martedì 16 ottobre 2007
Centoquattro: ammazza che record...
Scusate l'uscita vanagloriosa, ma questo blog non aveva mai registrato così tante visite in un giorno solo.
CENTOQUATTRO. E sono solo le undici meno venti. Capace che prima di mezzanotte si arrivi a 110.
Ora, lo so che ci sono i refresh, i ricorsivi, i curiosi e i disattenti (che tornano perchè si sono scordati).
Però permette l'emozione...
E permettemi di ringraziarvi per il vostro entusiasmo.
Con affetto,
S.
P.S.: l'immagine dite? Non ho trovato nulla di più appropriato (o di più sobrio). So sorry...
Democrazia o pallone? Cul de sac...
Io che di pallone so poco o nulla e che di politica avrei preferito parlare solo attraverso le pagine dei miei romanzi, ho finito per infilarmi in un discreto cul de sac.
Però, direbbe il saggio, "fijo mio bbello, se te le vai a cercà..."
Come dargli torto?
Partiamo dal pallone, così diamo subito saggia prova della mia incompetenza. Di mio sono granata da che mi ricordo, anche se in famiglia del calcio fregava poco o nulla a nessuno.
A parte mio nonno, che era juventino. E siccome mio nonno (il barbiere, lo stesso che mi ha insegnato le canzoni di Buscaglione. Chi si chiedesse di che parlo è pregato di dare un'occhiata al mio TURKEMAR. Che è gratis e in copyleft...) mi era molto ma molto simpatico, non sono cresciuto nella naturale dicotomia da derby.
Se vinceva la Juve ero felice perchè era felice il nonno.
Se vinceva il Toro saltavo di gioia e il nonno che doveva fare? Tenermi il muso? Finiva che, pure col fegato in subbuglio, un mezzo sorriso me lo regalava lo stesso. Dunque, pari e patta.
Per chiudere il quadretto schizofrenico nel quale si è formata la mia coscienza calcistica, mio padre a metà dell'infanzia ebbe la bella idea di regalarmi la maglia del Milan (scusa ufficiale: sulle bancarelle della fiera non c'era altro. Era arrivato troppo tardi).
Il Milan di allora era quello di Gullit e Van Basten, che con tutta la faziosità possibile era dura non entusiasmarsi se avevi dieci anni e a pallone ci giocavi tutti i giorni in cortile.
Oltre tutto, a essere sinceri, a calcio ero anche una discreta pippa, dunque quella maglia rossonera (rigorosamente in flanella. All'epoca i materiali dell'abbigliamento per bimbi eran quel che erano) era l'unico deterrente per avermi in squadra durante i sorteggi nei lunghi pomeriggi estivi.
Vedete ben voi che razza d'inguacchio.
Finita l'epoca del pallone e degli amichetti maschi, sopraggiunta l'età in cui il calcio era diventato un sport el'altra metà del cielo irrompeva brutale nelle nostre vite, il passatempo nazionale sparì per un bel pezzo dalla mia esistenza.
A parte le parentesi mondiali (lì anche la parte più snob del sottoscritto lascia spazio all'hooligan che c'è in me), non ho mai trascorso domeniche o mercoledì di fronte al televisore o allo stadio.
Quando ho iniziato a fare il mestiere che faccio, però, l'interesse per il calcio (specie quello vintage) ha invaso il mio campo di studi. Non si può pretendere di occuparsi della storia di questo paese prescindendo dalla più italiana delle passioni. Molto ho letto sul grande Toro e sulla Juve di Platini e soci. Ho rimescolato i miei primi ricordi alle immagini di repertorio dell'82, mi sono emozionato quando Facchetti se n'è andato, l'anno scorso: la sua carriera l'ho ripercorsa nei libri e tra i racconti della gente, mentre mi documentavo su Confine.
A tutt'oggi non sento l'esigenza di guardare una partita in tv, ma se mi capita per le mani un libro come LA FARFALLA GRANATA di Dalla Chiesa, è facile che lo divori in mezza giornata.
Amo troppo la storia d'Italia, e il pallone ne è parte integrante.
Discorso diverso per la politica.
Mai avuto in tasca tessere (a parte quella della CGIL. Orgoglioso tesserato da anni).
Mai sognato di votare a destra.
Vuoi per colpa della famiglia (nonno, sempre lui, partigiano e comunista. L'altro nonno socialista della prima ora. Grazie a Dio se ne andò nell'83 e non gli toccò assistere allo scempio di Bettino), vuoi per le passioni e le frequentazioni giovanili (le ragazze in gonna e tacchi alti, vai a sapere perchè, non mi son mai piaciute. E se tampini quelle con i jeans strappati, la kefiah e le camicie a quadri - flanella che ritorna prepotente in ogni fase cruciale della mia vita - prima o poi, come insegna Eco, finisci in un Kollettivo).
Per chi è della mia generazione la nascita di Forza Italia segnò il discrimine tra l'essere di sinistra e il non esserlo.
Il partito del Berlusca ci piombò addosso in un pomeriggio piovoso del '94. Seconda liceo: terra di nessuno. L'età in cui ti fai crescere i capelli e smetti di vestirti come piace a mammà.
L'età in cui le tue compagne di classe se la fanno già con quelli più grandi, e quelli più grandi sono solo di due tipi: fighetti o alternativi.
Sorrido alla vacuità delle distinzioni quindici anni dopo, e mi chiedo che mondo aspettarà i bimbi dell'asilo dove insegno, che di anni ne hanno cinque.
Ad ogni modo, a quei tempi là, la discesa in campo di quel signore basso basso spiegò a noi tutti cosa non volevamo essere. E fu diecimila volte più efficace dei discorsi dei padri e dei nonni sui fascisti.
E' quasi ridicolo dirlo, ma il discrimine iniziale fu estetico.
Quelli a modino che cercavano le bamboline senza cervello di là. E noi scafazzoni con Siddartha sotto braccio (per inciso, una palla mostruosa, ma se non lo leggevi avevi scarsissime possibilità di limonare) di qua.
A sinistra.
Penso all'ingenuità d'allora e sono sempre più convinto di quel che dissi riguardo al voto ai sedicenni: val la pena di aspettare un paio d'anni.
Ad ogni modo, partì tutto da lì. Marx e il commercio equo e solidale vennero dopo. Vennero dopo la riscoperta del mito partigiano e la condivisione dell'identià culturale. Arrivarono le scuole di partito per alcuni e i ripensamenti per altri (un vecchio compagno di allora rischiò di farsi prete e adesso è finito per fare il dirigente di cooperativa. Un altro dei Duri e Puri di allora sgobba sedici ore al giorno per una multinazionale giapponese e vota ancora Rifondazione).
Io, da allora, sono cambiato parecchio. Ma due cose sono rimaste intatte:
- Salvo Alzheimer o altre patologie psichiche non voterò mai a destra
- Da allora sogno una grande Sinistra unita.
Ho aspettato tanto, e come dite voi magari anche questa volta si tratterà dell'ennesima bufala dei furbetti del quartierino. Ma credo che valga la pena crederci.
Io credo in questa nuova formazione politica, confido nella sua serietà, ho fiducia nelle migliaia di giovani che fanno prte del movimento.
Dice: "Che, te sei tesserato?"
No, e non è mia intenzione nell'immediato futuro. Ma sono molto orgoglioso della realtà che sta nascendo.
Detto questo, chiusa la parentesi PD.
Nei prossimi post tornerò ad occuparmi di pop culture e forme di entartainment alternativo.
Mica per mancanza di schiettezza, ci mancherebbe.
E' che credo di aver molte più cose da dire sui serial americani che su Veltroni.
Qualche piccola preview: si parlerà di United We Stand, di Heroes e di serialità da American comics.
Graziea tutti voi per il calore che ha aceso questa discussione.
Però, direbbe il saggio, "fijo mio bbello, se te le vai a cercà..."
Come dargli torto?
Partiamo dal pallone, così diamo subito saggia prova della mia incompetenza. Di mio sono granata da che mi ricordo, anche se in famiglia del calcio fregava poco o nulla a nessuno.
A parte mio nonno, che era juventino. E siccome mio nonno (il barbiere, lo stesso che mi ha insegnato le canzoni di Buscaglione. Chi si chiedesse di che parlo è pregato di dare un'occhiata al mio TURKEMAR. Che è gratis e in copyleft...) mi era molto ma molto simpatico, non sono cresciuto nella naturale dicotomia da derby.
Se vinceva la Juve ero felice perchè era felice il nonno.
Se vinceva il Toro saltavo di gioia e il nonno che doveva fare? Tenermi il muso? Finiva che, pure col fegato in subbuglio, un mezzo sorriso me lo regalava lo stesso. Dunque, pari e patta.
Per chiudere il quadretto schizofrenico nel quale si è formata la mia coscienza calcistica, mio padre a metà dell'infanzia ebbe la bella idea di regalarmi la maglia del Milan (scusa ufficiale: sulle bancarelle della fiera non c'era altro. Era arrivato troppo tardi).
Il Milan di allora era quello di Gullit e Van Basten, che con tutta la faziosità possibile era dura non entusiasmarsi se avevi dieci anni e a pallone ci giocavi tutti i giorni in cortile.
Oltre tutto, a essere sinceri, a calcio ero anche una discreta pippa, dunque quella maglia rossonera (rigorosamente in flanella. All'epoca i materiali dell'abbigliamento per bimbi eran quel che erano) era l'unico deterrente per avermi in squadra durante i sorteggi nei lunghi pomeriggi estivi.
Vedete ben voi che razza d'inguacchio.
Finita l'epoca del pallone e degli amichetti maschi, sopraggiunta l'età in cui il calcio era diventato un sport el'altra metà del cielo irrompeva brutale nelle nostre vite, il passatempo nazionale sparì per un bel pezzo dalla mia esistenza.
A parte le parentesi mondiali (lì anche la parte più snob del sottoscritto lascia spazio all'hooligan che c'è in me), non ho mai trascorso domeniche o mercoledì di fronte al televisore o allo stadio.
Quando ho iniziato a fare il mestiere che faccio, però, l'interesse per il calcio (specie quello vintage) ha invaso il mio campo di studi. Non si può pretendere di occuparsi della storia di questo paese prescindendo dalla più italiana delle passioni. Molto ho letto sul grande Toro e sulla Juve di Platini e soci. Ho rimescolato i miei primi ricordi alle immagini di repertorio dell'82, mi sono emozionato quando Facchetti se n'è andato, l'anno scorso: la sua carriera l'ho ripercorsa nei libri e tra i racconti della gente, mentre mi documentavo su Confine.
A tutt'oggi non sento l'esigenza di guardare una partita in tv, ma se mi capita per le mani un libro come LA FARFALLA GRANATA di Dalla Chiesa, è facile che lo divori in mezza giornata.
Amo troppo la storia d'Italia, e il pallone ne è parte integrante.
Discorso diverso per la politica.
Mai avuto in tasca tessere (a parte quella della CGIL. Orgoglioso tesserato da anni).
Mai sognato di votare a destra.
Vuoi per colpa della famiglia (nonno, sempre lui, partigiano e comunista. L'altro nonno socialista della prima ora. Grazie a Dio se ne andò nell'83 e non gli toccò assistere allo scempio di Bettino), vuoi per le passioni e le frequentazioni giovanili (le ragazze in gonna e tacchi alti, vai a sapere perchè, non mi son mai piaciute. E se tampini quelle con i jeans strappati, la kefiah e le camicie a quadri - flanella che ritorna prepotente in ogni fase cruciale della mia vita - prima o poi, come insegna Eco, finisci in un Kollettivo).
Per chi è della mia generazione la nascita di Forza Italia segnò il discrimine tra l'essere di sinistra e il non esserlo.
Il partito del Berlusca ci piombò addosso in un pomeriggio piovoso del '94. Seconda liceo: terra di nessuno. L'età in cui ti fai crescere i capelli e smetti di vestirti come piace a mammà.
L'età in cui le tue compagne di classe se la fanno già con quelli più grandi, e quelli più grandi sono solo di due tipi: fighetti o alternativi.
Sorrido alla vacuità delle distinzioni quindici anni dopo, e mi chiedo che mondo aspettarà i bimbi dell'asilo dove insegno, che di anni ne hanno cinque.
Ad ogni modo, a quei tempi là, la discesa in campo di quel signore basso basso spiegò a noi tutti cosa non volevamo essere. E fu diecimila volte più efficace dei discorsi dei padri e dei nonni sui fascisti.
E' quasi ridicolo dirlo, ma il discrimine iniziale fu estetico.
Quelli a modino che cercavano le bamboline senza cervello di là. E noi scafazzoni con Siddartha sotto braccio (per inciso, una palla mostruosa, ma se non lo leggevi avevi scarsissime possibilità di limonare) di qua.
A sinistra.
Penso all'ingenuità d'allora e sono sempre più convinto di quel che dissi riguardo al voto ai sedicenni: val la pena di aspettare un paio d'anni.
Ad ogni modo, partì tutto da lì. Marx e il commercio equo e solidale vennero dopo. Vennero dopo la riscoperta del mito partigiano e la condivisione dell'identià culturale. Arrivarono le scuole di partito per alcuni e i ripensamenti per altri (un vecchio compagno di allora rischiò di farsi prete e adesso è finito per fare il dirigente di cooperativa. Un altro dei Duri e Puri di allora sgobba sedici ore al giorno per una multinazionale giapponese e vota ancora Rifondazione).
Io, da allora, sono cambiato parecchio. Ma due cose sono rimaste intatte:
- Salvo Alzheimer o altre patologie psichiche non voterò mai a destra
- Da allora sogno una grande Sinistra unita.
Ho aspettato tanto, e come dite voi magari anche questa volta si tratterà dell'ennesima bufala dei furbetti del quartierino. Ma credo che valga la pena crederci.
Io credo in questa nuova formazione politica, confido nella sua serietà, ho fiducia nelle migliaia di giovani che fanno prte del movimento.
Dice: "Che, te sei tesserato?"
No, e non è mia intenzione nell'immediato futuro. Ma sono molto orgoglioso della realtà che sta nascendo.
Detto questo, chiusa la parentesi PD.
Nei prossimi post tornerò ad occuparmi di pop culture e forme di entartainment alternativo.
Mica per mancanza di schiettezza, ci mancherebbe.
E' che credo di aver molte più cose da dire sui serial americani che su Veltroni.
Qualche piccola preview: si parlerà di United We Stand, di Heroes e di serialità da American comics.
Graziea tutti voi per il calore che ha aceso questa discussione.
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