DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

sabato 20 febbraio 2016

Umby di Torre





Io mica lo so se riesco a scriverlo, ‘sto pezzo.
Io che ho sempre detto che la pagina bianca, figurati… tutte balle da scrittore non professionista, da film.
Io che lo ripeto ancora ai miei allievi.
E invece, succede.
Cazzo, sta succedendo proprio adesso.
Umberto Eco è morto ieri sera. Alle dieci e mezza: chissà come, chissà perché.
Forse era malato, forse era solo il suo momento.
Sui giornali non c’è scritto. Non su quelli che ho letto io, comunque.
L’ho saputo appena aperti gli occhi, me l’ha detto mia moglie al buio.
Qualcosa si è spezzato, per poi ricomporsi subito dopo, quando mio figlio è sgattaiolato nel lettone a strillare: “Buongiorno!”
Lo è? È davvero un buongiorno?
C’è il sole, questo sì. Ma a me manca un pezzo, e la pagina è così bianca.
È morto Umberto Eco ma nessuno di noi lo chiamava più così da un sacco di tempo.
Ogni volta che lo sentivamo nominare, rispondevamo – in coro –: “Umby di Torre!”
Mica lo sapeva che lo chiamavamo così, adesso non esageriamo.
Ma, se l’avesse saputo, avrebbe sorriso severo. Come faceva sempre, con quel sorriso da gatto persiano. Il sorriso di uno che la sa lunga. Davvero più lunga di te, amico.
Se penso a Umby, penso ai miei fratelli: Stefano e Massimo Gnone.
È grazie a loro se ho conosciuto Umberto Eco.
È grazie a loro e alla città che porto nel cuore – Torre Pellice – se una sera di qualche anno fa mi sono seduto a tavola con lui.
L’occasione era ghiotta, i ragazzi – direttori artistici del festival letterario UNA TORRE DI LIBRI – ne parlavano da anni. Da anni Massimo scriveva alla segreteria del professore per invitarlo a Torre.
L’amministrazione della città voleva da tempo conferire al professore la cittadinanza onoraria di Torre. E il 4 maggio del 2013 il sogno divenne realtà. Grazie al sindaco e al consiglio comunale. Grazie ai miei fratelli.
E io?
Che diavolo ci facevo io, vercellese transfugo a Novara, allo stesso tavolo di Umberto Eco a Torre Pellice?
Stefano una mattina mi telefona: “Viene Eco a Torre. Non puoi mancare…”
Umby è il motivo per cui ho cominciato a leggere romanzi.
Sul Pendolo di Foucault ci ho fatto la tesi. Una di quelle tesi in filosofia dal titolo wertmulleriano che di chissà che cazzo parlano.
Umby ha parlato al Tempio, di fronte a quattrocento persone rapite.
Umby ha risposto alle cortesi domande del direttore Calabresi.
Umby con la giacca a righe bianche e blu, quella delle foto.
Umby arrivato in treno, con un bastone da passeggio e una borsetta striminzita.
Io, se vado a Torre una notte, mi porto la valigia. Umby che il giorno dopo ripartiva per Burgos: “Mi danno la mia sessantaquattresima laurea honoris causa”. O roba del genere.
Umby che alle cinque beve due doppi whisky con ghiaccio. Mentre i comuni mortali sorseggiano bolle.
Umby che a cena il rosso non lo sfiora nemmeno, ma una bottiglia di bianco tutta per lui non se la fa mancare.
Umby seduto a fianco a me, cioè io a fianco a lui, perché Max e Ste insistono: “Essù, quando ti ricapita?”
Mai nella vita, fratelli. E non vi sarò mai abbastanza grato.
Umby che firma i libri di tutti, Umby che fa la foto con noi.
Come si faceva una volta, con la macchina fotografica.
Umby che mi racconta della sua casa a Milano, di quella a New York, di quella di Pamuk a Instanbul.
Umby che è mezzanotte e lo accompagniamo in camera sua. Noi tre, sì: io, Max e Ste.
Umby che dorme alla Foresteria Valdese, si capisce.
E, prima di chiudere la porta, ci sorride: è proprio allora che noi ci guardiamo: “Lui è Umby di Torre”.
L’ho rivisto un’altra volta, alla festa di Natale di RCS, a Milano.
Era seduto mentre tutti gli altri stavano in piedi. Beveva whisky: whisky contro bolle, ancora una volta.
Di lui ho parlato l’altra sera. Un collega docente di regia mi ha detto: “Lo sai che ha rifiutato  Kubrick? Kubrick voleva fare il film tratto da Il Pendolo di Foucault e lui gli ha detto di no”.
Me lo immagino, il gatto persiano. Prima s’è fatto le unghie e poi ha sorriso scuotendo la testa: “Magari un’altra volta, Stanley…”
Che grande film che sarebbe stato.
Che grande vita che hai avuto, Umby.
Speriamo che non battano le mani quando sfilerà la tua bara.
Che volino pagine bianche: Umby di Torre vivrà per sempre.

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