lunedì 24 novembre 2008
Una mia intervista su RUMORI DI FONDO, il blog di Sergio Paoli
Da un po' di tempo a questa parte, il suo passatempo preferito è intervistare scrittori (più o meno) di genere.
Le sue interviste, curate, acute, mai banali, stanno diventando un vero must.
Recentemente sono cascato anch'io nella sua rete.
Quello che ci siamo detti è qui.
Buona lettura.
sabato 22 novembre 2008
Sepulveda, il New Italian Epic e la cucina novarese
Per ora accontentatevi di un breve riassunto.
Seguiranno dettagli.
In breve:
Ho conosciuto Sepulveda (è un uomo meraviglioso), ho visto per la prima volta Cuneo (che è proprio una gran bella cittadina. Se aggiungi che a Cuneo, quando l'ho vista for the very first time, c'era pure il Big Show di Scurati, Genna, WM1 e 2, Lucarelli, Muratori e Gervasini... devi proprio lasciarmi stare!) e mi sono strafogato di polenta, fidighin e stufato d'asino con l'amico scrittore (e parrucchiere) Gianluca Mercadante.
Di più, al momento, non è dato comunicare.
Ma vi racconterò per filo e per segno, non temete...
giovedì 20 novembre 2008
Nuovo, epico e italiano: l'apocalisse formato NIE
venerdì 7 novembre 2008
La morte fra la piazza e la stazione
Questo è un libro piuttosto interessante per diversi motivi.
Basta dare un'occhiata all'indice per rendersene conto.
Buona lettura.
mercoledì 5 novembre 2008
Yes We Can...
Non ci credevo.
Non ci credo ancora, ma è successo.
Ci speravo con tutto il cuore, ma davvero non ci credevo.
Stamane, quando ho visto il discorso di insediamento, c'è scappata pure la lacrimuccia.
E' l'alba di un giorno nuovo.
Ora sì che posso prenotare i biglietti per New York.
Credo che andrò oggi stesso.
Si può fare. davvero, si può fare...
Obama rocks.
martedì 4 novembre 2008
Se mai torni
Signore e signori, finalmente riemergo dal mio silenzio radio.
Le cose vanno un po’ meglio, in termini di pressione lavorativa.
Tuttavia, a spingermi di fronte alla tastiera, non è solo il lavoro in calo ma soprattutto la lunga serie di festosi eventi occorsi nell’ultimo mese.
Queste settimane sono state così memorabili che raccontarle non è solo vezzo, è necessità.
Ci vuole un post, un contatto, un segno di vita.
Un resoconto da un centinaio di righe, per rassicurarvi sul fatto che sono vivo e lotto con voi (come si dice) e che se mi sono negato così a lungo è solo perché il richiamo delle storie è forte e non può essere ignorato.
Iniziamo con la questione spinosa: che hai fatto pe’ sto mese – mese e mezzo che nun te s’è visto?
Come sapete, non ne posso parlare esplicitamente, ma non posso nemmeno continuare a trincerarmi dietro un silenzio che inizia ad apparire ridicolo.
Ho scritto una sceneggiatura.
Ci sono affondato per quasi due mesi, senza respirare altro.
Questo è quanto, non chiedetemi di più.
Dice: ma allora vedremo qualcosa di tuo sullo schermo?
Sì.
Una storia con alcuni dei miei personaggi è attualmente in produzione. Su quale schermo la vedrete e soprattutto quando, non è dato sapere.
Almeno per il momento.
Lo so, non è molto, ma spero possa placare la curiosità dei molti affezionati che mi hanno subissato di mail (mail graditissime, ben inteso) durante la mia astinenza dal web.
Fa sempre piacere quando manchi a qualcuno.
E non potergli dire dove sei sparito è una cosa antipatica.
Spero, con queste poche sparute informazioni, di aver “giustificato” la mia assenza, proprio come si faceva a scuola.
Chiusa la parentesi “ma dove cazzo eri finito?”, apriamo quella “attività collaterali”.
In questo periodo di iperlavoro, dove tutto il giorno – tutti i giorni, week end compresi – erano dedicati al vis à vis con la tastiera, capitava spesso che le serate non fossero utilizzate per il semplice riposo.
Ogni tanto, addirittura, scappavano pure quarantotto ore di semilibertà.
E allora pareva naturale inforcare l’ottima Modus e correre là dove si parla di libri.
Le ultime due settimane sono state fittissime.
Ho conosciuto e rivisto con immenso piacere un gran numero di colleghi; ogni volta si è trattato di un’occasione speciale.
Ma andiamo con ordine.
Domenica 19 ottobre, al Villaggio del Libro di Frassineto Po, dietro il microfono c’erano due pezzi da novanta: Gianni Biondillo e Patrick Fogli.
La giornata, per il sottoscritto, era vagamente critica, visto che io e la mia mogliettina la sera precedente avevamo festeggiato il sopraggiungere dei trent’anni con una maxi party stile “festa delle medie”.
Siccome sessanta persone eran dure da far entrare nella modesta magione Sarasso, abbiamo affittato per l’occasione la Casa del Popolo di Romentino (siamo entrambi veterocomunismi impenitenti…) e ci siamo dati alla pazza gioia con amici e parenti in mezzo a fiumi di spumante, bonarda, cedrata Tassoni e pasta aglio e olio.
Sabato sera memorabile e domenica passata a pulire il macello lasciato la sera prima.
L’incontro di Frassineto cascava proprio in mezzo al più bello della pulizia, ma la mia dolce metà mi concede un paio d’ore di libera uscita; così ecco che volo dai compadres nel casalese.
La lecture è stata memorabile: Gianni e Patrick dal vivo fanno scintille e durante lo show hanno regalato splendide chicche sul mestiere di scrivere.
Una su tutte, la storia della carta d’identità di Gianni Biondillo.
Un parossismo profetico: a diciotto anni, alla voce PROFESSIONE, il documento d’identità di Biondillo recava la dicitura SCRITTORE. Benché Gianni non avesse nemmeno mai pensato di mettere nero su bianco una sola riga.
Vezzo di gioventù. Vezzo divinatorio, a dirla tutta, perché qualche anno più tardi la profezia si sarebbe avverata.
Solo che, a quel punto, sulla carta d’identità – nel frattempo rinnovata più e più volte – la nomenclatura era mutata, perché Gianni, nel frattempo, era diventato l’architetto Biondillo.
E oggi, che Biondillo di libri ne ha scritti più o meno una decina, su quel documento c’è scritto ARCHITETTO.
Poi dici il destino…
La giornata monferrina finisce a chiacchiere, moscato e krumiri.
Si parla di NIE e di vino.
Di trasferte e di magnate colossali.
Baci e abbracci coi colleghi, la promessa di rivedersi presto. E via di corsa dalla mia mogliettina a raccattar cartacce, bottiglie e resti di palloncini e festoni.
Fino a notte fonda.
Passano pochi giorni, e nella mia città si inaugura il festival Scrittori & Giovani.
Autori di acclarata fama calano nella nebbiosa terra del riso a raccontarsi e a incontrare i ragazzi delle scuole.
Il 25 ottobre arriva anche Paolo Giordano.
Ora, su Giordano si sono spesi fiumi di inchiostro ma, anche parlando con colleghi ed amici nessuno ha mai risposto chiaramente alla domanda: “Ma gli scrittori rosicano perché un ragazzo così giovane ha vinto lo Strega?”
Io non so come la vedano i miei colleghi. Per quanto mi riguarda rosico da morire.
Suvvia, è normale, se si fa questo mestiere, immaginarsi al suo posto. Sotto i riflettori, con i giornalisti alla porta…
E rosicare è un attimo.
Se si volessero fare le cose per bene, bisognerebbe pure odiarlo questo enfant prodige.
Trovarlo antipatico.
Imputargli dei terribili difetti di modo da farsi una ragione: lui ha vinto lo Strega e io no ma guarda com’è gobbo... (tanto per dire)
Specie perché, quando c’è un suo live, sembra di stare al concerto dei Duran Duran nell’87.
Stuoli di ragazzine urlanti e adoranti. Mamme delle ragazzine in visibilio e addirittura qualche nonna e diverse attempate maestre di scuola elementare con gli occhi lucidi.
Uno che fa quell’effetto lì e fa il tuo stesso mestiere tocca odiarlo per forza.
E qui viene la parte difficile.
Vedendo en vive Paolo, ho scoperto come sia praticamente impossibile volergli male.
Perfetto, pacato, timido. Risponde alle domande senza fretta e con grande intelligenza. Mai sopra le righe.
Ma un conto è l’empatia e un conto è la stima.
Voglio dire: ok, è simpatico, bello, di successo, per niente sbruffone, ma sarà un po’ inesperto. Dimostrerà delle ingenuità in campo narrativo…
Seeee magari…
Ora, intendiamoci bene: il suo libro, per quanto mi guarda, non è perfetto. Anzi.
I primi due capitoli sono una bomba, poi la storia va per fatti suoi. Funziona ma va per fatti suoi.
Questo non significa che Paolo non ne sia conscio.
In quasi due ore di conferenza ha raccontato per filo e per segno i difetti del romanzo. Ha preso la sua creatura, l’ha maltrattata, sezionata, esposta al pubblico come si fa coi cadaveri in camera autoptica.
Parlando di narrazione ha raccontato di direzioni in cui, onestamente, non avevo mai guardato.
È stato semplice, incisivo.
Onesto.
Forse un po’ sottotono nell’incontro del pomeriggio, ma provateci voi a spararvi tre presentazioni al giorno per sei mesi.
Il sottoscritto, affetto da cronico bradipismo (se il sabato salto la pennica, il lunedì mi devono raccogliere col cucchiaino), crollerebbe dopo la prima settimana.
Insomma: da lettore non ho particolarmente amato LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI. Da narratore non imbastirei mai nero su bianco una storia del genere e da scrittore neo trentenne mi brucia assai che un ventiseienne al primo libro vinca lo Strega.
Eppure…
Eppure credo fermamente che Paolo Giordano sia una gran bella persona. Un professionista coi baffi.
E che meriti il successo che ha.
C’è una vita, davanti, per affilare gli strumenti.
E niente mi leva dalla testa che Giordano diventerà (non lo è ancora, a mio modestissimo parere. Ma ricordate che io son quello che vende cinquemila copie cacate e lui un milione…) un raccontastorie di razza.
Che palle questi scrittori di talento.
Ti fanno persino passare la voglia di rosicare come si deve.
Da Giordano a Trevi il passo non è così breve.
Giordano è di Torino e Trevi sta in Umbria.
Apparentemente non hanno una mazza in comune.
Se non che Giordano è uno scrittore. E di scrittori – scrittori neri, a questo giro – la piccola cittadina umbra si è letteralmente riempita durante lo scorso week-end.
Lasciatemi dire subito che quella di Trevi – secondo la mia attuale esperienza di uscite letterarie – è stata la più bella trasferta che abbia mai fatto. Non me ne vogliano gli ospiti precedenti, ma in quel delizioso borgo tra tra Foligno e Spello si è creata un’alchimia particolare. Per suffragare la pesantezza di cotanta affermazione, andrò ad esplicare per filo e per segno com’è andata.
All’alba di sabato io e la mia mogliettina ci alziamo e ci prepariamo con tutti i crismi per il lungo viaggio.
Notte difficile, quasi insonne, quella precedente.
Incubi terrificanti (ma piuttosto classici: mostri e pupazzi animati che m’inseguono per farmi a brandelli…) mi svegliano ogni paio d’ore.
Io, che di solito dormo come un sasso del deserto del Gobi, rimango inizialmente stupito. Dopodiché faccio caso al calendario e soprattutto al menu della sera precedente.
31 ottobre: notte di Halloween.
Con annessa cena dagli suoceri: panissa, coniglio al forno, torta al cioccolato e bottiglia di Montapulciano d’Abruzzo (accompagnato da un paio di Ballantines).
Poi non lamentiamoci dei brutti sogni…
Se mi fossi coricato con una pastina in brodo e un kiwi (come mia nonna, peraltro, fa da sedici anni) chissà se avrei avuto paura di Freddie Krueger?
Ad ogni buon conto, via che si va che la strada è lunga.
Sei ore di macchina, De Gregori nello stereo e vestiti pesanti indosso.
Panino striminzito in autogrill, arrivo al pelo alle 14.30.
Valigie posate in albergo, breve squillo a Mike Jacobs (il Micheal del duo Micheal Gregorio, organizzatori e veri deus ex machina dell’evento) e un paio di foto a immortalare la splendida cittadina.
L’evento delle 15.00, al quale partecipo insieme a Guglielmo Pispisa – che presenta il suo LA TERZA META’, nuovo di zecca – parte in perfetto orario. Si dicono cose interessanti sulle BR (vecchie e nuove) e sui Servizi.
Il pubblico è reattivo come non mai e interviene con domande toste.
La migliore, tuttavia, proviene da una attempata e smarrita signora inglese che si alza educatamente e in un italiano perfetto, appena screziato dell’accento di York, chiede: “Scusate… scusate… Ora io ho sentito tutti questi cosi e tutti questi libri… e agenti secreti, per carità… molto, molto interessanti… ma io venuta qua per visita guidata e adesso… adesso io chiedeva: chi mi riporta a BUS?”
Risate fragorose, applausi.
Micheal Jacob si alza commosso dal palco, abbandona il convegno e porta la smarrita signora al “BUS”.
Seguono altri applausi per il gesto e già s’intuisce che sarà un week-end indimenticabile.
Finita la lecture è tardi per il pranzo e presto per la cena. Ci scappa prima un caffè con Pasquale Guerra, splendido padrone di casa, e poi un paio di birre (ma anche tre) con gli amici.
Intorno al tavolo ci siamo io e la mia mogliettina insieme ai quattro KAI ZEN (di cui uno, Guglielmo, con sposa – la straordinaria Germana – al seguito), il mio boss Jacopo De Michelis e Alessandra Buccheri di Angolo Nero. Dopo un po’ si unisce anche Patrick Fogli, appena arrivato in quel di Trevi e in attesa – come noialtri del resto – dell’ora delle gambe sotto il tavolo.
Ci si aspetterebbero colte discussioni sullo stato del noir italiano. Invece l’aria è cazzara, ma cazzara parecchio, e si ridacchia di serie tv e gite scolastiche.
Arriva il tanto sospirata pappa-time e ci si incunea tutti verso l’antro di Gustavo.
All’entrata abbiamo persino qualche difficoltà: Gustavo non credo si attendesse tutta questa gente e gli tocca tirar fuori tavolini e tavolini per metterci tutti seduti.
Al nostro tavolo metà dei KAI ZEN (Guglielmo e Bruno), dietro le nostre spalle l’altra metà (Jadel e Aldo), seduta con Michele Serra e sua moglie, Giovanna Zucconi.
Ora, noi si vorrebbe pure origliare che si dicono giovani scrittori di successo e giornalisti di chiara fama, ma Bruno si mette a raccontare di quella volta che il suo tatuatore gli incise un bassorilievo su una spalla, o quell’altra che, a non so più che centro sociale, fresco di piercing al naso, si beccò una legna sul naso durante il pogo (o forse una rissa. Vorrei essere più preciso, ma l’acool scorreva a fiumi durante il racconto e qualcosa può non essersi fissato chiaramente nelle memoria…).
Risate, risate, risate.
Si mangia divinamente da Gustavo, anche se le porzioni non sono proprio king size (epocale Patrick, fuori dal locale: “Tutto buonissimo! Adesso andiamo a farci due spaghetti?”).
Il rosso antico scorre a fiumi e si conclude con la grappetta di rito.
A quel punto saremmo tutti cotti e pronti per il paglione, ma il richiamo della compagnia e del bicchiere della staffa è troppo forte.
Ultimo giro di bevute al baruccio in piazza.
In sottofondo un’inquietante musica anni Ottanta (le ragazze riconoscono ogni pezzo dopo pochi secondi, potrebbero umiliare Coccinella di Sarabanda) e ancora un profluvio di aneddoti e minchiate stratosferiche.
Stiamo bene, davvero bene.
Ci salutiamo controvoglia.
La mattina dopo occhiali da sole, cerchio alla testa e cappuccio per tutti. All’alba delle dieci e mezzo.
Un’ora dopo, big show dei KAI ZEN (big show davvero: Jadel in occhiali da sole a parlare di nichilismo e Mao Tse) e poi vai di pranzo a base di salumi e formaggi.
All’alba delle tre, con grande rammarico, ci si saluta tutti.
Prima di andar via, però, l’ultima perla.
Daniela (Gregorio, la padrona di casa) si ferma un attimo con noi a chiacchierare e io le chiedo di un famoso aneddoto che li riguarda. Apparve un po’ di tempo fa su Vanity Fair: l’intervistatrice le chiese – siccome Daniela, prima di scrivere, ha sempre fatto l’insegnante e ancora insegna, seppur part-time – come reagissero i suoi allievi ed ex allievi al suo successo letterario.
Daniela e Mike, coi loro gialli storici (CRITICA DELLA RAGION CRIMINALE e I GIORNI DELL’ESPIAZIONE) hanno davvero cambiato il modo di raccontare il delitto, mettendo addirittura in gioco Kant nella parte di investigatore. Sono diventati un vero e proprio caso letterario e dunque è naturale chiedersi quale sia stata la reazione dei loro studenti (anche Mike insegna) a cotanto successo.
“Mo’ te la mostro io la reazione…” dice Daniela, e tira fuori il cellulare.
Un messaggio anonimo, mandato da un genio del male, recita così:
IMMANUEL KANT GRANDISSIMO ROTTO IN CULO
E PURE GOBBO.
LIONELLO GAY
VIVA LA FICA.
Ora, converrete anche voi che la domanda sorge spontanea: “Chi è Lionello?”
“Il gatto di casa… porello….”, mi informa mestamente Daniela.
Dispensando solidarietà per il misero felino oggetto di discriminazione, io e la mia dolce metà guadagnamo la via del ritorno.
Altre sei ore (fai sette, va) di macchina e poi casa. Pappa e nanna.
L’indomani (che poi era ieri), ultimo atto di una lunga maratona letteraria.
Live in Novara di Lucrezia Lerro. Presentazione alle 18.00. A cui segue aperitivo e cena con l’autrice (io e mia moglie diventeremo dei bidoni, se continuiamo a strafogarci a questo ritmo…) e altri amici, tra cui l’inossidabile Luca Ottolenghi di Rolling Stones, Roberto di Interlinea e una giovanissima scrittrice di talento, Giulia Carcasi.
A cena le ragazze mangiucchiano ma non esagerano. Noi maschietti ci diamo giù di brutto, specie col vino e i salumi.
Al punto che, a dirla proprio tutta, alla fine non ricordo bene se si è parlato di New Italian Epic, di cotoletta coi funghi, di Erri de Luca o di Maurizio Costanzo.
Ma sono piuttosto sicuro che Maurizio Costanzo sia venuto fuori.
In sempiterna memoria della serata rimangono due insostituibili concetti, emersi dalle svariate ore di libagioni e conversazione:
- Roma e Milano sono diverse (ma và?)
- Costanzo lavora anche il week end (così pare…)
In chiusura mi pare di rammentare di aver chiesto a Lucrezia di aggiungere al messaggio che stava mandando a Scurati che “IO QUELL’UOMO LO VOGLIO BENE” (il che è la sacrosanta verità, peraltro…) .
Scurati, signorile e impeccabile come sempre, ha ringraziato via sms, pur (giustamente) stupito dell’inusitato slancio emotivo.
Per chi non potesse farne a meno, esistono testimonianze della due giorni umbra.
Le trovate qui.