per signorine (in gergo: scacciafiga), devo necessariamente essere più preciso. Nell’ultima prova del vecchio e gommoso Sylvester ho scorto importanti connessioni tra il mito per eccellenza dell’anti american heroe e il Punitore di Ennis.

Il Rambo del 2008 è fatto di guerra e d’acciaio, continua a tritare i cattivi con la mitraglia, ma è qualcosa d’altro rispetto al se stesso di vent’anni fa.

È più cattivo, più disilluso, più cosciente del fallimento del sogno americano.

Non che negli Ottanta John non fosse un reietto, ma il paese a stelle e strisce, sullo sfondo della sua esistenza distrutta, era ancora forte e spocchioso.

Ora la bandiera è un ricordo sbiadito. Non c’è più una Causa per la quale valga la pena combattere. È scomparso Trautman e il senso del dovere old school che si portava appresso.

E qui sta il fulcro di questa traballante riflessione.

Senza gli Ottanta, gli Ottanta di Schwarzie e Stallone, non credo ci sarebbe potuto essere Tarantino.

Voglio dire: i Duran Duran non sono stati necessari per passare dai Sex Pistols ai Nirvana.

Senza Rambo e Terminator, invece, la traslazione da Bronson alla sposa di Kill Bill sarebbe stata impossibile.

E qui torna in gioco il Punitore di Ennis. Garth Ennis, nume tutelare del fumetto MADE IN USA, ha ripreso da qualche tempo a sceneggiare la fortunata serie nata a metà dei Settanta.

Il Punitore è, in sostanza, John Rambo: un reduce del Vietnam a cui la vita ha tolto tutto.

Se John è tornato dall’Asia pieno di paure insormontabili, Frank Castle (il Punitore all’anagrafe) era riuscito a lasciarsi il ‘Nam alle spalle. Sfortunatamente dei cattivoni gli sterminarono la famiglia, in Central Park, un pomeriggio qualunque del ’76 (secondo le ultime versioni). Da quel momento Frank smise di essere un civile e ingaggiò la propria guerra personale contro i cattivi.

Iniziò a uccidere mafiosi e finì per diventare il peggior nemico del crimine newyorchese.

Negli anni Il Punitore ha avuto alti e bassi, ma da quando Ennis si occupa di lui è finalmente un personaggio tridimensionale: disilluso, perfettamente addestrato, capace di portare in pagina dialoghi strepitosi.

All’inizio della sua carriera (1986) era solo una pallida imitazione di Rambo. Oggi Rambo è una splendida riproduzione del Punitore.

Chiudo la parentesi scacciafiga ed arrivo al punto.

Gli anni Novanta hanno stravolto il concetto di antieroe. Da Pulp Fiction in poi i duri sono arguti, spiritosi, cattivissimi e determinati. In due parole: moderni. Dannatamente umani.

Ma senza archetipi su cui lavorare, la trasformazione sarebbe stata impossibile.

Il Bronson de Il giustiziere della notte fa paura ma è pressoché muto. Non sai cosa pensa. Ne intuisci la rabbia, la sua determinazione in combattimento è evidente, ma non ti stravolge. Non salta fuori dallo schermo.

Idem per l’Eastwood/Ispettore Callaghan. Non tiriamo nemmeno in ballo gli sbirri settantini di casa nostra (Maurizio Merli o Luc Merenda, ma pure Franco Nero). Io adoro il genere, ma sono obbligato a riconoscere la totale assenza di profondità di quei character.

Pochi anni dopo di loro, invece, ecco che appaiono Schwarzy e Stallone. E insieme a loro si fa largo a spallate Harrison Ford, che con Blade Runner e la serie di Indiana Jones cambierà le cose per sempre.

Dall’81 in poi, come per magia, i duri non si limitano a sparare, ma infarciscono l’azione di battute sagaci. Smettono di essere politicamente corretti senza per questo diventare dei villains.

Mentre Craxi fa quel che gli pare col nostro paese e quel signore basso basso cambia per sempre il modo di comunicare con sue televisioni, al cinema va in scena un terremoto.

I film d’azione diventano per ragazzi (ok, Rambo 2 era ancora vietato all’epoca, ma era un’eccezione. Commando andai a vederlo al cinema…). I bambini (bontà loro) giocano alla guerra nel cortile di casa e immaginano sparatorie tra i palazzi, guerre nella giungla, magiche scoperte nel deserto.

La mia generazione di narratori nasce lì. Cresce col mito (cinematografico) di Schwarzie e Stallone.

Tutti, a diciotto anni, ci siamo vergognati (specie nei collettivi studenteschi) di quel tipo di frequentazioni. Abbiamo rinnegato l’america capitalista e i suoi miti fascistissimi (pensate all’Eastwood di Gunny).

Un po’ più grandini, grazie a Dio, abbiamo fatto pace con la nostra coscienza e ci siamo resi conto che quelle quintalate di pallottole conservatrici in scena sul grande schermo altro non erano che i prodromi di un nuovo modo di narrare.

Poi è arrivato Tarantino e i più coraggiosi tra noi hanno iniziato a mettere nero su bianco le proprie ossessioni.

Il fatto che, a vent’anni di distanza, si senta ancora l’esigenza di portare in scena certi miti è piacevolissimo.

Ma il rischio di “cagata pazzesca” (citando l’immarcescibile Fantozzi Ragionier Ugo) è come sempre dietro l’anno.

Grazie a Dio esistono produzioni come John Rambo e Terminator – The Sarah Connor Chronicles (serie americana di cui, ve lo prometto, a breve scriverò diffusamente).

Guardandole si ha la sensazione che gli “anni di merda” di Paolo Rossi abbiano lasciato qualcosa di buono.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

"Cosa resterà di questi anni Ottanta?" cantava Raf, nella sua canzone seminale, simbolo di quel decennio "di merda".
Forse solo davvero "Rocky, Rambo e Sting" per dirla con Antonello Venditti, un altro di quelli che ha scoperto il disimpegno e il qualunquismo in anticipo sui tempi.
Ci sono siti in rete (quello dei Quindici) in cui si lotta per liberarsi delle scorie di quegli anni "da bere", anni di sfrontato edonismo reaganiano e di vite di sponda (come diceva Eugenio Finardi), tese ad imitar l'America e i suoi miti più beceri, degeneri e degenerati.
E a questi, i vari Stallone, Schwarzenegger (che cmq appartiene anche al decennio precedente; chi se lo ricorda infatti con il collega culturista Franco Columbu, partecipare ad un episodio de "Sulle strade di San Francisco", con Karl Malden e un giovanissimo Michael Douglas, nei panni di uno psicopatico ossessionato dal culto della fisicità?) Bruce Willis, Ford, sono stati variamente iscritti in virtù delle loro interpretazioni cinematografiche del periodo (a loro aggiungerei anche il Cruise di "Top Gun", il Lou Gassett jr di "Aquile d'acciaio" e il pazzoide travestito da John Milius, autore di "Alba Rossa"), quasi fossero degni eredi del fascistissimo Dirty Harry, un character che il sottoscritto ha sempre trovato superbo, alla faccia dell'ideologia, quale diretto erede inurbato delle scorribande western del Duca Wayne (non a caso divenuto addirittura compare di avventura di un certo Preacher, al suono di "Fuck Communism"). Un cowboy urbano che si garretti del cavallo sostituiva i cavalli vapore delle macchine e alla colt .45 una spettacolare Smith&Wesson Magnum .44. Un vero uomo d'onore. Uomo d'altri tempi.
Molti di loro hanno saputo e voluto lasciarsi alle spalle quel periodo non rimanendo fossilizzati in maschere fuori tempo, ma prendendo su di sé tramite i loro personaggi più famosi, tutti gli scazzi, le paranoie e le paturnie maschili derivanti dalle scorie messe su in quegli anni. Sono diventati meno duri, ma non certo mosci. Adesso combattono per sé stessi o per qualcosa che non sa più di retorica patriottica, magari la semplice difesa della propria famiglia.
I gangster di Tarantino (che sono legati agli eroi del cinema bis italiano più di quanto non si creda , Simo', ma questo tu lo dovresti sapere bene, visto che il buon Quentin giura e spergiura di esserseli visti tutti i poliziotteschi dei Seventies) non hanno mai attirato più di tanto la mia attenzione ed interesse, anche perché uno come me, di rigorosa scuola Leonina (nel senso di Sergio Leone)ha fatto proprio il motto di Tuco detto "Il porco"-Eli Wallach in "Il buono, il brutto e il cattivo":
QUANDO SI SPARA, SI SPARA. NON SI PARLA.
(e in questo senso, pure il mitico "Le Iene" fa due palle grosse così...)
Da questo punto di vista Frank Castle è un antesignano. Si potrebbe scrivere una storia a fumetti totalmente priva di dialoghi, almeno per la parte che lo riguarda, partendo proprio da questa sua formidabile caratteristica: una faccia impenetrabile ma che esprime forza, debolezza, disagio, rimorso e pietà, anche mentre eplode il colpo di grazia alla nuca dello spacciatore di turno.
Ne ha viste tutte, il buon Frank.
Ne ha viste tante.
E' sopravvissuto a Reagan, a Bush padre, a Clinton e sopravviverà anche a Bush figlio. Ha visto i Charlie arrivargli addosso da tutte le parti senza neanche una cazzo di strategia (L'anno del Dragone), è stato addestrato a mangiare cose che farebbero vomitare una capra (Rambo, il primo e il migliore).
Ha cercato la pace in Central Park, magari dalle parti del Dakota Building, e ha trovato la morte. Ha cucito il suo cuore e aperto la sua mente, votandosi ad un solo scopo: cancellare il "male" dalla faccia della terra, non importa se morirà nel tentativo (e forse in realtà è proprio questo che cerca, come somma espiazione della sua supposta colpa, non aver saputo difendere i suoi familiari).
E' lui il nuovo cavaliere della valle solitaria degli anni 2000.
Mi piacerebbe che Ennis lo scagliasse contro Iron Man e i suoi super-eroi "riformati", che Frank ammazzasse quel pusillanime di Tony Stark piantandogli una pallottola in testa e il telecomando dell'armatura in bocca (come fa Armonica-Charles Bronson con Henry Fonda-pistolero malvagio nel finale di "C'era una volta il West") e se ne andasse verso l'orizzonte mentre il sole tramonta, nel più classico finale da film di John Ford.

Mario Uccella

piesse: Simo'... il 12 aprile del 2013 è un venerdi. Strano giorno per votare. Licenza poetica come il George Walker Bush ancora presidente in barba alla Costituzione Americana?

Simone Sarasso ha detto...

@Mario: lo sai che noi siamo fortissimi per i fake...
Dannate distrazioni...:-(

Anonimo ha detto...

Dannate, si...
Tant'è che anche io per "Le brigate della morte" mi son dovuto adeguare a considerarlo un lunedi.

Mario Uccella

Anonimo ha detto...

Simone, sperando che tu non me ne voglia. Sai che a me (classe 7*) gli Ottanta piacciono? ciao

Simone Sarasso ha detto...

@Mario: Ops!
@Annarita: perdonata per gli Ottanta se mi presti il tuo nome per un personaggio di Settanta. E' uno dei pochi personaggi positivi dell'intero romanzo. Già pensavo di chiamarla Rita. Il tuo cognome ci starebbe a pennello... Che dici?

Anonimo ha detto...

Simone, certo, è un onore! Allora per quel che racconto che sai evito nomi simili, va bene? ciao e vive la France!

Simone Sarasso ha detto...

@Annarita: perfetto! E grazie mille!
A che punto sei con il racconto? Nessuna fretta, per carità, ma dal mese prossimo cominciamo a tirare un po' le fila e farci un'idea dei contributi...
Fammi sapere, ok?

Anonimo ha detto...

direi che è difficile occuparsi degli 80 perchè non stanno da nessuna parte, scappano.Ci si accapiglia sulle date che inaugurano 68 O 77, su quelle che li chiudono, varie teorie ma anche convergenze. Gli 80 forse iniziano da Alfredino, vedi Genna (e Baustelle)ma la data finale chi la metterà? Non sono più finiti. Non finiranno mai. per il resto non perdere tempo con 'ste minchiate e scrivi un altro capolavoro come Confine.

saverio

Simone Sarasso ha detto...

@Saverio: Bella Saverio! Non potevi essere più chiaro... Magari il prossimo "capolavoro" finisce che lo si scrive insieme...;-)