Io
mica lo so se riesco a scriverlo, ‘sto pezzo.
Io
che ho sempre detto che la pagina bianca, figurati… tutte balle da scrittore
non professionista, da film.
Io
che lo ripeto ancora ai miei allievi.
E
invece, succede.
Cazzo,
sta succedendo proprio adesso.
Umberto
Eco è morto ieri sera. Alle dieci e mezza: chissà come, chissà perché.
Forse
era malato, forse era solo il suo momento.
Sui
giornali non c’è scritto. Non su quelli che ho letto io, comunque.
L’ho
saputo appena aperti gli occhi, me l’ha detto mia moglie al buio.
Qualcosa
si è spezzato, per poi ricomporsi subito dopo, quando mio figlio è sgattaiolato
nel lettone a strillare: “Buongiorno!”
Lo
è? È davvero un buongiorno?
C’è
il sole, questo sì. Ma a me manca un pezzo, e la pagina è così bianca.
È
morto Umberto Eco ma nessuno di noi lo chiamava più così da un sacco di tempo.
Ogni
volta che lo sentivamo nominare, rispondevamo – in coro –: “Umby di Torre!”
Mica
lo sapeva che lo chiamavamo così, adesso non esageriamo.
Ma,
se l’avesse saputo, avrebbe sorriso severo. Come faceva sempre, con quel
sorriso da gatto persiano. Il sorriso di uno che la sa lunga. Davvero più lunga
di te, amico.
Se
penso a Umby, penso ai miei fratelli: Stefano e Massimo Gnone.
È
grazie a loro se ho conosciuto Umberto Eco.
È
grazie a loro e alla città che porto nel cuore – Torre Pellice – se una sera di
qualche anno fa mi sono seduto a tavola con lui.
L’occasione
era ghiotta, i ragazzi – direttori artistici del festival letterario UNA TORRE
DI LIBRI – ne parlavano da anni. Da anni Massimo scriveva alla segreteria del
professore per invitarlo a Torre.
L’amministrazione
della città voleva da tempo conferire al professore la cittadinanza onoraria di
Torre. E il 4 maggio del 2013 il sogno divenne realtà. Grazie al sindaco e al
consiglio comunale. Grazie ai miei fratelli.
E
io?
Che
diavolo ci facevo io, vercellese transfugo a Novara, allo stesso tavolo di
Umberto Eco a Torre Pellice?
Stefano
una mattina mi telefona: “Viene Eco a Torre. Non puoi mancare…”
Umby
è il motivo per cui ho cominciato a leggere romanzi.
Sul
Pendolo di Foucault ci ho fatto la
tesi. Una di quelle tesi in filosofia dal titolo wertmulleriano che di chissà
che cazzo parlano.
Umby
ha parlato al Tempio, di fronte a quattrocento persone rapite.
Umby
ha risposto alle cortesi domande del direttore Calabresi.
Umby
con la giacca a righe bianche e blu, quella delle foto.
Umby
arrivato in treno, con un bastone da passeggio e una borsetta striminzita.
Io,
se vado a Torre una notte, mi porto la valigia. Umby che il giorno dopo
ripartiva per Burgos: “Mi danno la mia sessantaquattresima laurea honoris causa”. O roba del genere.
Umby
che alle cinque beve due doppi whisky con ghiaccio. Mentre i comuni mortali
sorseggiano bolle.
Umby
che a cena il rosso non lo sfiora nemmeno, ma una bottiglia di bianco tutta per
lui non se la fa mancare.
Umby
seduto a fianco a me, cioè io a fianco a lui, perché Max e Ste insistono:
“Essù, quando ti ricapita?”
Mai
nella vita, fratelli. E non vi sarò mai abbastanza grato.
Umby
che firma i libri di tutti, Umby che fa la foto con noi.
Come
si faceva una volta, con la macchina fotografica.
Umby
che mi racconta della sua casa a Milano, di quella a New York, di quella di
Pamuk a Instanbul.
Umby
che è mezzanotte e lo accompagniamo in camera sua. Noi tre, sì: io, Max e Ste.
Umby
che dorme alla Foresteria Valdese, si capisce.
E,
prima di chiudere la porta, ci sorride: è proprio allora che noi ci guardiamo:
“Lui è Umby di Torre”.
L’ho
rivisto un’altra volta, alla festa di Natale di RCS, a Milano.
Era
seduto mentre tutti gli altri stavano in piedi. Beveva whisky: whisky contro
bolle, ancora una volta.
Di
lui ho parlato l’altra sera. Un collega docente di regia mi ha detto: “Lo sai
che ha rifiutato Kubrick? Kubrick voleva
fare il film tratto da Il Pendolo di
Foucault e lui gli ha detto di no”.
Me
lo immagino, il gatto persiano. Prima s’è fatto le unghie e poi ha sorriso
scuotendo la testa: “Magari un’altra volta, Stanley…”
Che
grande film che sarebbe stato.
Che
grande vita che hai avuto, Umby.
Speriamo
che non battano le mani quando sfilerà la tua bara.
Che
volino pagine bianche: Umby di Torre vivrà per sempre.
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