DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

giovedì 30 agosto 2007

Moro (quasi) trent’anni dopo: la vita umana non vale un paio di braghe calate? Calate, poi…


Sono giorni di lavoro intenso per il sottoscritto. Giorni a vivere nei documenti e a spulciare carte di processi, memoriali di trent’anni fa. Ho preso a pieno ritmo a lavorare a Settanta, e uno degli argomenti che devo affrontare, volente o nolente, è l’affaire Moro.

Sul peso che la questione avrà nel mio secondo romanzo, dico poco o nulla. La data di uscita è molto in là (manca poco meno di un anno), e quello che succederà nel libro non sono (per il momento) affari vostri.

O meglio, sono ancora e solo affari miei (e del mio editor), visto che la parte è in piena fase di stesura.

Ci mancherebbe pure che mi metta a spoilerare sull’incompiuto.

Affare di tutti, credo, invece, la memoria civile.

Più rileggo i memoriali di Moro, le lettere alla famiglia, le testimonianze degli ex Br, più è forte la sensazione di dolore, di disagio.

Più mi calo nella testa di Moro, più è intensa la domanda che rimbomba in testa: PERCHE’?

Non voglio disquisire di dietrologie politiche, per quelle ci sarà tempo e luogo nelle pagine del nuovo romanzo.

Quello che mi chiedo è semplice: si poteva evitare di sparare al Presidente?

E con tutta la malafede di cui sono capace, credo che la risposta sia comunque SI’.

Se si ripescano le testimonianze della Faranda, senza cedere troppo il fianco alla suo postumo pentimento “dissociato”, viene da pensare che, anche all’interno della dirigenza della Colonna Romana, alla vigilia del 9 maggio (nonostante la durezza dei comunicati), speranza ce ne fosse ancora.

Non si discute sull’azione dei Brigatisti: la loro è storia criminale. Niente giustifica il rapimento del Presidente. Né le gambizzazioni e le azioni terroristiche precedenti. Figurarsi un omicidio.

Eppure, quello che c’era sul piatto, alla vigilia del massacro, a modesto parere del sottoscritto, era sufficiente per concludere la vicenda senza spargimento di sangue.

A sentire la Faranda (ma pure a sentire Moretti), bastava uno scambio di prigionieri per salvare la vita a un uomo. I prigionieri avevano nome e cognome: Alberto Buonoconto e Paola Besuschio.

A dispetto del muro del silenzio che fece la DC, i socialisti avevano aperto un canale per trattare coi brigatisti. Poca roba, ne sono conscio, sei o sette incontri di Pace (ex simpatizzante BR) con la Faranda e Morucci. Incontri non ufficiali che si risolsero in un nulla di fatto.

Craxi il 30 aprile parlò con il leader socialista francese Mitterand e disse: “Moro può essere salvato; si può arrivare allo scambio uno contro uno; ma a qualcuno occorre del sangue. Quello di Moro giustificherà l’emorragia”.

Uno contro uno. Una vita per una vita. Anzi: nessuna vita sprecata.

Moro, dalla prigione di via Montalcini, così scriveva al collega socialista: “Caro Craxi, poiché ho colto pur tra le notizie frammentarie che mi pervengono, una forte sensibilità umanitaria del tuo partito in questa dolorosa vicenda, sono qui a scongiurarti di continuare e anzi accentuare la tua importante iniziativa…”

Una vita per una vita, e invece…

Cosa chiedevano le BR? Legittimazione politica. E uno dei loro, condannato a otto anni e mezzo, libero.

Erano giusti i metodi delle BR? No. Erano criminali.

Era brava gente quella che chiedeva la liberazione del Presidente. Erano brava gente Craxi e i suoi? Per niente, e il Paese se ne sarebbe accorto presto.

Come non era brava gente la parte di DC che lasciò Moro crepare da solo.

Ma, in un Paese che di lì a qualche anno si sarebbe rubato persino gli spicci degli elettori (e poi ai ladri sarebbe toccato scappare con la coda tra le gambe all’estero), dove sarebbero state fatte leggi ad hoc per parare il culo a privati pieni di debiti, dove, trent’anni dopo, l’indulto avrebbe svuotato le carceri, signori, mi chiedo? La vita di un uomo (un santo? Un uomo per bene? Magari non meglio dei suoi compari, ma pur sempre un uomo) non valeva la scarcerazione di un delinquente comune?

E mi chiedo anche: di cosa aveva paura mamma DC? Se anche avesse formalmente riconosciuto le BR come forza politica, pensate davvero che di lì a poche ore si sarebbe ritrovata dieci parlamentari della stella a cinque punte fianco a fianco a Montecitorio?

Ma andiamo, questo non è un paese di verginelle e non lo era trent’anni fa.

Dove è convenuto (il mio maestro De Cataldo direbbe dove c’è stata convenienza) c’è sempre stato spazio per i riconoscimenti, le braccia aperte, gli “accomodasse”. Per poi voltar gabbana al primo intoppo.

E invece, trent’anni fa, nessuno mosse un dito per salvare una vita.

E adesso, mentre gli ex BR scrivono libri e vanno ospiti ai convegni, e fanno i documentari faccia a faccia con gli ex ministri dell’interno, qualcuno dei DC di allora (indovinate chi…) siede ancora in Parlamento.

Tutto è cambiato per rimanere uguale, nel BelPaese.

L’unica voce immutata è quella della famiglia di Moro. Di sua figlia Maria Fida.

La voce delle vittime: rotta dal pianto.

Anche quella, in Italia, è sempre uguale a se stessa.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Olà!
Buonjur cara Simone,
ho letto con piacere il tuo scritto, sono contento che si parli di Moro, io c'erò all'epoca e anceh se ero molto piccolo (avevo 11 anni) mi ricordo gli annunci e lo sgomento della gente comune.
Io, con il passare degli anni, non ho mai creduto che si fosse potuto salvare, l'Italia, la struttura politica Italia, non poteva reggere il confronto con la fermezza e la determinazione della struttura BR.
Facevamo acqua da tutte le parti, c'era Leone al Quirinale (il primo Presidente di cui ricordi l'immagine sul muro dietro la cattedra), la Chiesa (e lo sappiamo benissimo il peso della Chiesa in Italia) cambiava Papa ad ogni stagione, Calvi, Gelli e la P2 (una storia da Padrino parte III).

Chi c'è ancora in Parlamento?
Andreotti, Scalfaro e Cossiga (tutti senatori a vita).
Qualcun'altro?

Comunque Andreotti è un mito!
Per me è il migliore uber alles.

Ti giuro che vorrei conoscerlo per fargli i miei più vivi complimenti, solo un genio (del male? che importa) può, oggi, essere ancora dove lui è.
Andreotti non si discute, o si ama o si odia. Io lo amo.

Suerte

Pava da Quito

Simone Sarasso ha detto...

Caro Pava,
gioisco nel sentirti dall'altro capo del mondo. Siete ancora in giro? Quando tornate? Siete già tornati?
E' per questo che ti senti (ormai) peruviano e ti fregi dell'appartenenza al glorioso popolo?
Quante domande...
Tu, amico Pava, facevi le elementari e io venivo al mondo. Non c'ero, quando già c'erano tutti quelli che ancora sono qua (esattamente Scalfaro, Cossiga e il genio del Male). Ma dopo una settimana dentro le testimonianze credo che sì, si sarebbe potuto salvare.
Se non si fosse voluto dare spazio a una certa Italia, con certa gente (in genere bassa, talora gobba) molto attenta al proprio deretano e solo a quello.
C'è solo da guardare avanti, per non incazzarsi.
Oppure, come hai fatto tu, lasciare il Paese...
Besos (anche alla signora),
S.

Anonimo ha detto...

Ma che Peru e però...
anche se mi firmo Pava da Quito (avrebbe potuto essere Pava d'acchito...) sono, e siamo entrambi, a casa da quasi una settimana. Noi. Lo zaino di Lara da due giorni, e il mio è ancora in giro non si sa dove... lui si che è uno zaino furbo... ha preso il largo, bretelle in spalla e via verso nuove avventure.

Io il paese lo lascerei (tanto è in ottime mani!!) ma non andrei così lontano, mi basterebbe la Spagna.

E invece siamo tutti qui, a volte più vicini di quanto non immaginiamo. a volte a qualche centinaio di metri di distanza. a volte proprio davanti al nostro assassino...

A presto
Pava

PS: guarda che l'ex Presidente che vien dalla città da cui ci scriviamo è anche peggio del gobbonano...

Simone Sarasso ha detto...

Saggio il tuo zaino.
Ed esecrabile il mio concittadino, ne convengo.
Vabbuò, vorrà dire che quando il bagaglio rimpatria gli faremo una cena di bentornato e scambieremo foto e racconti.
Saluti anche alla signora.
Continuiamo a resistere,

S.

Associazione ImperiaParla! ha detto...

Immagino che terrai conto del fatto che Moro stava per andare in Parlamento a presiedere un governo dove per la prima volta ci sarebbe stato anche il PCI e che forse dall'altra parte dell'oceano, a qualcuno la cosa non garbasse.

Anonimo ha detto...

Gli anni di piombo in Italia sono il più grande kolossal che io abbia visto dal vivo. Migliaia di attori, comprimari, comparse, sparsi nel tempo e nello spazio per far credere ad un'impossibile voglia dei comunisti di prendere il potere con una rivoluzione.

Ho sempre ammirato Cossiga, avrebbe meritato l'Oscar, il colpo di teatro con cui diede le dimissioni alla morte di Moro fu grandioso.

La regia, tenendo conto delle difficoltà, fu magnifica, poche smagliature percettibili al volo, per quanto con il tempo molto sia venuto alla luce. Chiaramente, come in tutte le rappresentazioni dove si vuole dare un forte effetto di realtà un sacrificio umano era indispensabile.

"Non è vero ma ci credo" dice il bambino quando ascolta una storia paurosa. Così tramite le tecniche terroristiche diventiamo tutti bambini, sappiamo che non è vero quello che ci raccontano, ma abbiamo paura a pensare diversamente.

Ted Shackley ha spiegato poi molto bene, in "the third option" le regole da seguire per dominare.

Un interessante esempio italiano di fiction dichiarata che fiction non era, fu invece "il concilio delle ombre" pubblicato da Pironti. Ma solo in forma di romanzo si poteva raccontare qualche veità su quegli anni.

Simone Sarasso ha detto...

@Ed: mi fermavo alla dimensione umana, allo sdegno personale, quello di pancia. Per le dietrologie ci sarà tempo e luogo: Settanta cresce di giorno in giorno.
Ad ogni modo, non solo i ministri avevano già giurato, ma qualcuno dice che gli accordi fossero nero su bianco. Guarda caso, come si dice dalle mie parti, "fora al gat, a bala al rat" (fuori il gatto, i topi ballano). Appena sparito Moro (parlo di marzo, non di maggio), tutti, il Gobbo in testa, sembrarono dimenticarsi ogni cosa, ogni accordo.
E questo senza particolari pressioni USA. In casa nostra siamo abbastanza mafiosi per conto nostro...
@Truman: vivere a contatto ventiquattrore su ventiquattro, come sto facendo in questi giorni, col recente passato del Bel Paese mette i brividi. Li metterebbe pure stare a contatto col presente più prossimo di questo staterello da operetta, ne convengo, ma l fatto di sapere che il posto (il tempo) da cui provengo è così incrostato di schifo non fa bene al cuore.
Un Paese cresciuto nel marcio non ha granchè da offrire alle nuove generazioni. Eppure, zuccone testardo, continuo a credere che le cose si possano cambiare dal di dentro...

Unknown ha detto...

bellissimo quanto agghiacciante post...ancora una volta grazie Simone..

Simone Sarasso ha detto...

Grazie a te, Marco.
Non so se il post venisse più dalla pancia o dal cuore. In ogni caso andava scritto.
Sono gli effetti collaterali del lavoro sugli anni Settanta. La parola scritta (la narrativa) a volte non rende giustizia all'indignazione, e questo spazio permette di andare più a fondo.

Anonimo ha detto...

Un precisazione, avevo citato male un libro.

Titolo: Il consiglio delle ombre; Autore: Serravalle Gerardo; Editore: Pironti; Data di Pubblicazione: 1994; ISBN: 887937107X

Simone Sarasso ha detto...

Grazie per la precisazione, Truman!