Mattinata piovosa da queste parti.
Ma sarebbe meglio dire week-end (con relativa previsione di settimana) piovoso che si trascina oltre i limiti preposti per legge.
Clima giusto per rilassarsi e tirare il fiato.
E invece...
E invece, per vari motivi che non sto ad elencare, questi son giorni di poco sonno, febbrile attività e pagine che scorrono una via l'altra.
Negli ultimi cinque credo di aver dormito non più di sei ore per notte. Ho letto parecchio.
Sono animato da sensazioni contrastanti.
Da un lato c'è la fibrillazione per l'uscita di SETTANTA, e la grande commozione per le manifestazioni d'affetto (di compartecipazione e di condivisione d'attesa) ricevute in questi giorni. Prima fra tutte l'adesione massiccia - e ben oltre le aspettative anche solo immaginate - al gruppo recentemente inaugurato su FACEBOOK relativo alla mia "Trilogia sporca": duecentodieci iscritti in poco meno di una settimana. Devastante. Grazie a tutti. Di cuore.
Sull'altro versante, come dicevo, essendo stati giorni ricchissimi di attività (quella che gli studiati chiamano "fermento intellettuale") ho scritto parecchio, ma soprattutto ho letto tantissimo. Mi sono in qualche maniera trasferito (nell'accezione propria dell'abitare) dentro due libri straordinari. E ne scrivo, significativamente, proprio ora che non ho finito nessuno dei due. Ora che, ancora, "vivo" in entrambi.
Il primo è ITALIA DE PROFUNDIS, probabilmente il libro più bello di Giuseppe Genna.
Dico "probabilmente" perchè, per formazione e debiti "di mestiere" io sono indissolubilmente legato alla quadrilogia di Lopez. Tuttavia, da molto tempo, la scrittura di Genna non ha più niente a che vedere con il noir o il thriller. La bolla in suppurazione che tendeva l'epidermide del romanzo di genere è esplosa molto tempo fa (all'epoca de L'ANNO LUCE), ha infettato lo stile e la materia stessa dello scrivere. Ha trasformato in altro la scrittura di Giuseppe Genna.
Egli stesso è stato inghiottito dalla pandemia rilasciata oltre i romanzi del ciclo di Lopez, diventando prima personaggio finzionale dei suoi stessi romanzi (DIES IRAE) e poi strumento ottico nella prospettiva dell'autofiction in questa ultima, straordinaria fatica letteraria.
Chiamo "fatica" il DE PROFUNDIS non a caso. Questo strano romanzo, che parla sostanzialmente degli ultimi due anni di vita dell'autore (anche se il fulcro invocato di pagina in pagina è l'estate 2007, la materia narrativa deborda continuamente nello spazio) è faticoso, affaticante, sia per il lettore che, immagino, per l'autore che l'ha scritto.
Leggere il DE PROFUNDIS, o almeno attraversare la prima parte del volume, è come nuotare in una pozza nera, zeppa di olio motore denso e vischioso. I movimenti propulsivi sono rallentati; è inevitabile uscirne senza sporcarsi.
Lo schiaffo, il colpo basso, la frustata a schiena nuda, arriva al centro. Nell'esatto baricentro del romanzo, sorge un capitolo intitolato QUATTRO STORIE DI MERDA CHE NON RICORDO PIU'.
Queste pagine trafiggono il lettore, lo squartano senza pietà, lo smembrano.
Lo cambiano.
E' impossibile oltrepassare illesi queste pagine.
Ovviamente non spiegherò il perchè.
Leggete e saprete.
L'altra lettura totalmente illuminate (e ferocemente lesiva) di questi giorni è stata EDUCAZIONE SIBERIANA di Nicolai Lilin. Questo libro, che narra l'infanzia e l'adolescenza di un ragazzo (nemmeno trentenne, Lilin è nato nel 1980) della Transnistria, cresciuto con la legge criminale degli Urca siberiani, finito a combattere una guerra non sua con un AK-47 in spalla, sopravvissuto al conflitto e finalmente trasferitosi a Torino, dove lavora(va. Da qualche tempo lo studio è gestito da altre persone. Ma Nicolai dice che lo riprenderà in mano presto) come tatuatore, per quanto mi riguarda è il romanzo di formazione più importante degli ultimi dieci anni. E nel contempo è anche il romanzo criminale più importante degli ultimidieci anni.
E' sopra Bunker, oltre Bunker. Considerando soprattutto che è stato scritto direttamente in italiano, che ovviamente non è la lingua madre di Lilin.
Per farvi capire la potenza di questo libro, lo riassumerò con una metafora ellroyana: è come prendere Huckleberry Finn e chiuderlo una settimana, senza cibo né acqua, in una cantina buia, in compagnia dello Zio Tom strafatto di crack.
Tanto per capirci.
Signori (e signore), vi prego, leggete questi libri.
lunedì 27 aprile 2009
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