martedì 31 luglio 2007
Mille
Ore 17.15
Mille accessi. In sole tre settimane di vita del blog.
Grazie a tutti, davvero.
A momenti mi commuovo....
(e ora niente commenti spaccamaroni su ShinyStat che registra anche gli accessi doppi e sui cookies che scadono... )
Quasi mille...
E siamo a 996 accessi.
Occhio che se entrano altre quattro persone arriviamo a mille accessi...
Armaioli e piduisti su Diapason
Su Diapason, ottimo blog che si occupa talvolta di argomenti simili a quelli che interessano al sottoscritto (leggi: il marcio del nostro BelPaese), c'è un gran bel pezzo sull'Arma. Interessante è soprattutto il modo in cui il pezzo termina (è lungo, ma fate uno sforzo, please).
L'articolo è qui.
Il libro da cui è tratto, invece, lo trovate qui.
E mi sa che diventerà una delle mie prossime letture.
Questo vecchio pazzo mondo...
Non è il titolo di una commedia Anni Cinquanta con Dean Martin, e nemmeno una citazione da musical di Broadway. E' un blog che fa parecchio ridere.
Avete presente quelle notizie tipo ESPLODE IL MAIALE, FERITO IL CONTADINO? Ci avevano fatto pure un libro, qualche tempo fa.
Quel tipo di notizie tutte matte di cui la cronaca locale straborda.
Beh, se date un'occhiata qui ne troverete a caterve.
Unica controindicazione: il blog dà dipendenza. Dopo la prima notizia si finisce per fare come con le ciliegie (o i video su MTV): ancora una e poi basta, ancora una e poi basta, ancora...
Oltretutto il sito sarà anche scemo, ma è gestito da un giornalista serio e preparato, Stefano Boda.
More than this...
lunedì 30 luglio 2007
Contenuti speciali: arriva il trailer a fumetti
Il trailer su Youtube l'avete visto tutti. E quello a fumetti?
Come sempre opera dello strepitoso Daniele Rudoni, è uno dei primi esperimenti di comunicazione ibrida in Confine. Come si noterà, nè io nè Daniele, all'epoca (due anni e qualcosa fa) avevamo le idee chiare sull'impostazione della pagina. Il piede stava ancora in due scarpe: non più fumetto, ma non ancora cinema.
Ad ogni modo, prova più che dignitosa con una splash degna del Romita dei tempi d'oro.
Il tutto qui e nell'apposita sezione CONTENUTI SPECIALI.
Que disfruten...
domenica 29 luglio 2007
Giorgio Boatti parla di Confine di Stato sul Manifesto
Chi si loda s'imbroda, l'ho già detto.
Ma cercate di capire...
E' successo ieri e a momenti me lo perdo. Colpa di una caldissima trasferta milanese da amici che non vedevo da una vita, condita da deliziosa sosta all'IKEA (in famiglia siamo in due. Tre col gatto. Che di solito non ha voce in capitolo sulle gitarelle del week end. IKEA al sabato pomeriggio: indovinate di chi è l'idea...:-)).
E alla fine, tra lampade KVART in tinta verde e prosciutti e meloni dalle parti di Viale Argonne, il giornale non l'ho comprato. Solo che su quel giornale, a pag.13, un signore parlava di Confine di Stato.
Che signori importanti parlino del mio libro è un piacere immenso, che ve lo dico a fare? (meno male che chi si loda...) Ma che ne abbia parlato questo signore è un onore.
Il signore in questione di nome fa Giorgio e di cognome Boatti. E senza troppo dilungarmi sulla sua strabiliante storia professionale (google l'hanno fatto apposta: inserite la chiave di ricerca. Rimarrete sbalorditi.) dico solo che è l'autore del libro più completo, puntuale, lucido ed esaustivo sui fatti di piazza Fontana. Il libro s'intitola Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta e lo trovate qui.
Senza questo libro, non esisterebbe Confine di Stato. Senza questo libro non avrei mai capito cos'è stato GLADIO, chi fosse Giangiacomo Feltrinelli o che forze ci fossero in gioco a cavallo tra i Sessanta e i Settanta.
Il libro è stato a lungo maltrattato. Ha subito un lungo ostracismo ai tempi del processo sui fatti del 12 dicembre. E' uscito in una nuova edizione ampliata e attualmente ve lo potete aggiudicare a un prezzo a dir poco politico (data la grande campagna promozionale Einaudi di questi giorni).
Se vi è piaciuto Confine, datemi retta, compratelo.
E pure se Confine non vi è piaciuto. Se l'avete trovato troppo sopra le righe.
Compratelo e divoratelo (è un librone, ma scorre come un romanzo).
Quando l'avrete chiuso non avrete più la stessa idea del nostro (bel) Paese.
Parola.
Comunque l'articolo del Manifesto è qui.
E qui ce n'è un altro di Annarita Briganti per Napoli On The Road (così non faccio un altro post apposta - mi si perdoni l'imbroglio linguistico - per lodarmi e imbrodarmi, ok?)
Booktrailers su Panorama.it
Su Panorama.it Simona Santoni parla di booktrailers. Correlata al pezzo c'è pure una bella intervista a Jacopo De Michelis, editor in chief della narrativa Marsilio e vero pioniere in materia di marketing alternativo. Dei due articoli si parla anche nel sito del Gruppo di Lettura di GiuliaDuePuntoZero.
Trovate tutto qui.
Buona lettura.
sabato 28 luglio 2007
Vedi alle volte la Rete...
Allora, questa cosa è davvero particolare e va menzionata.
C'è una ragazza che si chiama Giulia e ha un sacco di amici. Insieme a questi amici ha creato un blog, che però non è solo un blog, ma qualcosa di più. E' uno spazio in cui raccontarsi i libri appena letti, recensirli, scambiarsi consigli.
Un gruppo di lettura, insomma.
La ragazza, per meglio catalogare quello che legge, usa Anobii, la libreria online.
In Anobii inserisce un romanzo che le ha appena portato a casa il suo ragazzo. Non esattamente un romanzo per signorine, ma Giulia dà una sbirciatina lo stesso.
E il romanzo alla fine le piace e alla fine se lo beve in due giorni.
Allora clicca su Anobii e si accorge che altri hanno lo stesso romanzo. Non molti, per carità, una decina. Tra questi dieci c'è pure il tipo che il romanzo l'ha scritto.
Giulia ha scritto una recensione del libro sul blog del gruppo di lettura, e il tipo, sempre tramite anobii, arriva al blog di Giulia e dei suoi amici e la ringrazia per la recensione.
Giulia allora fa un passo oltre: va sul blog del tipo (anche il tipo ha un blog), recupera la mail e gli chiede se gli può fare una specie di intervista per il gruppo di lettura.
Il tipo, ovviamente, dice sì.
E qui trovate il risultato di quello che Giulia e il tipo si sono detti.
Ecco quello che può succedere a stare un tot di ore davanti al monitor.
Può capitare di farsi degli amici.
Poi dicono che è un passatempo da autistici...:-)
Kai Zen: la strategia dell'Ariete
Mi ero ripromesso di non parlare di questo libro prima di averlo finito. Ma orami dovrei saperlo che le promesse che mi faccio (tipo quella di dimagrire dieci chili. ) son promesse da marinaio.
E dunque vi beccate quello che so (ancora poco, sono a p.100) sul libro, ma soprattutto il turbine di emozioni che mi ha investito quando ho iniziato a leggerlo.
Le recensione vera e propria arriverà quando l'avrò finito. E mi sa che di post su questo romanzo ne vedrete parecchi nell'immediato futuro.
Ma partiamo dal principio: chi sono gli autori?
L'ensamble narrativo Kai Zen è formato da quattro baldi giovani che rispondono ai nomi di Jadel Andreetto, Bruno Fiorini, Guglielmo Pispisa e Aldo Soliani. Vivono spasi tra Milano, Bologna, Bolzano e Messina e scrivono insieme frequentandosi (forzosamente, date le distanze) solo in rete.
Di più non vorrei dirvi: trovate ogni cosa su di loro qui.
Qualche cosa, invece, voglio dirla sulla loro opera prima. Si intitola La strategia dell'Ariete ed è uscito per Mondadori alla fine di marzo. E' il primo libro di Mondadori in licenza Creative Commons ed è anche il romanzo d'esordio del collettivo.
Come ho raccontato a Guglielmo Pispisa proprio ieri (al quale ho dovuto scrivere arrivato a pagina 64. Colto da un travolgente bisogno di fargli i complimenti), io compro durante l'anno all'incirca una trentina di romanzi. Alcuni appena escono (vedi l'Ariete), altri se e come capita quando mi sposto su e giù per lo stivale (compro molto negli autogrill, ultimamente).
Alcuni libri vengono divorati subito (vedi l'ultimo De Cataldo), altri aspettano in fila il momento giusto per essere letti.
Da vero italiano medio, leggo più'estate che d'inverno, e ogni estate mi capita di scoprire IL libro.
Quel libro che dopo cento pagine sai già che ti mancherà una volta che l'avrai chiuso. Quel libro che regalerai e consiglierai a parenti e amici. Quel libro che prima o poi rileggerai. Quel libro che ti rimarrà dentro. Negli anni passati questa sensazione l'ho provata per Q di Luther Blisset, per 54 di Wu Ming, per Noi saremo tutto di Evangelisti e per Non toccare la pelle del drago di Genna. Quest'anno mi è successo con il libro dei KAI ZEN.
La Strategia dell'Ariete è un'avventura corale, una racconto epico attraverso l'intera storia dell'umanità.
Un giovane tagliagole della Triade e un ricco nobile nazista si trovano ingarbugliati, a vent'anni di distanza, nella ricerca del misterioso Respiro di Seth, l'arma definitiva, custodita da millenni dalla temibile setta dell'Ariete.
Di più, nin zo. Per ora (sto a pagina 100, lo ribadisco) le cose stanno così. Ma indiscrezioni mi dicono che nuovi personaggi entreranno nel gioco e che la prospettiva temporale si dilaterà.
Tanto per farvi un esempio sulla commistione tra Storia e storie (tema a me carissimo): a un dato momento il cinesino della Shangai del 1920 ha a che fare con Mao-Tse-Tung in persona. Fichissimo...
Ma non è questo il punto.
Non c'entra quanto in là io mi sia spinto con la storia. C'entra l'aria che questi quattro ragazzi fanno respirare. C'entra il modo in cui riescono a tirarti dentro, a farti sentire parte del complotto cosmico.
Tempo fa scrissi un articolo sul Pendolo di Foucalt di Eco (il libro della mia vita, ci ho scritto persino la tesi di laurea) in cui sostenevo che esistano due tipi di lettori di questo romanzo. Quelli che si fanno rapire dai meccanismi di costruzione del Piano (e alla fine ne sono in qualche modo schiavi, e finiscono per credere che sia reale. O almeno palusibile) e quelli che si addormentano a pagina novanta e non riescono ad andare oltre.
Beh, signori, se fate parte della prima categoria, l'Ariete è il libro che fa per voi.
E vi dirò di più: quello che i ragazzi sono riusciti a fare è un passo oltre quello che fa Eco. Eco si limita a scherzare con le forze storiche in gioco nel Piano, gli Zen rendono il Grande Disegno reale, fluido, plausibile, eccitante come un film d'azione e maestoso come Ben Hur.
Non so se mi spiego.
E' decisamente uno dei libri che avrei voluto scrivere.
Ma, come ho confessato a Guglielmo, probabilmente non ne avrei avuto le forze. Nè la lucidità.
Per ovviare a questa insana invidia dell'opera (complesso molto diffuso tra noi scrittori in erba), su invito degli Zen medesimi, mi cimenterò, nelle settimane a venire, nella stesura di uno spin-off del romanzo. Un racconto tangenziale al grande disegno, un Sentiero di Seth.
Quello sui Sentieri di Seth è un progetto (in puro stile Kai Zen) che nasce sul sito del libro ed è volto a coinvolgere scrittori professionisti e non all'ampliamento dell'universo narrativo dell'Ariete. Si tratta di raccontare ciò che il libro, per limiti di spazio, non può narrare: gli effetti devastanti del Respiro di Seth lungo la storia dell'umanità.
Per saperne di più, fatevi un giro da queste parti.
Gentili lettori, questo è quanto, almeno per il momento.
Vi terrò costantemente aggiornati, potete giurarci.
E adesso, per cortesia, alzate il sedere dalla sedia e filate in libreria ad aggiudicarvi la vostra copia dell'Ariete.
venerdì 27 luglio 2007
Silvia Del Vecchio scrive di "Confine" sul numero di luglio di InAltriTermini
Ma se non faccio almeno un post su questo pezzo, l'autrice si arrabbia.
Per cui...
Ecco il link.
Il tutto conglobato nella sezione RECENSIONI di CONFINE DI STATO.
La legge dei fessi, uno spin-off di Confine di Stato
Questo racconto non è nuovo. Come la maggiorparte dei contenuti speciali che sto mettendo online.
E magari l'avete già letto sulle pagine di Thriller Magazine, al quale l'avevamo dato in anteprima.
Ad ogni modo questa versione di sicuro non l'avete mai vista.
Questa è la original version del racconto, in cui viene citato anche il nome dell'Isola in cui si svolge questa storia. L'Isola è la stupenda Isola del Giglio.
E i fatti hanno a che vedere con ciò che vi successe nell'agosto del 1976, quando lo Stato italiano decise di mandare in esilio sull'Isola due tra i principali indiziati per i fatti di Piazza Fontana: Franco Freda e Giovanni Ventura.
In Confine questi due signori si chiamano Gelo e Leone. Così nel racconto.
La storia mi fa raccontata nel luglio del 2005 da uno dei testimoni oculari: il dr. Armando Schiaffino, medico condotto dell'isola, che all'epoca dei fatti era solo un promettente studente di medicina. Armando prese parte ai moti di quei giorni.
E ritagliò ogni articolo che parlasse di quello che stava succedendo.
Armando è la vera memoria storica di quel periodo, e colgo l'occasione per dirgli grazie. Grazie per avermi regalato quella storia che tutta Italia, nel '76, visse giorno per giorno col cuore in gola. E che (quasi) tutti, ormai, hanno scordato.
Ultima nota di costume, piuttosto divertente.
Verso la fine del racconto appare un paragrafo intitolato Stella o Giaguaro.
L'idea (che avranno colto in venticinque. Ecco il perchè di questa nota esplicativa) è di fare il verso a un libro dell'editrice Luni di quasi dieci anni fa (1999) intitolato Stella e giaguaro.
Il libro, scritto da Federico Italiano e Stefano Pellò, grazie alla magia nera dei remainders, è ancora in circolazione, e su ibs lo trovate anche ad un prezzo interessante (provare per credere).
Ma questo non è il punto.
E il punto non è nemmeno il contenuto del libro (una raccolta di liriche sudamericane scelte e tradotte dai due baldi giovani in questione).
Il punto è che Federico Italiano, per le ragazzine novaresi di dieci anni fa (ma fai pure quindici. tant'è che le ragazzine di allora, adesso hanno sì e no trent'anni...) tirava più di Johnny Depp (e gli assomigliava pure parecchio).
E le suddette ragazzine si presentavano a frotte fuori dalla sua scuola per rimirarlo.
Figuratevi quando uscì il suo libro che disastro di vendite che fece (a Novara, nel resto del mondo non credo sia andato fortissimo...).
Siccome tra le adoranti di un tempo c'era pure la mia dolce metà, il libro è finito nella nostra libreria.
Potete immaginare quanto la mia sensibilità di rozzo tarantiniano sia vicino alle delicate liriche sudamericane. Da anni io e mia moglie ci ridiamo su: io che la sfotto dicendo che se l'avesse scritto Ingnacio Vattelappesca, col cavolo che l'avrebbe comprato. Lei che ancora sostiene che il Johnny Depp della Bassa non c'entra nulla, e che il libro lo acquistò per la sua affinità rivoluzionaria allo straziato popolo del Latinoamerica.
Ridi oggi, ridi domani, lo sfottò l'ho (cripticamente) immortalato nero su bianco.
Fine dell'inciso.
Il racconto lo trovate qui e, ça va sans dire, nella sezione CONTENUTI SPECIALI.
Enjoy...
P.S. Hai visto mai che con questo post le vendite di Stella e giaguaro subiscano un'improvvisa impennata fuori tempo massimo...
giovedì 26 luglio 2007
"Oltre il confine" su Castlerock.it
Eccolo qui.
Buona lettura...
J.A.S.T.: un aggiornamento flash
Ho appena scoperto che nella storia c'entra anche Ustica.
Ma non ditelo a nessuno perchè è un segreto (di Stato?)...
I titoli di testa: in arrivo il secondo contenuto speciale
Quella dei titoli di testa è stata una delle idee più divertenti che mi sia saltata in testa negli ultimi dieci anni. Nessun libro apre così. Di solito lo fanno i film.
Ma siccome Confine di Stato col cinema ci è sempre andato a braccetto, eccovi delle sequenze visuali per inaugurare le danze.
I titoli, nel volume Marsilio, sono collocati dopo il prologo (Reperti) e la sequenza inziale della bomba in Piazza Fontana.
Come al cinema: dopo una grande scena d'azione.
La prima versione di questi titoli (apparsa nell'edizione Effequ) non era così bella.
L'avevo raffazzonata disegnando qualcosa e usando molto il filtro stamp di Photoshop.
Questa versione è opera del Maestro Daniele Rudoni. E si vede.
Data la dimensione dei file (jpg a 300 dpi, dimensioni native, ossia 14x21), li ho raggruppati in un pratico zip. Non scaricate il malloppo prima di avere il decompressore adatto, mi raccomando.
Il tutto, oltre che nella nuova sezione CONTENUTI SPECIALI (proprio sotto le recensioni di Confine), lo trovate qui.
mercoledì 25 luglio 2007
Mi ha scritto anche Lucarelli
Non che sia diventata una moda, adesso, per carità.
Che mo' tutti i miei maestri si prendono la briga di scrivermi una mail su Confine (per quanto, se fate caso ai contributi collezionati, ne troverete già tre. Mancherebbero giusto Genna ed Evangelisti... Se qualcuno è in ascolto: chi ha orecchie per intendere...).
Eppure è successo di nuovo. Anche il sommo Lucarelli si è preso la briga di dedicarmi un minuto del suo tempo. E per inciso, il libro non l'ha ancora letto.
Ma godetevi la prosa originale mentre io gongolo...
Ciao Simone,
ti ringrazio della mail e ti ringrazio per il libro, che adesso leggo subito, molto incuriosito. Sono contento che le ricerche e le esposizioni di Blu Notte contribuiscano a fare una cosa che fino ad ora non abbiamo ancora fatto, noi scrittori: creare un immaginario che prenda spunto dalla nostra storia recente e ne metta in mostra i meccanismi. A tal proposito colgo l’occasione per rinvitarti ad una rassegna che facciamo dalle mie parti, a Casalecchio di Reno, in ottobre, che si chiama Politicamente Scorretto e che parla, appunto del rapporto tra il noir e i nostri argomenti. Se ti va di essere con noi ti faccio contattare, poi vedi tu. Intanto leggo e poi mi faccio sentire,
un saluto
Ok, smetto di gongolare. Ma solo per ricordarvi che la rassegna di cui parla Carlo è questa.
Credo che ci andrò molto ma molto volentieri.
Ovviamente vi terrò aggiornati.
Confine di Stato: i contenuti speciali
La differenza tra le due pubblicazioni è di un centianaio di pagine all'incirca. Parecchie se contate che nel volume Effequ il testo del romanzo vero e proprio terminava a p.313 (delle 384 totali). Le restanti pagine erano occupate dalla sezione CONTENUTI SPECIALI.
Siccome il romanzo era graficamente e strutturalmente impostato come un dvd, pareva logico terminare con una sezione di extra. Al suo interno c'era tutta una serie di vere chicche: il trailer a fumetti, uno spin-off (un racconto cresciuto sulla corteccia del romanzo in fase di stesura) e un "dietro le quinte".
Proprio per poter pubblicare queste parti (senza trasformare un'opera prima in un polpettone di cinquecento pagine) si decise, allora, di sacrificare un po' il testo del romanzo.
Di quella scelta mi sono un po' pentito negli anni, tant'è che non ho voluto commettere lo stesso errore con Marsilio.
I contenuti speciali sono stati esclusi dal volume e hanno avuto vita propria in rete.
In questa nuova sezione del blog (didascalicamente intitolata CONTENUTI SPECIALI. Da queste parti abbiamo fantasia da vendere, manco pe' gnente faccio lo scrittore...) li raggrupperò un po' per volta, rendendoli disponibili per il download.
Si parte con l'unico testo che non è ancora circolato sul web. Un quasi inedito.
E' Oltre il confine - Dietro le quinte di CONFINE DI STATO. In questa lunga autointervista svelo a uno dei miei personaggi parecchie cose sul romanzo. Di alcune di esse, particolarmente legate alla poetica dell'opera (la funzione didattica di un certo tipo di letteratura nera o il ruolo del cattivo bidimensionale) ho già tangenzialmente discusso in alcune interviste e nel pezzo su Pete B. di qualche giorno fa.
Ad ogni modo c'è molto altro. E credo che, se riuscirete a perdonare il tono (volutamente un po' troppo) sopra le righe, troverete un'analisi puntuale, obiettiva e sufficientemente lucida del mio lavoro.
Oltre il Confine doveva uscire su Castlerock.it, ma sono intercorsi alcuni guai tecnici che ne hanno ritardato la messa online. Quando figurerà anche là, non temete, ne darò tempestivo avviso.
Per ora lo trovate qui.
Buona lettura.
martedì 24 luglio 2007
Signore e signori, la rassegna stampa...
Sono conscio che possa fregare a pochi (probabilmente a pochissimi...).
Ad ogni modo è stato un lavoraccio (se ci aggiungete l'impietosa calura novarese) e merita almeno un post.
Dopo aver scannerizzato, composto, traformato in pdf e hostato su uno spazio gratuito (Libero), potete finalmente leggervi tutto (e quando dico tutto...) quello che è stato scritto sul vostro autore over 100 e under 30 preferito.
Come potete notare, ho dovuto tagliuzzare la rassegna in sei piccoli file, dal momento che il servizio hosting di Libero non mi permette di uploadare più di 3 mega alla volta (ma dimmi tu...).
Ogni qualvolta uscirà qualcosa di nuovo, pubblicherò il fascicoletto aggiornato.
E ora, fatevi sotto.
Proprio alla vostra destra (sopra le bistrattate interviste che languivano in fondo al blog e che nessuno cliccava più da tempo)...
lunedì 23 luglio 2007
Due recensioni (vecchiotte) per Turkemar
Sto riordinando la rassegna stampa (tra poco la renderò scaricabile dal sito, per i veri feticisti, o semplicemente per i giornalisti...) ed ecco che saltano fuori un paio di recensioni di Turkemar, il mio romanzetto su Buscaglione.
Ve le ripropongo, anche se un po' datate.
Qui quella della Stampa.
E qui quella della Sesia.
Buona lettura!
Mi ha scritto De Cataldo...
Avete presente quella scena in Scuola di ladri in cui Paolo Villaggio si rivolge all'uomo di colore, che per tutto il film è stato chiamato "Nero", chiedendogli: "Ma Nero è proprio il tuo nome?"
E l'aitante moro risponde: "No. Quello è il cognome. Di nome mi chiamo Franco."
E mentre se ne va, con la migliore delle voci fantozziane, Villaggio esclama: "Franco Nero... Il mio idolo!".
Avete presente?
Beh, oggi è successa una cosa del genere. Uno dei miei idoli, uno dei miei maestri assoluti nel mestiere che faccio, si è preso la briga di farmi un salutino via email.
Giancarlo De Cataldo, l'autore di Romanzo criminale, la crime story italiana migliore del decennio, mi ha scritto un paio di righe su Confine di Stato.
E c'è di più... Ma godetevelo in originale:
(...)
Non aggiungo altro.
E credo che non smetterò di sorridere per tutto il giorno (altro che l'articolo su Repubblica...)
domenica 22 luglio 2007
Scheletri.com su Confine di Stato
Oggi dev'essere proprio giorno di recensioni. E benevolenti assai.
Per cui la citazione è d'obbligo.
Simone Corà, di Scheletri.com, entra nelle viscere di Confine e scava a fondo.
Un grazie sincero per le belle parole e un consiglio per tutti: fatevi un giro su Scheletri.
Se amate horror, splatter e compagnia briscola, c'è davvero da leccarsi i baffi (io ci ho trascorso mezz'ora e appena finisco questo post mi ci rituffo...)
Altra recensione per Confine: dal blog Uno e Nessuno
Due brevi notazioni.
1) Mi sembra una delle più complete in circolazione. Analizza il mio lavoro veramente a fondo.
Attenzione, però, se non avete ancora letto il libro: potrebbe svelarvi un bel po' di sorprese.
2) Sono venuto a conoscenza del pezzo grazie all'amico Massimiliano Di Giorgio e al suo bighellonare su Kilombo. Fatevi un giro da quelle parti, potreste scorpire un sacco di cosucce interessanti. E... grazie Massimilià!
Confine di Stato su Repubblica
Il 21 giugno Dario Olivero aveva parlato di Confine di Stato su Repubblica.it.
E già avevo fatto i salti di gioia.
Ma ieri, su Repubblica (sì, quel giornalino che tira un milione di copie), è uscita una entusiastica recensione a firma Irene Bignardi.
La trovate qui e nell'apposita sezione (colonna di destra, sotto la copertina di Confine).
Perdonate l'eccesso di vanità, ma un post era d'obbligo (considerando che non riesco a smettere di sorridere da ieri pomeriggio...)
venerdì 20 luglio 2007
Ellroy al Confine: Pete Bondurant nel mio romanzo e il rapporto storia-fiction
In questi ultimi giorni ho rilasciato parecchie interviste. Tra le domande ricorrenti, il primo posto lo merita quella sul rapporto realtà-finzione in Confine di Stato: “Quanto c’è di vero in quello che scrivi?”
Rispondere a questa domanda vuol dire tirare in ballo la poetica del romanzo. E la funzione didattica che ho tentato di imprimergli.
Ho discusso a lungo della cosa nel famoso Dietro le Quinte che il sito Catlerock pubblicherà a giorni.
E non voglio anticipare nulla.
Per cui vedrò di affrontare l’argomento partendo da un altro punto di vista: la presenza di Pete Bondurant nel libro e la visione ellroyana del rapporto realtà-finzione.
Pete B., per chi non lo conoscesse, è uno dei protagonisti degli ultimi due romanzi di James Ellroy (American Tabloid e Sei pezzi da mille). Pete è stato un truffatore, un uomo d’azione, un addestratore di esuli anticastristi, un narcotrafficante e un grandissimo fan di JFK.
Pete è un sopravvissuto. Vuoi perché il buon James tende a sterminare i propri personaggi (da un libro all’altro, sono pochi quelli che sopravvivono. Pete è uno di questi. Ed è vivo per miracolo…).
Vuoi perché la sua visione della Storia è l’unica a reggere fino in fondo.
Pete ha parecchi punti di contatto col mio Sterling. Come mi ha giustamente fatto notare Wu Ming 2, Sterling è una presenza ossessiva nel romanzo. Si occupa in prima persona pressoché di tutto. Piazza le bombe, fa fuori i buoni, stupra, ricatta, stringe mani e fa carriera.
Questa eccessiva sovraesposizione rende il personaggio (volutamente, sia chiaro) bidimensionale.
Un cattivo da film, per l’appunto. Un cattivo troppo cattivo per essere reale.
Pete svolge una funzione simile nei romanzi di Ellroy. Pete tiene duro e sopravvive (infrangendo le regole della prosa ellroyana, che permettono a un personaggio di “abitare” due romanzi solo a patto che nel primo dei due sia solo una presenza fuggevole…) perché è irreale. Perché è troppo presente. Perché è, come Sterling, troppo coinvolto dalla sindrome del faso tuto mì (per dirla col linguaggio del Nord-Est).
Beninteso, io trovo straordinario questo eccesso di protagonismo (tant’è che lo ripropongo pari pari). Specialmente perché diventa la cifra della finzione in un racconto a sfondo reale.
Cataldo Bevilacqua, di Facoltà di Frequenza, mi ha fatto notare come molta gente, dopo i libri di Ellroy, è fermamente convinta che l’affair Kennedy sia andato proprio come dice il vecchio James.
Questo è uno dei rischi di questo mestiere: essere presi troppo sul serio.
Le cose non sono andate come racconta American Tabloid. O almeno non ci sono sufficienti fonti documentarie ad avvalorare tale ipotesi. Ma non importa, perché American Tabloid non è un libro di storia.
È semplicemente (dici poco…) uno dei migliori romanzi del XX secolo.
E personaggi come Pete, nella loro bidimensionalità, nella loro sovraesposizione, sono là a ricordarlo.
Questo discorso è ribaltabile su Confine. Ed ecco perché il cameo di Pete.
Secondo Wu Ming 2 è stato un passo più lungo della gamba. E la verosimiglianza dell’opera ne ha risentito.
Forse è vero e forse no.
Ad ogni modo, nella costruzione di un romanzo come Confine, la verosimiglianza è un problema tangenziale. Secondario.
Nella fattispecie: è verosimile che l’Editore (parlo di quello reale) fosse rintanato a Cuba. È verosimile che i nostri uomini in nero avessero contatti con addestratori di anticastristi cubani attivi Miami (Pete). Per nulla verosimile è l’incursione.
Ma non lo era nemmeno in Ellroy.
Questo ci riporta esattamente dove sarebbe opportuno stare: in una dimensione narrativa a cavallo tra storia e fiction. Dove quasi nulla è vero (anche se sembra verosimile) perché storiograficamente poco dimostrabile.
Ma, se mi posso permettere, anche questo è un falso problema. Perché né io né Ellroy intendevamo scrivere un manuale di storia.
Carlo De Blasio a Tempi Dispari mi ha chiesto se scrivere fiction di un certo tipo possa aiutare la magistratura a sbrogliare le matasse dei Misteri Italiani. Io gli ho risposto di no.
Almeno quando si tratta di fiction come la mia. O quella di Ellroy.
I processi sul caso Montesi, sulla morte di Enrico Mattei e sulla strage di Piazza Fontana sono conclusi. E per questi fatti nessuno è colpevole.
La stessa cosa vale per la faccenda JFK.
Nel mio romanzo (così come in quelli di Ellroy) i colpevoli ci sono, eccome. E hanno nomi e cognomi.
Ma nulla di ciò che fanno è dimostrabile storicamente.
Dunque: è sterile fare questo genere di fiction? Per nulla. Anzi.
Il tipo di narrativa che faccio (ecco la famosa funzione didattica) ha come sogno recondito quello di spingere il lettore a saperne di più. A documentarsi, a studiare. Magari proprio per venire a confutare la storia che racconto in Confine.
Io ho reagito così ai libri di Ellroy (ma anche a quelli di Evangelisti, di Genna, di De cataldo o dei Wu Ming): ho studiato. Mi sono documentato. E ho finito per fare il stesso mestiere.
Credo che serva a questo la fiction che scriviamo.
A creare miti. A non far dimenticare storie. A ricordare.
Anche se a volte i ricordi trasfigurano il reale. E finiscono per non assomigliargli più.
giovedì 19 luglio 2007
Recensione + intervista su Castlerock
Quant'è bella la tivvù...
La trasmissione qualcuno l’ha vista è qualcuno no. Ad ogni modo è stato parecchio interessante, specie quando De Blasio mi ha chiesto: “Perché non ne fa un film di questo CONFINE DI STATO?”, e io ho moderatamente risposto: “Perché non ho una lira in saccoccia?”.
Risate e auguri sul film che sicuramente verrà.
Speremm…
In ogni caso, se mai succedesse, voi siete testimoni, De Blasio vede il futuro.
Trasmissione a parte, però, mi piacerebbe raccontarvi un paio di cosette su Milano e sulla tivvù vista dal vostro pratico campagnolo.
Spronato dal sapiente editor con un post su questo medesimo blog, la famiglia Sarasso parte stipata nelle ruggente Smart Biposto verso le sette meno un quarto (notare che il collegamento era alle dieci…).
In statale, perché in autostrada i camion se la fumano la mia Smartina 600.
La navigatrice ufficiale (santa donna che mi sopporta e mi segue per mezza Italia a bofonchiare del mio libello. D’altronde m’ha sposato, che ci può fare, ormai?) è dotata di mappe ViaMichelin dettagliatissime, che in men che non si dica ci traghetta attraverso Trecate, Magenta, Vighignolo, Settimo e finalmente Milan (che l’è sempre un gran Milan…).
A quel punto imbocchiamo Via Novara, e un nugolo di stradine e stradette dai nomi impronunciabili (Harar, Dessié, Axum, ecc.). Tutto perfetto, dritti come un coltello, finchè…
Finché da vero maschio italiano alla guida decido che “Mi ricordo, da qui la so! Giriamo a sinistra!”
PERSI.
Tre quarti d’ora per ritrovare il dannato Corso Sempione.
Di nuovo sulla retta via, la gentile consorte mi ordina di parcheggiare (per evitare di trovarci in meno di mezz’ora a Bergamo).
Scendiamo e cominciamo a fare due passi. “Tanto, cosa vuoi che sia? Corso Sempione quanto sarà lungo?”
Beh, corso Sempione è lungo, ve l’assicuro.
Dal numero 96 al numero 27 a piedi. Risultato: vesciche che te le raccomando (merito anche delle scarpe nuove, messe per l’occasione. Ma sarò furbo?).
Di riffa o di raffa, sono le nove e noi si bussa alla guardiola della RAI.
Mi qualifico e l’usciere, se potesse, mi darebbe una pacca sulla spalla mentre mi dice: “Se vuole, io la faccio entrare, ma il collegamento è alle dieci, non ci sono né bar né intrattenimenti. Solo un salottino caldo con una TV….”
Hai capito la RAI?
Andiamo a prendere un bel caffè, va. Altri duecento metri (andare e duecento tornare) e praticamente zoppico nelle mie scarpette nuove nuove da ventiquattro eurucci in saldo.
Nove e trentacinque: finalmente è ora.
Tensione.
L’usciere mi dice che è facile, che non mi devo preoccupare. Mi fa pure un pass (guardate un po’ che sciccheria…) e via, al secondo piano.
Quando arrivo nello studio, mi accorgo di essermela immaginata diversa, la TV.
I corridoi sono di linoleum, proprio come li avevo descritti in Confine di Stato (notare che là parlavo del ’62), lo studio è quello del TG3 e la scrivania e il maxischermo (finto) sono in un angolo. Io mi siederò al centro della stanza, su una bella sedia girevole con dietro una fetta di greenscreen.
La trasmissione si vede nel monitor della camera che mi inquadra a un metro e mezzo dalla faccia (questo non lo sapevo, giuro. Ero terrorizzato dall’idea di dover parlare a una telecamera con un occhio rosso e ascoltare Carlo De Blasio in auricolare…).
In diffusione la trasmissione.
Tanto simpatica la gente che mi accoglie. Quel burlone di Guido che mi dà dell’acqua e mi fa contare al contrario (mannaggia a te…), un signore tatuato gentilissimo che mi infila il microfono sotto la camicia e un altro signore coi capelli ricci che mi fa dei segni e smanetta col suono.
Per il collegamento ci vuole un po’, e così faccio in tempo a rilassarmi.
Alla fine va tutto benone, De Blasio è gentilissimo e parla della dimensione visuale del romanzo.
In venti minuti siamo fuori onda.
Giusto il tempo di stringere qualche mano, salutare, gustare un gelatino alla frutta (meritatissimo) e tornare al nostro paesello con la consapevolezza di essere il primo della mia stirpe ad essere finito dentro la famigerata scatola d’intrattenimento.
mercoledì 18 luglio 2007
Doppio appuntamento col Sarassone tra radio e tv
Eh già perchè tra un paio d'ore, ossia verso le 15.30 sarò in diretta su Facoltà di Frequenza, storica radio univeristaria dell'ateneo senese. La trasmissione si chiama Demoni e mi intervisterà il sapiente Cataldo Bevilacqua (vera e propria autorità riguardo la semiotica del noir ed esperto conoscitore di Ellroy). Potete ascoltare la diretta dal sito della radio, in streaming qui. Basta avere un player tipo Windows Media Player o Winamp e cliccare su SENTI.
Alle 21.00, invece, volerò in quel di Milano (volerò si fa per dire: io e la mia mogliettina ci metteremo in viaggio sulla nostra pratica Smart Biposto alle sette e rimarremo imbottigliati in tangenziale alle sette e mezza...) a partecipare alla trasmissione Tempi Dispari, condotta da Carlo De Blasio su Rainews24. Lo so, si vede solo col decoder del digitale terrestre, ma che vo ffa?
Sulla stessa sedia dove poggerò il mio onorevole deretano, nei giorni scorsi si sono seduti personaggini come Luttazzi o il prcuratore Grasso. Tanto per dire...
Il che mi lusinga non poco.
I dettagli (e, a tempo debito, lo streaming della trasmisssione), qui.
Se siete liberi, buttate un occhio, ok?
Ah, un ultima cosa: non voglio commenti sulla mia forma fisica, perchè si sa che è la tele che ingrassa, non la teglia di lasagne che ho appena finito di scofanarmi, ok?
Una nuova (vecchia) recensione per Confine di Stato
L'articolo, particolarmente benevolo col sottoscritto, è in giro da un po'. La versione attuale è riveduta e corretta, ma l'originale venne pubblicato addirittura dalla Reuters.
Gran bel pezzo, vale la pena di buttarci un occhio.
Lo trovate qui. Oltre che nella colonna delle recensioni.
martedì 17 luglio 2007
Caprese con bufala
Fede non è venuto. Ma ha chiamato Cecchi Paone.
Questo il succo della cosa. Ma andiamo con ordine…
Sabato mattina sveglia a un’orario indecente (le quattro meno un quarto) dopo una notte insonne (l’ansia della partenza, che vo ffa?). Doppio caffè e via in autostrada fino a Milano e poi in tangenziale fino al deliziosamente economico Linate Parking.
Arrivo in aeroporto, freschi come delle rose, alle 5.30.
Stupiti della levataccia di massa dalle proporzioni titaniche (aeroporto gremito. Manco a Fiumicino ad aspettare l’italia di ritorno da Berlino…)
In qualche modo riusciamo a checkinare la enorme valigia verde che ci accompagna da un po’ in giro per il mondo. Imploro mezza sigaretta prima della partenza, chiedendo a mia moglie perché la valigia che ci servirà per tre giorni a Capri pesa di più di quella che c’è servita un mese in Indonesia.
La mia dolce metà sorride e sbatte gli occhioni: “Perché Capri è Capri…”.
Aaaahhh, allora…
Sono fuori a fumare e a momenti mi gioco il passaggio per Napoli: “Last call for Mr. And Mrs. Sarasso…”
Arrivo, arrivo…
Sull’aereo muoio di freddo e leggo il nuovo De Cataldo. Pietro Cheli, di Diario, mi ha fatto una testa così: non leggerlo. Non è all’altezza di Romanzo criminale e bla, bla bla… M’aveva quasi convinto.
Meno male che non gli ho dato retta. Nelle mani giuste è fichissimo. Ne divoro settanta pagine in un soffio.Non chiudo occhio nonostante l’abbiocco feroce.
E in meno che non si dica: “We’re now landing in Capodichino…”
Fuori dall’aeroporto c’è Napoli. Ed è la prima volta che la vedo.
Aria di mare e gas di scarico. Sui motorini quasi tutti hanno il casco. In strada si vende, mura sgarrupate fanno a pugni con le antenne paraboliche. Un manifesto enorme mi sbatte in faccia la realtà: Napule: comm’è bell…
E mi sento solo un nordico piccolo piccolo (metafora innocente, nonostante il quintale che mi porto appresso…) che ancora non ha visto nenti di questo Bel Paese. Anche se si affanna a scriverene in lungo e in largo.
Al molo del Beverello ci arriviamo in orario. Anzi, in anticipo. E il traghetto è già là ad aspettarci.
Nemmeno in Svizzera i trasporti funzionano così. A Milano avrei già accumulato un ritardo di un’ora.
Tanto per dire i luoghi comuni…
Un’oretta di mare, e poi: BUM!
Capri.
Come ve lo spiego? Sul molo lungo e stretto di Marina Grande si parlano tutte le lingue del mondo.
I giapponesi sorridono e i marinai ci conversano in napoletano.
Una bimba scura scura sembra un panzarotto con gli occhi azzurri.
Qua ogni donna è femmina e ogni uomo è uomo.
Tutti sorridono e aiutano.
Gli autisti del pullman si fermano se chiedi.
Tutti pagano il biglietto.
Si può parlare al conducente. Anzi, il conducente non smette di raccontarti quant’è bella casa sua.
L’albergo ad Anacapri leva il fiato. Costanzo, il gestore, mi mette una mano sulla spalla e strizza l’ochio quando mi vede a bocca aperta: “Prima volta a Capri, dottò?”
Annuisco goffo e lento.
Costanzo è a suo agio: “Vede là? Quello è il Golfo di Napoli. E quando è mal tempo e il vento spazza la foschia vede fino a Salerno…”
La mia bocca rimane spalancata. Non ne vuole sapere di chiudersi.
Una pizza è d’obbligo, visto che è quasi ora di pranzo.
Non vi dico nulla. Mangio pizza da quando riesco a pronunciare la “z”.
Ma dopo il primo morso realizzo di non averne mai mangiata una così.
Fate voi…
Si ritorna su e sveniamo nel lettuccio preparato a regola d’arte: welcome, pennichella..
Alle sette sono presentabile (a parte il funereo pallore che mesi e mesi chiuso nel mio studiolo a battere sulla tastiera mi ha donato…) e il signor Agostino Ingenito, presidente della Pro Loco di Capri, dà il via alle danze.
Non voglio tediarvi con i dettagli della presentazione. Basti sapere che va alla grande e una signora in lino grigio si asciuga gli occhi quando parlo delle vittime di Piazza Fontana.
È una cosa istituzionale, per cui ci sono pure l’assessore e la targa di Socio Onorario della Pro Loco di Capri.
Quando chiedo ad Agostino come mai niente Fede, con infinita eleganza alza le spalle.
“Il dottore è sull’isola. Ma ha preferito non introdurla personalmente…”
Che Emilio si sia accorto che mangio i bambini?
Ad ogni modo va tutto a tarallucci e vino, perché Mary e io veniamo rapiti da una coppia strepitosa che ci invita per cena a casa loro insieme ad Agostino.
Credo onestamente che la cena sia il punto più alto della due giorni partenopea.
I padroni di casa sono napoletani facoltosi (ma forse facoltosi è riduttivo…), coltissimi e decisamente non di destra.
Parliamo di politica, di libri e del Paese Reale, e me ne vado da casa loro con una lezione che non mi scorderò tanto in fretta: “Napoli non è solo camorra è munnezza. Non c’è solo la Napoli di Saviano, ricordatelo. C’è ancora speranza per questa città…”
Siamo sulla porta a incrociar baci e abbracci, quando il telefono di Agostino squilla.
La cosa va per le lunghe. Lo vedo annuire. Si salutano con un "Ciao, caro."
Mi dice che era Cecchi Paone. Si scusava tantissimo di non essere intervenuto alla presentazione. Dice che mi vorrebbe a Positano.
Io allargo le fauci e sorrido: “Ok, nessun problema.”
Agostino mi dice: “Attento Simò… Che lo sai che Alessandro tiene un viziaccio…”
E io di colpo torno al mondo vero. Realizzo qual è il viziaccio di Cecchi Paone.
Mi ricordo che l’ha tirato fuori davanti a un sacco di gente l’anno delle elezioni.
Che ultimamente, come lui, ce n’è un sacco in giro. Fanno pure le manifestazioni in piazza.
E io non è che mi trovi tanto a mio agio con loro…
A dirla tutta mi fanno paura.
Alessandro Cecchi Paone è uno di quelli. Alessandro Cecchi Paone è di Forza Italia.
Farò meglio a guardarmi le spalle a Positano.
venerdì 13 luglio 2007
Nasce Hot Stuff, la sezione dei consigli
Si comincia con il sito di Leggendario, trasmissione che parla di libri in onda sui canali 903 (dal lunedì al venerdì alle 20.00), 905 (dal lunedì al venerdì alle 18.15) e 916 (dal lunedì al venerdì alle 21.00) di SKY.
Io stesso ho scoperto la trasmisssione attraverso questo blog. Valeria Botta, redattrice del programma, mi ha contattato postando un commento su questa piattaforma.
La connection tv-letteratura, di questi tempi, è cosa rara. E la programmazione mainstream di solito snobba il mestiere di scrivere (quanto meno nelle fasce privilegiate).
Per cui, quando si viene a conoscenza di certi spazi, è bene segnalarli.
Buona visione, dunque...
Wu Ming 2: last answer
Giusto una chiosa al nostro dibattito sulla sostanza narrativa di Confine di Stato.
Anyway, una chiosa di un certo peso.
giovedì 12 luglio 2007
La mia risposta a Wu Ming 2
Adesso è tempo che sentiate l'altra campana.
Di seguito la mia mail di risposta a Giovanni.
OCCHIO A UN PAIO DI COSE:
1) Nella mail faccio riferimento a uno scritto, una sorta di Dietro le quinte di Confine di Stato. Il testo faceva parte dei Contenuti speciali della Prima edizione di Confine, l'edizione Effequ.
Quel testo non c'è nella versione Marsilio, ma tra pochi giorni sarà online qui. Magari lo metterò anche su questo blog, vediamo come vanno le cose, ok?
2) Non è proprio uno SPOILER, ma poco ci manca. Nella mail si dice qualcosa del prossimo volume della trilogia. Qualcosa sui personaggi. Se non volete sorprese, please, don't read.
Tutto chiaro?
Ok, si va.
Caro Giovanni,
grazie.
Grazie per il tempo che hai dedicato al mio lavoro.
Grazie per l’attenzione, l’incoraggiamento, la delicatezza.
Grazie per avermi trattato come un fratello minore e non come un allievo zuccone.
Sono cose che non si dimenticano.
Specie se il tizio che te le scrive è uno di quei cinque che, con i loro libri, ti hanno spinto a mettere nero su bianco le tue ossessioni.
E adesso veniamo alle critiche, punto per punto.
Partendo dal fondo.
Non c’è che dire: bella figura di merda.
Mi sa che a stretto giro scriverò qualcosa sul mio blog (http://confinedistato.blogspot.com/) per spiegare la caciana (si dice così da queste parti) e tentare di rimediare. A mia (parziale, esile) discolpa posso solo dire che, dovendo scrivere di Riviera partigiano, l’immagine che continuava a frullarmi in testa (merito del libro, ma credo soprattutto del disco degli Yo Yo) era quella tratteggiata dalle parole di Ettore. E giuro che l’ho letto Fenoglio, ma non è tornato a galla…
Così ho finito per citare col cuore ma senza la cabeza.
Chiedo scusa a voi. E anche se i diretti interessati non ci sono più, trovate il modo di riferirglielo…
Il golpe e l’incursione cubana.
Il golpe non era previsto. Non in questo volume, almeno. Ovviamente hai visto giusto: sto pensando al dicembre del ’70 e a Borghese.
Con la fumata bianca del colpo di Stato dell’Immacolata si aprirà Settanta, ossia il secondo volume della trilogia.
È altresì vero che la virata narrativa è stata dettata dalla fretta di chiudere. Ricordo quando scelsi di inserire Giangiacomo Feltrinelli nel libro. Fu, ancora una volta, colpa di Boatti. Mentre studiavo Piazza Fontana, il suo nome fece capolino, e mi innamorai del personaggio. Narrativamente la caccia all’uomo era una bomba, poteva dare un sacco di soddisfazioni. Sull’onda dell’entusiasmo arrivò pure l’incursione a Cuba. Fu il trasporto emotivo verso Ellroy, più che l’attenzione alla coerenza strutturale della storia, a muovermi.
E incursione a Cuba fu. A quel punto ero molto distante da dove ero partito. E la storia bisognava finirla con la chiusura di un conto personale. Quello tra Sterling e l’Editore.
Vedi, qua iniziamo ad avvicinarci ad uno dei punti fondamentali che separano la mia scrittura dalla vostra (che della vostra e del vostro “metodo” è pur figlia): io incedo volentieri nel mainstream e nel maranza. E subisco il fascino della tamarrata tarantiniana infinitamente di più di quello della verosimiglianza storica. Ma ne parlerò meglio quando sarà ora di tirare le orecchie al Mago.
Il Mago.
Ci siamo. Qui c’è il nucleo della mia poetica. E con quello che dirò di seguito non voglio dire che non condivido le critiche che mi hai mosso. Hai ragione riguardo alla sua inesistente funzione narrativa. Tanto più considerando che non ho nessuna intenzione di farlo tornare, almeno non nel secondo volume della trilogia.
Il Mago è la nota stonata, la voglia di inserire un flash da lsd dentro un manifesto pubblicitario degli anni Sessanta. Volevo raccontare la storia di Superman di Ennis. Volevo che fosse Ennis a raccontarla. E volevo che la raccontasse come Bill parla di Superman a Beatrix Kiddow nel capolavoro di Tarantino.
Questo vorrei fare. Vorrei essere in grado di costruire un bel meccanismo che parli del nostro Paese col gusto e la sensibilità del cinema di Mr.T.
Dunque, il Mago: ho voluto che uno squarcio sulla società americana stesse in bocca ad un tizio tutto matto.
Considerando le reazioni (a parte qualche fumettaro incallito e il mio primo editore, il Mago non piace quasi a nessuno), probabilmente ho imboccato la strada sbagliata. Ma le intenzioni erano precise.
Le tentazioni saranno ancora più forti nel prossimo volume. Tanto per dire, tra i vari personaggi, ce ne sarà uno disegnato sulla falsa riga di Maurizio Merli. Bisognerà, come dici tu, stare accuort…
Trama.
Trama non era un personaggio in origine. Era la risposta all’esigenza di mettere ordine nel casino del caso Montesi. Se io non capivo qualcosa su come funzionava la Storia, la mia perplessità passava a lui.
Il sapore di poca chiarezza mi è comunque rimasto in bocca anche dopo la chiusura del romanzo. E Trama ne ha patito le conseguenze.
La tua, però, è stata la sola critica nei suoi confronti. Benché io non fossi molto convinto della compiutezza del suo ruolo, a molti è piaciuto. A molti (direi a tutti quelli che hanno letto il libro) è sembrato necessario.
Lo è sembrato anche al palato difficile di monsieur Pietro Cheli (la parte su Ester è quella che ha amato alla follia). E tu sai quanto sia difficile andargli a genio…
Sterling.
Se parliamo della sua bidimensionalità, torniamo al discorso sulla poetica del romanzo. Sterling volevo che fosse un cattivo da fumetto anni Trenta. Da film di indiani e cowboy. Male puro, senza spessore. Non vorrei però dilungarmi qui, su di lui. Credo di aver spiegato abbastanza comprensibilmente la cosa nel DIETRO LE QUINTE presente nella prima edizione e tagliato (per ragioni di spazio e di prezzo di copertina) nella nuova Marsilio edition. Ti allego il file: se ti va di dargli un’occhiata (senza badare al fatto che è scritto molto sopra le righe) potrebbe chiarirti qualche idea sugli intenti.
Un abbraccio,
Simone
mercoledì 11 luglio 2007
Wu Ming 2 su Confine di Stato
Tre anni fa (facciamo pure quattro) di mestiere non scrivevo: leggevo e basta.
Leggevo perché qualcuno a fine mese versava lo stipendio e leggevo just for fun.
Poi arrivò un tizio secondo cui ero proprio tagliato per mettere nero su bianco le mie ossessioni.
Che a forza di leggere, qualche cosa dovevo pure averla imparata, così diceva.
Ed era ora di togliere le rotelle alla bici.
Gli diedi retta, e il risultato è che oggi sto qui a raccontarvi dei miei libri.
Quando nemmeno speravo di fare questo mestiere, leggevo i libri di cinque tizi che scrivevano insieme. Romanzi di spie ambientati nel ‘500, libri con Cary Grant o John Coltrane per protagonisti, eccezionali storie d’avventura. Questi tizi mi hanno insegnato molto. A dire la verità, senza i loro libri, difficilmente avrei scritto i miei. Questi tizi hanno nomi veri: si chiamano Roberto, Giovanni, Luca, Federico e Riccardo.
Ma il mondo li conosce con un altro nome: quello che si sono scelti. Il nome della band.
WU MING.
E così niente più Roberto, Giovanni, Luca, Federico e Riccardo. Benvenuti WU MING 1,2,3,4 e 5.
Quando uscì la prima edizione di CONFINE DI STATO per Effequ, scrissi a Roberto (WM1), e gli mandai una copia del libro. Mi disse che l’avrebbe letto, ma non ce la fece.
Quando uscì l’edizione Marsilio, ognuno di loro ne ricevette una copia. Solo Giovanni (WM2) riuscì a leggerlo.
E lo lesse così a fondo da non riuscire a chiudere con quel libro nemmeno dopo l’ultima pagina.
Giovanni si scontrò con Confine. Ci fece a cazzotti. Il libro non gli andò giù.
E me lo fece sapere, con una lunga e bellissima mail.
Nella mail non è affatto tenero. E le critiche sono di quelle che non ti scordi.
Ma riuscite a immaginare cosa significa per un rookie come il sottoscritto quando uno dei tuoi maestri si prende la briga di sezionare il tuo lavoro così in profondità? Di andare a farti le pulci, affinché tu non commetta mai più gli stessi errori?
Qui di seguito vi riproduco la lunghissima mail di Giovanni Cattabriga alias Wu Ming 2 su CONFINE DI STATO.
Al prossimo giro parleremo delle mie risposte alle sue critiche.
Ancora una cosa: ATTENZIONE! SPOILER! In questo intervento, ça va sans dire, si parla del contenuto del romanzo (finale compreso). Se non volete rovinarvi la sorpresa, non leggete quanto segue.
finalmente posso scriverti dopo aver letto Confine di Stato. L'idea era di recensirlo sull'ultimo numero del nostro Nandropausa, in uno speciale sulla strategia della tensione. Terminato il romanzo, però, ho preferito fare il punto e mandarti queste righe.
Faccio una premessa: molte delle critiche che leggerai sono scritte senz'altro con il tono sbagliato. Ho impiegato un pomeriggio a raccogliere queste osservazioni e se l'ho fatto è perché credo nel progetto che stai portando avanti e penso possano servirti per le prossime scritture. Purtroppo, non ho avuto tempo per calibrare i termini, smorzare tutti gli spigoli, addolcire le amarezze. Se qualche frase dovesse ferirti, ti chiedo scusa in anticipo, lo spirito con il quale ti scrivo è l'esatto contrario, e cioè sostenerti, darti l'unico aiuto - magari del tutto superfluo - che sono in grado di dare.
La parte centrale di Confine, da pag 205 a pag 365, è davvero notevole. Incalzante, implacabile, scritta con i toni e le parole giuste. Ho fatto fatica a staccarmi, sebbene la vicende siano piuttosto note. Le duecento pagine che la precedono, invece, non mi hanno convinto. Non tanto per la lingua o per la struttura, quanto piuttosto per la scelta dei personaggi.
Parto da Andrea Sterling, perché i dubbi su di lui si ripercuotono inevitabili su tutto il resto.
Da un lato, c'è un problema di verosimiglianza. In un romanzo "storico" ci si può inventare tutto, l'importante è che sembri vero. Anzi: l'importante è che tutto sembri vero, anche gli episodi reali, che a volte, proprio perché "già successi", ci si dimentica di raccontare in maniera credibile. Alle mie orecchie, tutta la vicenda del reinserimento socio-lavorativo di Sterling suona proprio inverosimile. Non tanto per le posizioni ante-basagliane: si sa che le idee devono molto circolare prima di emergere in maniera dirompente. No. Il problema è l'esito: che nel 1954 un ospite di manicomio entri in polizia e diventi uomo di fiducia di servizi e generali è del tutto incredibile. Certo, un autore può sforzarsi di rendere credibile qualsiasi cosa, ma non è detto che il contesto glielo permetta. Per me Sterling è un marziano. Dunque l'intero romanzo mi dice che a uccidere Ester Conti è stato un essere venuto da un altro pianeta, lo stesso che poi ha piazzato la bomba sull'aereo di Riviera, alla Banca dell'Agricoltura e sul traliccio dell'Editore.
Ma più ancora della verosimiglianza, il mio dilemma è: perché?
Perché rinunciare a un personaggio con un passato definito, con un percorso "normale", con delle motivazioni complesse, per eleggere a protagonista nero della storia d'Italia un ex-internato, senza una formazione psicologica articolata, senza una traiettoria rintracciabile, senza paragoni con nessun altro coetaneo, in poche parole un alieno?
Tra l'altro, la scelta mi pare molto rischiosa anche da un punto di vista filosofico. Andrea Sterling è talmente altro che il romanzo finisce per suonare rassicurante: tranquilli, il male assoluto non è banale, non è davvero in mezzo a noi. Kurz e Sterling sono talmente esili, sottili, che la strategia della tensione sembra essere calata sul paese da un'astronave.
Il problema della verosimiglianza ritorna anche nella "soluzione" dell'affare Conti. Nel giudicare un romanzo innervato sulla Storia non bisogna commettere l'errore di sovrapporre narrazione e realtà, personaggi e persone. Non pretendo da Ellroy che mi racconti com'è andato davvero l'assassinio Kennedy. Gli chiedo qualcosa di più difficile: raccontarmi una storia che, con radicale verosimiglianza, culmini nell'assassinio del presidente e - pur non essendo vera - mi dica qualcosa di importante sul contesto di quella vicenda e dunque sull'America.
Nel raccontare il caso Montesi mi sembra che tu sia riuscito molto bene nel secondo obiettivo (dire qualcosa sul contesto), ma molto meno nel primo. Anche sganciando completamente Ester da Wilma, l'idea che la ragazza sia stata uccisa da una specie di agente segreto - per di più uscito da un manicomio e arruolato in polizia con un programma ante-basagliano di reinserimento socio-lavorativo - risulta molto, molto forzata. Forse si poteva trovare un ruolo per Mario Rossi/Andrea Sterling che non fosse quello di esecutore materiale. Tra l'altro, il fatto che Sterling sia sempre il braccio che esegue, rende la narrazione prevedibile. Fa fuori la Conti, fa fuori Riviera...ok, ho capito, la bomba di piazza Fontana la mette lui, L'Editore lo ammazza lui. Sempre lui. Di nuovo: il rischio è che la strategia della tensione appaia come un affare di Sterling - un suo compito da samurai - il male di un esiguo pugno di individui - la maggior parte dei quali non si sporca le mani.
Lorenzo Trama è un altro personaggio che mi sfugge. Non riesco in alcun modo a sintonizzarmi sulle sue ragioni. Impariamo qualcosa di significativo sul suo passato solo a pag 165 - 15 pagine prima che lo facciano fuori. Lui stesso, a pag 171, si chiede:
Perché? Cosa fregava a uno come lui della morte di una ragazza di cui sapeva tutto ma con cui non aveva mai scambiato nemmeno una parola?
Non lo sapeva.
Benissimo. Lui, come personaggio, può pure non saperlo, essere del tutto inconsapevole delle proprie pulsioni. Ma io, lettore, che il risultato di quelle pulsioni devo seguirlo sulla pagina, io quelle pulsioni ho bisogno di capirle. Senza mandarlo dallo psicanalista, anche solo attraverso quello che fa e dice, ma devo sapere. Invece anche io, alla seconda lettura, mi trovo a rispondere: non lo so.
Per finire con i personaggi, ecco Il Mago, che mi pare l'unica sbavatura di quel gioiello narrativo che sono le pagine su Riviera. Mi ha dato la sensazione di essere una figura appiccicata a forza sulla vicenda. In poche pagine conosco molte cose della sua vita, esploro il suo quartier generale... tutto mi dice che si tratta di un personaggio importante, che devo imprimere nella memoria. E poi pluf, scompare, non ha alcuna necessità, anche perché in questa fase del racconto la droga e i paradisi artificiali c'entrano poco, se mai era l'affare Conti a richiamarli. Io immagino che il Mago tornerà nel corso della trilogia, però una trilogia sono comunque tre romanzi, non uno solo, e ciascuno dev'essere valutato in sé. Nell'economia di Confine il Mago produce molto poco rispetto allo spazio che occupa.
Arrivo al finale.
Non sono riuscito a focalizzare bene la questione del golpe "rimandato" (presumo alla Notte della Madonna 1970). Da quel che ho capito Kurtz e Gelo vedono in Piazza Fontana la prima mossa per un colpo di stato, da consumare nelle settimane successive. Fanno piazzare la bomba a Sterling, succede l'Apocalisse, ma i carriarmati rimangono in garage. Perché? Perché mesi prima è uscito un libretto che sputtana tutta la strategia. A me non torna. Ma come, non lo sapevano che era uscito quel libretto? Si erano distratti, non erano passati in libreria? E anche se fosse: uno blocca tutta la macchina di un colpo di stato perché scopre che è uscita una pubblicazione? A me non la danno a bere. Com'è che invece lo scaltro e crudele Sterling accetta la spiegazione come fosse acqua di fonte? Com'è che non fa una piega?
Insieme all'ipotesi sul delitto Conti questo mi pare il passaggio narrativamente più debole di tutto il romanzo.
Poi scatta la caccia all'uomo, bisogna mettere a tacere l'Editore del libretto.
L'incursione nella baita austriaca è un pezzo di bravura.
La missione cubana è ancora una volta poco verosimile. Troppe poche pagine per dar ragione di una mossa così azzardata. Anche questa scena dà l'impressione di essere appiccicata in coda alla storia per permettere a Pete B. di fare il suo cameo e all'autore di abbracciare Ellroy.
Un'ultima cosa: occhio alle citazioni. Ci sono frasi che puoi togliere da un contesto e metterle in un altro senza crisi di rigetto. Ci sono personaggi che puoi prendere in prestito da un romanzo e usarli a tuo piacimento. Ma non sempre funziona.
A nessuno fregherà nulla, però tu hai messo in testa a Riviera alcune riflessioni di Ettore Bergamini, from 54, dove si fa esplicito riferimento ad alcuni partigiani piuttosto noti dalle nostre parti. Aeroplano, ad esempio, quello che caricava i tedeschi su un cavallo bianco. Era davvero uno degli uomini di Mario Musolesi detto Lupo. Che c'entra con un "bianco" come Riviera? Se Aeroplano fosse vivo penso s'incazzerebbe, e con lui Fonso e lo stesso Lupo. Gente tosta, quando perde la pazienza. E' un'ottima cosa sentirsi leggeri rispetto a certi dettagli, sapere anche lasciarsi andare. Ma più si vola e più bisogna stare accuort'.
un abbraccio,
Giovanni (WM2)