DA DOVE VENGO IO - CENT'ANNI vol.1

lunedì 22 ottobre 2007

I misteri degli "occhi che sanno": la destra non è più quella di una volta, signora mia

Delle volte a fare il mestiere che faccio s’impara qualcosa. Cose più vistose quando si è agli inizi, sottili verità nel prosieguo degli studi.

Per esempio, mentre mi documentavo su Piazza Fontana, recuperai materiale sull’estremismo di destra e più di una volta incappai nel nome di Franco Freda. I più attenti tra voi conosceranno le gesta di questo signore, attualmente libero ma a suo tempo processato per i fatti del 12 dicembre 1969, confinato insieme al camerata Ventura all’Isola del Giglio (sull’episodio ho pure scritto un racconto), condannato a quindici anni di carcere per associazione eversiva e successivamente (dopo che, nel 2000, il Consiglio dei ministri sciolse il suo Fronte Nazionale) per ricostituzione del partito fascista.

Se si scava nella vita di Freda si scopre il rovescio della medaglia della sua militanza politica: fu senz’altro un uomo d’azione, ma non limitò il proprio impegno alle mazzate. Fu (ed è tutt’ora) un cultore della parola.

Nel 1963 fondò una casa editrice, le Edizioni di Ar, che pochi mesi fa hanno festeggiato il quarantaquattresimo compleanno.

Editò Evola e diversi studi evoliani, e nel 1969 diede alle stampe La disintegrazione del sistema, vero e proprio best seller dell’epoca. Nessun veterofascista, picchiatore nero o dirigente missino poteva fare a meno della propria copia.

Però, si sa, il mercato editoriale è una brutta bestia, e per far sopravvivere un’azienda per quarant’anni un best seller non è sufficiente.

Per cui, dagli con le ristampe di Mastro Julius, la rivista economica Antibancor, la collana Paganitas (testi ermetico-sapienziali contemporanei e non), le pubblicazioni dedicate alla propaganda (Il tempo e l’epoca dei fascismi).

Però anche così non è che gli affari s’impennassero.

Già il libro è un prodotto di nicchia nel nostro Paese; se ci aggiungi connotazioni politiche che hanno a che fare con un partito dichiarato illegale cinquant’anni fa non è che hai proprio strappato il biglietto vincente alla lotteria del marketing.

Ecco perché, stanco della magra libraria, Freda ha tirato fuori dal cilindro un classicone che qualche copia te la fa vendere sicuro: il caro vecchio binomio Sesso & carnazza di skiantosiana memoria.

È dunque nata, pochi anni or sono, la collana Le librette di controra.

L’ANSA battè un comunicato in occasione del memorabile lancio: Le Edizioni di Ar, di Franco Freda,
hanno appena inaugurato, con la pubblicazione di una trilogia di
Fiammetta Oselladori, una nuova collezione editoriale, 'Le librette di controra', dedicata alla letteratura erotica. L'iniziativa intende rappresentare i toni e i modi dell'eros di destra.

Lo so, so cosa state rimuginando, malelingue che non siete altro.

Ma vi sbagliate: niente libri da sporcaccioni alla Melissa P.

Anzi.

Tra le Librette ci sono titoli di tutto rispetto.

Come il didascalico Contro la P. Melissa. Elogio e invettiva o la raffinata trilogia di Fiammetta Oselladori (nom de plume di una pudicissima giovane destrorsa) I cinque sensi o le cinque forme del piacere.

Gran favore di pubblico e critica e grandi plausi alla giovanissima (classe ’79) direttrice di collana, tale Anna K. Valerio (nella foto).

Fin qui tutto bene. Ma, direte voi, “a Simò! Ma che cce frega a nnoi de li romanzetti porno de li fascisti?

Domanda legittima.

Questa lunga introduzione non serviva a promuovere il prodotto, bensì a dare un minimo di informazioni riguardo all’ultimo (in ordine cronologico) recensore di CONFINE DI STATO.

Anna K. Valerio in persona si è presa la briga di dire due parole sul mio libello. E lo ha fatto dalle pagine di Cultrura, rubrica telematica delle Edizioni di Ar.

Il pezzo s’intitola I misteri degli "occhi che sanno" e lo trovate qui. Non lo incollo di seguito per non far ingrassare a dismisura il post. Chi ne ha voglia, gli dia pure un’occhiata.

Non scenderò nei particolari della disanima, dal momento che la libertà d’espressione è uno dei diritti costituzionali a cui sono più legato. E ognuno è libero di mandare il mio libro a quel paese se gli va.

Visto che la letteratura è cosa pubblica e CONFINE abita sugli scaffali delle librerie di mezza Italia.

Però, leggendo le righe di Anna (mi perdonerà se ardisco a chiamarla per nome), qualche perplessità m’è rimasta. E ci terrei che mi desse una mano a chiarirmi i dubbi.

In primis vorrei ringraziarla per avermi dato del “ragazzetto”. A noi mammiferi sopra il quintale raramente si riservano epiteti sì vezzosi.

Ma entriamo nel vivo della recensione: Anna scende subito nel particolare analizzando con acribia la mia scrittura: “è giunto alla prosa di un romanzo (edito da Marsilio) sapendo di scontento e sudore, di una esistenza delusa, come uno schiavo rabido.”

Ammazza, mi son detto. Vorrei rassicurare i miei lettori sulla mia presunta sudorazione di fronte alla tastiera del computer: a parte qualche paragrafo stilato nella torrida estate del 2005, che mi portò a terger la fronte un paio di volte in più del dovuto, giuro su ciò che ho di più caro che non è poi così faticoso il mestiere dello scribacchino. Persino il problema del transitorio dolore oculare da sovraesposizione allo schermo è stato da tempo risolto dall’avvento dei monitor LCD. E col mio Samsung da 20 pollici non corro rischi.

Vi prego inoltre di non immaginarmi poi così rabido qualora la pagina appena redatta non mi soddisfi appieno.

Sono un uomo pacioso: i miei familiari (e la gatta Matilda) potranno confermarvelo in ogni momento (anche per iscritto).

È capitato che non fossi di ottimo umore quando il governo Prodi fece l’indulto, o quando, anni addietro, quel signore basso basso vinse le elezioni. Ma al massimo avrò mandato affanculo il televisore. Niente di eclatante.

Anna s’imbroglia invece quando parla della mia indignazione. Quella che ho provato scrivendo CONFINE.

Un’indignazione dopolavoristica, a sentir lei.

Personalmente, associo il “dopolavoro” a un concetto di tranquilla superficialità, di rilassata pace col mondo, di serena (magari un po’ vacua, ma che male c’è? È il bello dell’aver finito di lavorare…) rilassatezza.

Be’, quello che provai nel periodo in cui studiai i fatti di Piazza Fontana, in cui lessi le testimonianze dei famigliari delle vittime, in cui ebbi la fortuna di parlare con qualcuno di loro, non aveva niente di dopolavoristico.

Ero incazzato sul serio a quel tempo. E siccome, secondo lo Stato Italiano, nessuno è colpevole per i fatti del 12 dicembre 1969 – non lo è Freda, non lo è Ventura. E questi due signori – nonostante le testimonianze di Fabris e Siciliano, che li dicono parte integrante del meccanismo di morte e che sono state riconosciute attendibili dagli inquirenti nel 1990 – non possono più essere condannati per il fatto perché prosciolti da ogni accusa nel 1985 – ho dovuto creare Sterling per avere qualcuno con cui prendermela.

Nonostante tutto, l’incazzatura è ancora prepotente.

Ma forse le parole di Anna sono frutto di un equivoco.

Come lei stessa ammette, di CONFINE DI STATO non ha letto che poche righe. Righe che, peraltro, non appartengono al romanzo, ma allo spin-off LA LEGGE DEI FESSI.

Forse questo senso di disagio che le comunica la mia scrittura c’entra col titolo dell’opera.

Eh sì, signori miei, perché Anna dirige una collana in cui vengono annoverati capolavori del calibro di La cosacca del barone von Ungern, L’oscura meraviglia e Sclip. La prigione del vizio.

E il mio racconto, con quel titolino banalotto fa una magra figura là in mezzo.

Per cui è deciso, d’ora in poi la short story sul blocco del porto dell’Isola del Giglio del 1976 si chiamerà LA LEGGE DELLA FESSA.

Chissà che mi riesca di rientrare nelle grazie della sofisticata signorina Valerio.

Blog in pausa: il conducente ha la febbre


Giusto ieri parlavo con un amico conosciuto su anobii di questo blog.
Mario (così si chiama l'amico) si complimentava dicendomi che Confinedistato.com non è il solito spazio autoriale (sostitutivo dello psicanalista) ove maestri della penna descrivono per filo e per segno le proprie entusiasmanti esistenze bohémien.
Io gongolavo e rispondevo all'apice della saggezza: "onestamente, credo che ai miei lettori interessi di più della nuova legge truffa sull'editoria che della mia temperatura corporea".
Non sono passate nemmeno ventiquattrore da quando ho scritto questa mail.
E di cosa parla il primo post che scrivo da giorni?
Indovinato (non che il titolo fosse così criptico): ho la febbre, mannaggia la pupazza!
A dire il vero ce l'ho da venerdì, anche se ho tentato d'ignorarla bombandomi di BRUFEN.
Ma stamane era lì pronta ad attendermi.
Febbre, naso chiuso, catarro, voce da bambina dell'Esorcista...
Voi direte: "Ecchissene?"
Sacrosanto.
E io non voglio nemmeno tirare in ballo precedenti illustri di pezzi simili (la Bignardi, l'anno scorso, nel periodo del Salone).
Questo post giusto per dirvi che potrebbe capitare di sentirsi un po' meno nei prossimi giorni.
In tutta questa faccenda c'è di buono che, mal testa permettendo, stando a letto tutto il giorno potrò sorbirmi una quantità mai vista di serie TV, film e libri che il lavoro frenetico di questi giorni mi ha fatto trascurare.
E renderne conto per voi appena sopraggiunta guarigione.
Già nel week end mi sono dato un po' da fare: Ocean's 13, Spiderman III, 300, Dexter e i primi quattro episodi della seconda serie di Heroes.
Questa cosa che continuo a nominare Heroes e non ne scrivo mai si appresta a diventare una barzelletta.
Ora prendo pubblicamente l'impegno: non appena la serie italiana finisce, faccio un pezzo come si deve (ho già il titolo pronto, ma non spiffero nulla, nemmeno sotto tortura).
Statemi bene (almeno voi).