Tre anni fa (facciamo pure quattro) di mestiere non scrivevo: leggevo e basta.
Leggevo perché qualcuno a fine mese versava lo stipendio e leggevo just for fun.
Poi arrivò un tizio secondo cui ero proprio tagliato per mettere nero su bianco le mie ossessioni.
Che a forza di leggere, qualche cosa dovevo pure averla imparata, così diceva.
Ed era ora di togliere le rotelle alla bici.
Gli diedi retta, e il risultato è che oggi sto qui a raccontarvi dei miei libri.
Quando nemmeno speravo di fare questo mestiere, leggevo i libri di cinque tizi che scrivevano insieme. Romanzi di spie ambientati nel ‘500, libri con Cary Grant o John Coltrane per protagonisti, eccezionali storie d’avventura. Questi tizi mi hanno insegnato molto. A dire la verità, senza i loro libri, difficilmente avrei scritto i miei. Questi tizi hanno nomi veri: si chiamano Roberto, Giovanni, Luca, Federico e Riccardo.
Ma il mondo li conosce con un altro nome: quello che si sono scelti. Il nome della band.
WU MING.
E così niente più Roberto, Giovanni, Luca, Federico e Riccardo. Benvenuti WU MING 1,2,3,4 e 5.
Quando uscì la prima edizione di CONFINE DI STATO per Effequ, scrissi a Roberto (WM1), e gli mandai una copia del libro. Mi disse che l’avrebbe letto, ma non ce la fece.
Quando uscì l’edizione Marsilio, ognuno di loro ne ricevette una copia. Solo Giovanni (WM2) riuscì a leggerlo.
E lo lesse così a fondo da non riuscire a chiudere con quel libro nemmeno dopo l’ultima pagina.
Giovanni si scontrò con Confine. Ci fece a cazzotti. Il libro non gli andò giù.
E me lo fece sapere, con una lunga e bellissima mail.
Nella mail non è affatto tenero. E le critiche sono di quelle che non ti scordi.
Ma riuscite a immaginare cosa significa per un rookie come il sottoscritto quando uno dei tuoi maestri si prende la briga di sezionare il tuo lavoro così in profondità? Di andare a farti le pulci, affinché tu non commetta mai più gli stessi errori?
Qui di seguito vi riproduco la lunghissima mail di Giovanni Cattabriga alias Wu Ming 2 su CONFINE DI STATO.
Al prossimo giro parleremo delle mie risposte alle sue critiche.
Ancora una cosa: ATTENZIONE! SPOILER! In questo intervento, ça va sans dire, si parla del contenuto del romanzo (finale compreso). Se non volete rovinarvi la sorpresa, non leggete quanto segue.
finalmente posso scriverti dopo aver letto Confine di Stato. L'idea era di recensirlo sull'ultimo numero del nostro Nandropausa, in uno speciale sulla strategia della tensione. Terminato il romanzo, però, ho preferito fare il punto e mandarti queste righe.
Faccio una premessa: molte delle critiche che leggerai sono scritte senz'altro con il tono sbagliato. Ho impiegato un pomeriggio a raccogliere queste osservazioni e se l'ho fatto è perché credo nel progetto che stai portando avanti e penso possano servirti per le prossime scritture. Purtroppo, non ho avuto tempo per calibrare i termini, smorzare tutti gli spigoli, addolcire le amarezze. Se qualche frase dovesse ferirti, ti chiedo scusa in anticipo, lo spirito con il quale ti scrivo è l'esatto contrario, e cioè sostenerti, darti l'unico aiuto - magari del tutto superfluo - che sono in grado di dare.
La parte centrale di Confine, da pag 205 a pag 365, è davvero notevole. Incalzante, implacabile, scritta con i toni e le parole giuste. Ho fatto fatica a staccarmi, sebbene la vicende siano piuttosto note. Le duecento pagine che la precedono, invece, non mi hanno convinto. Non tanto per la lingua o per la struttura, quanto piuttosto per la scelta dei personaggi.
Parto da Andrea Sterling, perché i dubbi su di lui si ripercuotono inevitabili su tutto il resto.
Da un lato, c'è un problema di verosimiglianza. In un romanzo "storico" ci si può inventare tutto, l'importante è che sembri vero. Anzi: l'importante è che tutto sembri vero, anche gli episodi reali, che a volte, proprio perché "già successi", ci si dimentica di raccontare in maniera credibile. Alle mie orecchie, tutta la vicenda del reinserimento socio-lavorativo di Sterling suona proprio inverosimile. Non tanto per le posizioni ante-basagliane: si sa che le idee devono molto circolare prima di emergere in maniera dirompente. No. Il problema è l'esito: che nel 1954 un ospite di manicomio entri in polizia e diventi uomo di fiducia di servizi e generali è del tutto incredibile. Certo, un autore può sforzarsi di rendere credibile qualsiasi cosa, ma non è detto che il contesto glielo permetta. Per me Sterling è un marziano. Dunque l'intero romanzo mi dice che a uccidere Ester Conti è stato un essere venuto da un altro pianeta, lo stesso che poi ha piazzato la bomba sull'aereo di Riviera, alla Banca dell'Agricoltura e sul traliccio dell'Editore.
Ma più ancora della verosimiglianza, il mio dilemma è: perché?
Perché rinunciare a un personaggio con un passato definito, con un percorso "normale", con delle motivazioni complesse, per eleggere a protagonista nero della storia d'Italia un ex-internato, senza una formazione psicologica articolata, senza una traiettoria rintracciabile, senza paragoni con nessun altro coetaneo, in poche parole un alieno?
Tra l'altro, la scelta mi pare molto rischiosa anche da un punto di vista filosofico. Andrea Sterling è talmente altro che il romanzo finisce per suonare rassicurante: tranquilli, il male assoluto non è banale, non è davvero in mezzo a noi. Kurz e Sterling sono talmente esili, sottili, che la strategia della tensione sembra essere calata sul paese da un'astronave.
Il problema della verosimiglianza ritorna anche nella "soluzione" dell'affare Conti. Nel giudicare un romanzo innervato sulla Storia non bisogna commettere l'errore di sovrapporre narrazione e realtà, personaggi e persone. Non pretendo da Ellroy che mi racconti com'è andato davvero l'assassinio Kennedy. Gli chiedo qualcosa di più difficile: raccontarmi una storia che, con radicale verosimiglianza, culmini nell'assassinio del presidente e - pur non essendo vera - mi dica qualcosa di importante sul contesto di quella vicenda e dunque sull'America.
Nel raccontare il caso Montesi mi sembra che tu sia riuscito molto bene nel secondo obiettivo (dire qualcosa sul contesto), ma molto meno nel primo. Anche sganciando completamente Ester da Wilma, l'idea che la ragazza sia stata uccisa da una specie di agente segreto - per di più uscito da un manicomio e arruolato in polizia con un programma ante-basagliano di reinserimento socio-lavorativo - risulta molto, molto forzata. Forse si poteva trovare un ruolo per Mario Rossi/Andrea Sterling che non fosse quello di esecutore materiale. Tra l'altro, il fatto che Sterling sia sempre il braccio che esegue, rende la narrazione prevedibile. Fa fuori la Conti, fa fuori Riviera...ok, ho capito, la bomba di piazza Fontana la mette lui, L'Editore lo ammazza lui. Sempre lui. Di nuovo: il rischio è che la strategia della tensione appaia come un affare di Sterling - un suo compito da samurai - il male di un esiguo pugno di individui - la maggior parte dei quali non si sporca le mani.
Lorenzo Trama è un altro personaggio che mi sfugge. Non riesco in alcun modo a sintonizzarmi sulle sue ragioni. Impariamo qualcosa di significativo sul suo passato solo a pag 165 - 15 pagine prima che lo facciano fuori. Lui stesso, a pag 171, si chiede:
Perché? Cosa fregava a uno come lui della morte di una ragazza di cui sapeva tutto ma con cui non aveva mai scambiato nemmeno una parola?
Non lo sapeva.
Benissimo. Lui, come personaggio, può pure non saperlo, essere del tutto inconsapevole delle proprie pulsioni. Ma io, lettore, che il risultato di quelle pulsioni devo seguirlo sulla pagina, io quelle pulsioni ho bisogno di capirle. Senza mandarlo dallo psicanalista, anche solo attraverso quello che fa e dice, ma devo sapere. Invece anche io, alla seconda lettura, mi trovo a rispondere: non lo so.
Per finire con i personaggi, ecco Il Mago, che mi pare l'unica sbavatura di quel gioiello narrativo che sono le pagine su Riviera. Mi ha dato la sensazione di essere una figura appiccicata a forza sulla vicenda. In poche pagine conosco molte cose della sua vita, esploro il suo quartier generale... tutto mi dice che si tratta di un personaggio importante, che devo imprimere nella memoria. E poi pluf, scompare, non ha alcuna necessità, anche perché in questa fase del racconto la droga e i paradisi artificiali c'entrano poco, se mai era l'affare Conti a richiamarli. Io immagino che il Mago tornerà nel corso della trilogia, però una trilogia sono comunque tre romanzi, non uno solo, e ciascuno dev'essere valutato in sé. Nell'economia di Confine il Mago produce molto poco rispetto allo spazio che occupa.
Arrivo al finale.
Non sono riuscito a focalizzare bene la questione del golpe "rimandato" (presumo alla Notte della Madonna 1970). Da quel che ho capito Kurtz e Gelo vedono in Piazza Fontana la prima mossa per un colpo di stato, da consumare nelle settimane successive. Fanno piazzare la bomba a Sterling, succede l'Apocalisse, ma i carriarmati rimangono in garage. Perché? Perché mesi prima è uscito un libretto che sputtana tutta la strategia. A me non torna. Ma come, non lo sapevano che era uscito quel libretto? Si erano distratti, non erano passati in libreria? E anche se fosse: uno blocca tutta la macchina di un colpo di stato perché scopre che è uscita una pubblicazione? A me non la danno a bere. Com'è che invece lo scaltro e crudele Sterling accetta la spiegazione come fosse acqua di fonte? Com'è che non fa una piega?
Insieme all'ipotesi sul delitto Conti questo mi pare il passaggio narrativamente più debole di tutto il romanzo.
Poi scatta la caccia all'uomo, bisogna mettere a tacere l'Editore del libretto.
L'incursione nella baita austriaca è un pezzo di bravura.
La missione cubana è ancora una volta poco verosimile. Troppe poche pagine per dar ragione di una mossa così azzardata. Anche questa scena dà l'impressione di essere appiccicata in coda alla storia per permettere a Pete B. di fare il suo cameo e all'autore di abbracciare Ellroy.
Un'ultima cosa: occhio alle citazioni. Ci sono frasi che puoi togliere da un contesto e metterle in un altro senza crisi di rigetto. Ci sono personaggi che puoi prendere in prestito da un romanzo e usarli a tuo piacimento. Ma non sempre funziona.
A nessuno fregherà nulla, però tu hai messo in testa a Riviera alcune riflessioni di Ettore Bergamini, from 54, dove si fa esplicito riferimento ad alcuni partigiani piuttosto noti dalle nostre parti. Aeroplano, ad esempio, quello che caricava i tedeschi su un cavallo bianco. Era davvero uno degli uomini di Mario Musolesi detto Lupo. Che c'entra con un "bianco" come Riviera? Se Aeroplano fosse vivo penso s'incazzerebbe, e con lui Fonso e lo stesso Lupo. Gente tosta, quando perde la pazienza. E' un'ottima cosa sentirsi leggeri rispetto a certi dettagli, sapere anche lasciarsi andare. Ma più si vola e più bisogna stare accuort'.
un abbraccio,
Giovanni (WM2)