lunedì 20 aprile 2009
Indovina chi viene a cena: Pennac a Novara, 19 aprile 2009
Poi dici la fatalità...
No, dico: quante probabilità ci sono che a Novara (ridente cittadina sulla Milano Torino, nota per il suo buon umore ma non certo per il suo fervore culturale) organizzino un festival internazionale con scrittori di grosso calibro (da Grossman a Sepulveda, tanto per intenderci).
Mica tante, nè? Eppure...
Mettiamo pure che ci siano dei matti che lo organizzano... ma vuoi mica che vadano proprio a invitare quel professore di Bellville che nei Novanta mi ha fatto ammattire con la saga di quella famiglia strana col cane epilettico. Che ha scritto pure quel libro coi diritti del lettore (che per la prima volta, io, dopo averli letti non mi sono più sentito in colpa a mollare lì un romanzo a metà) e mica tanto tempo fa quell'altro libro sulla scuola dove confessava che lui, asino cronico, ha finito per diventare una specie di mito per i ragazzi delle proprie classi.
Eppure...
Ok, Pennac a Novara. Non sembra vero ma è così.
Ora, dato per certo il migliaio di persone che verrà a vederlo, vuoi mica riuscire anche a farti autografare un libro?
Attendendo un'oretta al freddo, per carità, eppure...
E alla fine della giornata, dopo esserti beato delle sue parole (in una lingua che ignori, ma che di colpo diventa comprensibile, grazie all'impeccabile traduzione di quel gentiluomo d'altri tempi di Paolo Noseda), vuoi mica persino andarci a cena insieme? Questo è assurdo, fuori discussione. Decisamente un sogno matto.
Eppure...
Ma partiamo dall'inizio, che se no c'incasiniamo.
Ieri, ore 17.00 più o meno. Domenica piovosa di primavera inoltrata ma in casa Sarasso fervono i preparativi manco fosse la prima dell'esodo d'agosto. Sarassone già pronto e vestito di tutto punto alle 16.30, gatta impazzita che corre e salta bucando il cellophane che ricorpre la stanza in ristrutturazione (da circa un mese si vive come i nomadi della Strada Rossa per colpa dell'Elettrcista Che Non Arriva Mai) e Dolce Metà che prima dà appuntamento ai suoi allievi alle 17.30 di fronte al Comune ("Mi raccomando, non fate tardi!") e poi alle 17.35 è ancora intenta a seminar belletti in giro per casa.
Corsa folle per le vie del centro, parcheggio selvaggio nei pressi della Facoltà di Economia e, più veloci di Usain Bolt, schizziamo verso la sala conferenze in cui Daniel Pennac sta per tenere il suo show per la gioia dei novaresi grandi e piccini.
Al nostro arrivo (ovviamente) la sala è gremita. Gli allievi di mia moglie sono dentro da un pezzo, sorridono dai loro posti a sedere che per noi (e per il milione di persone alle nostre spalle che pressa per entrare) non ci sono più.
Depositiamo cappotti e ombrelli in grembo ai molti amici già seduti (seduti per forza: non son mica rimasti a rifinirsi il trucco fino alle cinque e venti, loro...;-)) e sgomitiamo in cerca di uno spiraglio.
A questo punto accade il primo miracolo della giornata: Mauro, amico di vecchia data, scorge mia moglie e, da vero gentiluomo, le cede la propria sedia. Con non chalance va poi ad accomodarsi in prima fila, tra le autorità.
Io, roso dall'invidia, comincio a vagare tra la folla, convinto che il mio destino sarà quello di trascorrere la prossima ora e mezza a sostenere una delle pareti antiche della sala. E, per consolarmi, mi racconto che son già parecchio fortunato a essere entrato. Là fuori c'è un miliardo di cristiani che strepita e sgomita e non vedrà un bel niente.
Ma proprio mentre son lì con la faccia contrita e paonazza, qualcuno al microfono annuncia che i bambini e i ragazzi possono "accomodarsi di fronte al palco". Il che significa che hanno formalmente il permesso di stravaccarsi in terra. Proprio mentre son lì che mi chiedo se poso passare ancora per "ragazzo" a trent'anni suonati, proprio mentre sono già pronto ad andare a sdraiarmi sul marmo gelido o a rattrappirmi nella posizione del loto sulla moquette cremisi fronte palco (qualunque cosa, pur di mettere giù il culo...), il secondo miracolo - una autentica manifestazion di misericordia divina - mi travolge con la potenza di un esercito di berberi impazziti al galoppo.
Una coppia di amici con figli, premurosamente arrivata un'ora prima dell'inizio dello spettacolo, alza di peso i pargoli, li munisce di libri da autografare e li scaraventa in prossimità delle sedie destinate a intervistatore, interprete e intervistato.
Io assisto alla scena attonito, sbalordito. Finchè la mamma mi indica una delle due sedie che i figli hanno appena (palesemente contro la loro volontà) liberato e mi sorride. Io, incredulo, faccio finta di rifiutare ma, quando vedo che una elegantissima signora sovrappeso appoggia le chiappe su uno dei due posti senza nemmeno dire "bah", mi fiondo a occupare il rimanente.
Non mi sembra vero.
Un quarto d'ora di attesa (trascorso a guardarmi intorno e a rimirare il pubblico delle grandi occasioni) e finalmente monsieur Pennac arriva. L'onore di intervistarlo tocca a Sergio Pent, mentre della traduzione si occupa Paolo Noseda, l'interprete di CHE TEMPO CHE FA, la trasmissione di Rai 3 condotta da Fabio Fazio.
Lo spettacolo dura quasi due ore. Fitte fitte eppure leggerissime. Pennac è sereno, scherza parecchio: aggiunge un undicesimo diritto del lettore ai dieci elencati in COME UN ROMANZO, racconta di quel professore che lo fece diventare un "piccolo matematico" ai tempi del liceo, giura d'aver sognato un nuovo episodio della saga di Maluassene (e promette che di qui a venticinque, trent'anni, lo scriverà senz'altro), accoglie i complimenti e le domande del pubblico con pazienza e trasporto.
Pent conclude con un quesito epocale: "Cosa dice, signor Pennac? Ce la ridarebbe Carla Bruni in cambio di Silvio Berlusconi?"
Monsiuer Daniel ci pensa su, poi alza le braccia e dice che si tiene Carla.
Dismissed.
Il popolo dei lettori/ascoltatori scema giù da basso e io mi faccio trascinare dalla folla.
La coda per accaparrarsi l'autografo è infinita, per cui io e la mia signora ci fermiamo a chiacchierare con delle amiche (una delle quali, Francesca, a momenti mi lascia il libro da autografare - deve scappare a casa dalla famiglia - ma poi ci ripensa. Quando leggerà queste righe, ne sono certo, si pentirà dell'insano gesto per sempre...).
Chiacchiera tu che ti chiacchiero io, si fa ora di cena ma la coda non accenna a scemare.
Ma noi teniamo duro e intorno alle nove riusciamo ad accaparrarci la firmetta.
Pennac, sulla copia di DIARIO DI SCUOLA scrive "VOTATE SIMONE!" Su COME UN ROMANZO "VIVA MARIANGELA!"
A quel punto siamo veramente rimasti in pochi, dal momento che eravamo gli ultimi della fila, e Roberto Cicala, il direttore di Interlinea (la casa editrice novarese che insieme alla Provincia ha organizzato l'evento) esclama "Andiamo a cena?"
E' in questo momento che avviene il terzo miracolo della giornata: io e mia moglie ovviamente faremmo carte false per cenare con Pennac, ma nessuno ci ha invitato esplicitamente. Lì per lì pensiamo di imbucarci (siamo dei maestri), ma comunque temiamo che, una volta arrivati al ristorante, i posti siano tutti prenotati e a noi tocchi una figura barbina.
Lungo la strada dalla sala conferenze al luogo adibito al desinare io mi figuro già la scena: Pennac, sua moglie, gli uomini di Interlinea e l'addetta stampa Feltrinelli prenderanno posto e noi due rimarremo di sale. In piedi a ciondolare, a mendicare una sedia. Magari poi loro si stringeranno e, nell'imbarazzo generale, ci faranno spazio, non rivolgendoci comunque la parola per tutta la sera e riferendosi a noi, nei racconti futuri della serata, come a "quei due là."
Cose del tipo: "Ti ricordi quei due là? Ma chi cavolo erano? Due facce come il culo! Ci son venuti dietro e hanno anche preteso di sedersi. Che vergogna! O tempora o mores!"
E invece, un nuovo miracolo era in attesa: varchiamo la soglia dell'albergo scossi dai tremori e dall'imbarazzo finchè davanti ai nostri occhi sbarrati non si squderna la tavola imbandita. Io conto i posti a tavola e non credo a me stesso. Li conto una volta, sbatto le palpebre, poi li riconto: cacchio sono otto!
C'è posto anche per noi.
E qui mi assale il dubbio amletico: vuoi dire che ero invitato a cena con Pennac e non lo sapevo?
O forse era invitato qualcun altro e non si è presentato?
La domanda mi squassa per un intero secondo.
Dopodichè mi siedo e comincio a mangiare.
Lo stesso fa mia moglie.
Vivrò nell'incertezza. Ma - ne sono certo - vivrò felice.
La serata è a dir poco magnifica. La lingua universale è il francese. Metà delle persone che siedono a tavola (la metà di cui, orgogliosamente, faccio parte) non lo parla.
L'altra metà è madrelingua o quasi.
Eppure non fa niente. Persino io, che col francese non sono nemmeno parente alla lontana, io che a Parigi facevo fatica a ordinare da mangiare, ascolto tutto, capisco tutto.
Pennac parla in francese e o rispondo in italiano. La conversazione è perfetta, senza cedimenti.
Di quando in quando, Noseda traduce, ma da un certo punto in poi non è più necessario.
Mi si rivolge nella lingua di Brigitte Bardot e io gli rispondo in quella di Nino Frassica, ma ci si intende ugualmente alla perfezione.
E' meraviglioso: si chiacchiera spaziando Oriana Fallaci a Vittorio Gassman, alla matematica, al calcio (Zidane la fa da padrone), alla cucina, al vino, alle vacanze.
Mangiamo bresaola, risotto e gorgonzola. Ci scoliamo due bocce di dolcetto d'Alba.
Verso le undici Roberto accompagna Paolo e Lucia - l'addetta stampa Feltrinelli - in stazione. Tornano a Milano.
Daniel e sua moglie Minne dormono a Novara.
Prima di congedarci, voglio il mio feticcio. Voglio un ricordo, una prova dello straordinario evento.
Sennò nessuno crederà a questa storia magica.
Ne parlo con Daniel. Decidiamo di fare qualcosa di speciale: una foto di famiglia.
Madame e monsieur Pennac si accomodano sulle seggiole. Io e mia moglie, stretti stretti, ci posizioniamo in piedi alle loro spalle.
Alessandro di Interlinea scatta. Due volte, con la sua macchina e con il mio telefonino.
Guardo il risultato: sono al settimo cielo.
Sbirca anche Daniel. Sorride a Minne: "Guarda cara. Dovremmo mostrarla agli amici: 'Vedete, qui eravamo in Italia coi nostri ragazzi...'"
Minne ride. Ride Alessandro, ride mia moglie Mary. Rido anch'io.
Baci e abbracci di fine serata.
Filiamo verso casa camminando a dieci centimetri da terra.
Una giornata memorabile. Di quelle che non ti scordi finché campi.
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