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E qui finisce la metà hard boiled della storia e inizia quella tragica.
L'indomani del grand soirée falettiano mi alzo con un certo pizzicore in gola, ma non ci faccio caso più di tanto. Vado a scuola, disegno per 88 bambini decine e decine di animali con 36 gradi all'ombra, torno a casa, mi butto sotto la doccia e mi appronto per Officina Italia.
Camicia bianca appena stirata, lo dico perchè è importante.
Insieme alla Lara e al Pava (mia moglie rimane a casa, pora stella, è venerdì sera e il sabato mattina lavora) approdiamo senza difficoltà alcuna alla Palazzina Liberty, in Largo Marinai d'Italia 1 a Milano. Scendiamo nel sottosuolo fino al bar e afferiamo con foga delle birre. Intanto arrivano anche Jacopo De Michelis, Federico Baccomo (a.k.a. Duchesne), Antonio Scurati, Alessandro Bertante e Fabio De Luigi. La truppa s'ingrossa e noi trangugiamo birre su birre per combattere la calura.
Scendo un attimo in bagno e, come nel migliore dei film splatter, succede il finimondo: il mio naso, che non aveva dato problemi negli ultimi vent'anni, d'improvviso cede e si tramuta in un irrefrenabile pompa ematica: ho l'epistassi. Porca di quella troia.
Ora, facciamo due conti: ansia da palcosenico (mentre sanguino copiosamente, quattrocento persone prendono posto) + camicia bianca (pronta a trasformarsi nella shirt che indossò tarantino alla prima di Hostel) + qualche birra in corpo + tonsille in espansione + febbre in arrivo = un bel casino.
Proprio un bel casino. Mentre cerco di darmi una sistemata, mi guardo allo specchio: sembro il fantasma di Johnny Rotten dopo una striscia lunga un chilometro e una pera di roba. Solo più in carne.
A un passo dal panico, da uno dei cessi alle mie spalle spunta Fabio De Luigi. Lui è lì al posto di Niccolò Ammaniti: leggerà un brano scritto da lui e chiuderà la serata. Io, invece, devo salire sul palco tra poco, e la mia narice destra sembra la fontana di Trevi il 19 ottobre 2007.
Fabio è gentilissimo: prima mi chiede come sto. Poi si offre di ripassare la parte insieme e infine, senza nemmeno imporre le mani, esercita un benefico influsso che arresta il flusso sanguigno.
Per miracolo la camicia è ancora intonsa. Mi sciacquo, mi do una regolata e torno di sopra.
Faccio il mio dovere senza intoppi e poi, finalmente, svengo su una poltrona (al bar) fino a quando non è tutto finito. Incredibile soddisfazione nel finale: Ottavia Piccolo (ci credereste?) si avvicina per farmi i complimenti e stringermi la mano. A momenti ci resto secco.
Poi ci sono un sacco di amici con cui chiacchierare: Rita, Sergio (grandissimo!), Francesco, Matteo (che è venuto apposta da Verona e ha fatto le foto), Grazia e Stefano che, stringendo una copia di CONFINE DI STATO, mi dice: "QUESTO... E' UN CAZZO DI LIBRO!", ed è il miglior complimento che abbia mai ricevuto da quando scrivo (non me ne voglia la signora Piccolo...).
Poi la febbre ha la meglio e la Lara e il Pava mi riportano a casa.
Me la misuro per curiosità prima di andare a nanna: 38.7...
L'indomani del grand soirée falettiano mi alzo con un certo pizzicore in gola, ma non ci faccio caso più di tanto. Vado a scuola, disegno per 88 bambini decine e decine di animali con 36 gradi all'ombra, torno a casa, mi butto sotto la doccia e mi appronto per Officina Italia.
Camicia bianca appena stirata, lo dico perchè è importante.
Insieme alla Lara e al Pava (mia moglie rimane a casa, pora stella, è venerdì sera e il sabato mattina lavora) approdiamo senza difficoltà alcuna alla Palazzina Liberty, in Largo Marinai d'Italia 1 a Milano. Scendiamo nel sottosuolo fino al bar e afferiamo con foga delle birre. Intanto arrivano anche Jacopo De Michelis, Federico Baccomo (a.k.a. Duchesne), Antonio Scurati, Alessandro Bertante e Fabio De Luigi. La truppa s'ingrossa e noi trangugiamo birre su birre per combattere la calura.
Scendo un attimo in bagno e, come nel migliore dei film splatter, succede il finimondo: il mio naso, che non aveva dato problemi negli ultimi vent'anni, d'improvviso cede e si tramuta in un irrefrenabile pompa ematica: ho l'epistassi. Porca di quella troia.
Ora, facciamo due conti: ansia da palcosenico (mentre sanguino copiosamente, quattrocento persone prendono posto) + camicia bianca (pronta a trasformarsi nella shirt che indossò tarantino alla prima di Hostel) + qualche birra in corpo + tonsille in espansione + febbre in arrivo = un bel casino.
Proprio un bel casino. Mentre cerco di darmi una sistemata, mi guardo allo specchio: sembro il fantasma di Johnny Rotten dopo una striscia lunga un chilometro e una pera di roba. Solo più in carne.
A un passo dal panico, da uno dei cessi alle mie spalle spunta Fabio De Luigi. Lui è lì al posto di Niccolò Ammaniti: leggerà un brano scritto da lui e chiuderà la serata. Io, invece, devo salire sul palco tra poco, e la mia narice destra sembra la fontana di Trevi il 19 ottobre 2007.
Fabio è gentilissimo: prima mi chiede come sto. Poi si offre di ripassare la parte insieme e infine, senza nemmeno imporre le mani, esercita un benefico influsso che arresta il flusso sanguigno.
Per miracolo la camicia è ancora intonsa. Mi sciacquo, mi do una regolata e torno di sopra.
Faccio il mio dovere senza intoppi e poi, finalmente, svengo su una poltrona (al bar) fino a quando non è tutto finito. Incredibile soddisfazione nel finale: Ottavia Piccolo (ci credereste?) si avvicina per farmi i complimenti e stringermi la mano. A momenti ci resto secco.
Poi ci sono un sacco di amici con cui chiacchierare: Rita, Sergio (grandissimo!), Francesco, Matteo (che è venuto apposta da Verona e ha fatto le foto), Grazia e Stefano che, stringendo una copia di CONFINE DI STATO, mi dice: "QUESTO... E' UN CAZZO DI LIBRO!", ed è il miglior complimento che abbia mai ricevuto da quando scrivo (non me ne voglia la signora Piccolo...).
Poi la febbre ha la meglio e la Lara e il Pava mi riportano a casa.
Me la misuro per curiosità prima di andare a nanna: 38.7...
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L'indomani è sabato e mi riposo. Però, proprio sul più bello, quando sono gonfio di antibiotici e tachipirina, nè sveglio nè addormentato, sento suonare alla porta. Guardo dallo spioncino e scorgo due tizi nerovestiti. Penso a Ultor e rabbrividisco, poi mi ricordo che è il giorno della benedizione delle case. Riguardo dallo spioncino: niente machere antigas: sono preti. E giovani per lo più. Adesso, io non sono nemmeno credente, ma 'sti due poveri cristi girano bardati come esploratori Sardauker con 38 gradi all'ombra: hanno bisogno di una pausa.
Li faccio entrare, do loro dell'acqua e facciamo due chiacchiere. Scopro che uno è messicano ("Cristo! Non mi attaccherà mica la suina?", pensano le mie tonsille...) e ha diciannove anni, l'altro è veneto e di anni ne ha 28. Fino a poco tempo fa faceva architettura e ha fatto anche l'Erasmus in Portogallo. "E come cazzo ti è venuto in mente, fratello, di fare il prete?", vorrei chiedergli. Ma non faccio in tempo: suonano di nuovo alla porta. Guardo dallo spioncino e vedo altri tre tizi vesiti di nero fino ai piedi.
Entusiasta del clima da Hellzapoppin' li faccio entrare e accomodare: altri due messicani e un veneto. Che bevono acqua, vestiti da prete, nella mia cucina.
Per un attimo mi chiedo se nel paracetamolo non ci fosse anche uno schizzetto di codeina: cazzo, ci sono tre preti messicani e due veneti nella mia cucina e sono perfettamente sobrio.
"Non mi crederà nessuno", penso. Mia moglie dirà che avevo le visioni.
Per cui faccio una foto e chi s'è visto s'è visto (eccola qua).
Poi pregano e finalmente li caccio e torno a letto. Non succede nulla fino al giorno successivo.
Li faccio entrare, do loro dell'acqua e facciamo due chiacchiere. Scopro che uno è messicano ("Cristo! Non mi attaccherà mica la suina?", pensano le mie tonsille...) e ha diciannove anni, l'altro è veneto e di anni ne ha 28. Fino a poco tempo fa faceva architettura e ha fatto anche l'Erasmus in Portogallo. "E come cazzo ti è venuto in mente, fratello, di fare il prete?", vorrei chiedergli. Ma non faccio in tempo: suonano di nuovo alla porta. Guardo dallo spioncino e vedo altri tre tizi vesiti di nero fino ai piedi.
Entusiasta del clima da Hellzapoppin' li faccio entrare e accomodare: altri due messicani e un veneto. Che bevono acqua, vestiti da prete, nella mia cucina.
Per un attimo mi chiedo se nel paracetamolo non ci fosse anche uno schizzetto di codeina: cazzo, ci sono tre preti messicani e due veneti nella mia cucina e sono perfettamente sobrio.
"Non mi crederà nessuno", penso. Mia moglie dirà che avevo le visioni.
Per cui faccio una foto e chi s'è visto s'è visto (eccola qua).
Poi pregano e finalmente li caccio e torno a letto. Non succede nulla fino al giorno successivo.
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Il giorno successivo è domenica 24 maggio. E alle sei, in centro, c'è la presentazione di Settanta.
L'atmosfera è bollente, in città e su facebook c'è parecchia attesa. E infatti, quando io e il mio amico Luca Ottolenghi arriviamo in loco, benchè manchi più di mezz'ora all'inizio, ci sono già diverse persone che occupano le sedie schierate come fanti prima dell'assalto sotto i portici del Teatro Coccia. Il proprietario della libreria mi accoglie e chiacchieriamo mentre i portici si riempiono sempre di più. Quando cominciamo ci sono solo posti in piedi: cento persone, anima più anima meno.
Io e Luca parliamo per più di un'ora: di stragi, di americani, di Servizi, di Pasolini, dei Settanta. Poi è il momento della musica: Marco Pasquino suona, il pubblico apprezza. Poi firme, birra per Luca, Tachipirina per me e un panino prima della nanna.
Ospite illustre e inatteso: Riccardo Bertoncelli (sì, proprio quello dell'Avvelenata di Guccini).
L'atmosfera è bollente, in città e su facebook c'è parecchia attesa. E infatti, quando io e il mio amico Luca Ottolenghi arriviamo in loco, benchè manchi più di mezz'ora all'inizio, ci sono già diverse persone che occupano le sedie schierate come fanti prima dell'assalto sotto i portici del Teatro Coccia. Il proprietario della libreria mi accoglie e chiacchieriamo mentre i portici si riempiono sempre di più. Quando cominciamo ci sono solo posti in piedi: cento persone, anima più anima meno.
Io e Luca parliamo per più di un'ora: di stragi, di americani, di Servizi, di Pasolini, dei Settanta. Poi è il momento della musica: Marco Pasquino suona, il pubblico apprezza. Poi firme, birra per Luca, Tachipirina per me e un panino prima della nanna.
Ospite illustre e inatteso: Riccardo Bertoncelli (sì, proprio quello dell'Avvelenata di Guccini).
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Ieri sera, esattamente in concomitanza con la finale di Champions e la presentazione della giunta, sprezzanti del pericolo come autentici samurai, io e Gianluca Mercadante siamo andati a presentare le nostre ultime fatiche letterarie (SETTANTA e POLAROID) all'ultimo incontro della rassegna AD ALTA VOCE. Ci siamo presentati a vicenda e abbiamo intrattenuto il gentile pubblico (non numerosissimo, va detto; ma molto, molto preparato) per un paio d'orette parlando di questo malandato Paese.
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Oggi è giovedì; e il prossimo appuntamento in vista è quello di sabato. Duplice incursione genovese in combutta con il compagno Ettore Maggi.
I nostri due libri, SETTANTA e IL GIOCO DELL'INFERNO, saranno protagonisti prima alla Libreria Il Libraccio, in via Rossetti 2 alle 17.30, e poi in piazza Matteotti alle ore 21.00.
Accorrete numerosi, mi raccomando. Ci si vede là.
Oggi è giovedì; e il prossimo appuntamento in vista è quello di sabato. Duplice incursione genovese in combutta con il compagno Ettore Maggi.
I nostri due libri, SETTANTA e IL GIOCO DELL'INFERNO, saranno protagonisti prima alla Libreria Il Libraccio, in via Rossetti 2 alle 17.30, e poi in piazza Matteotti alle ore 21.00.
Accorrete numerosi, mi raccomando. Ci si vede là.
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Prima di chiudere, la rassegna stampa di SETTANTA, aggiornata a questa mattina.
Del mio nuovo libello si sono occupati LIBERAZIONE (oggi), PANORAMA.IT (ieri), PAGINA.TO.IT, MILANONERA, NOVAMAG e per ben due volte il quotidiano locale TRIBUNA NOVARESE.
Del mio nuovo libello si sono occupati LIBERAZIONE (oggi), PANORAMA.IT (ieri), PAGINA.TO.IT, MILANONERA, NOVAMAG e per ben due volte il quotidiano locale TRIBUNA NOVARESE.