martedì 29 luglio 2008
Confinen ti Staten: anche Cermania parlare di Herr Sarassonen...
Paolo, un lettore di vecchia data, stamattina mi segnala con grande fervore che su questo sito si parla di me.
Io gli rispondo con altrettanto entusiasmo che sono felicissimo e lo ringrazio per la comunicazione.
Do un'altra occhiata all'articolo e, con la faccia sempre più simile a un punto interrogativo, faccio mie le parole dell'immortale ammiraglio Benson di Hot Shots: "Non ho la più pallida idea di quello che sta dicendo, non ho capito un beneamato c...o!"
Perchè l'articolo è in tedesco. E l'unica lingua straniera che mastica il vostro scrittore over 100 preferito è il dialetto vercellese...
Insomma, se qualcuno ci capisce e vuole illuminarmi, gliene sarei eternamente grato.
Se invece, come me, ignorate il teutonico idioma, godetevi la splendida sequenza di caratteri in maestosa alternanza (quasi come spararsi Solaris coi sottotitoli in cirillico).
venerdì 25 luglio 2008
Confine di Stato continua a far parlare di sé: RIVISTA SCONOSCIUTA intervista il vostro scrittore over 100 preferito
di Max
Prima di tutto, come ti è nata l’idea di un progetto così ambizioso, cioè raccontare quasi 50 anni di storia italiana? Qual è stata la molla che ti è scattata dentro, cosa ti ha fatto dire:”Tò, voglio raccontare mezzo secolo di un paese di terroristi, criminali in doppiopetto, pazzi sadici, neofascisti, comunisti mai domi, spie, servizi segreti deviati, stragi, bombe…a parte gli scherzi sicuramente non è stata così facile, cosa ti ha spinto come scrittore ad affrontare una materia così scottante, ampia e difficilmente interpretabile?
Ellroy e l’indignazione credo siano stati i principali motori del progetto CDS. Dopo aver letto American Tabloid e Sei pezzi da mille ho pensato cha anche la storia del nostro paese avesse parecchio da offrire per un noir del genere. Ho iniziato a documentarmi e ho passato più di un anno in mezzo alle scartoffie, ai documenti desecretati, alle relazioni della Commissione Stragi. Solo allora l’indignazione si è impadronita del sottoscritto. Prima ancora di scrivere una sola riga, ho realizzato che significasse l’impunità per le famiglie delle vittime. Che significasse, per i parenti dei caduti di Piazza Fontana, l’imputazione delle spese processuali dopo trentasei anni di processi.L’indignazione è divenuta rabbia. E la rabbia, volente o nolente, ha impregnato il linguaggio del narratore.
Nel tuo romanzo è forte l’influenza del cinema e di molta letteratura uscita in questi ultimi anni. Si trovano omaggi al cinema di Tarantino, il dialogo fra Trama e Vega (stesso nome di un personaggio di Pulp Fiction) è ripreso pari pari da una scena del film. Steve Zollo, personaggio che ha una rapida apparizione, viene direttamente da 54 dei Wu Ming, così come Lucky Luciano. Per non parlare dei debiti verso Giuseppe Genna, che tu citi come uno dei tuoi maestri. E poi non si può non vedere l’influenza del maestro americano, James Ellroy. Anche qui c’è un personaggio preso in prestito dai suoi romanzi: Pete Bondurant. Ma anche molte scelte legate al linguaggio, allo stile sono debitrici di Ellroy. Cosa puoi dirmi dei tuoi maestri, delle tue influenze, delle letture che ti hanno portato a scrivere CdS?
Hai appena citato tutta la gente (ed è parecchia) a cui questo libro deve qualcosa. Da Genna ho imparato il mestiere. A Giuseppe e alla sua quadrilogia di Lopez devo le basi del mio lavoro.Ai Wu Ming devo parecchi punti di vista. Uno su tutti, fondante nel recente dibattito sul New Italian Epic, il coraggio di osare sguardi massimalisti sulla storia più o meno recente.Tarantino è quello che mi ha insegnato tutto quello che so sui dialoghi. Un hommage era dovuto.A Ellroy, noi epici italiani, dobbiamo tutti parecchio. Per me i suoi libri sono stata pura rivelazione.Specialmente dal punto di vista linguistico.LEGGI IL SEGUITO SU RIVISTA SCONOSCIUTA...
lunedì 21 luglio 2008
Arrivano i consigli del Sarassone per le vostre letture estive: si parte con PAN di Francesco Dimitri
Siccome è tempo d'ombrellone, gite e letture a go go, di settimana in settimana (magari pure un paio a settimana, ma dovete proprio comportarvi bene...) vi segnalerò tutto ciò che ho letto durante quest'anno. Prima della serrata estiva, vedrò anche di confezionare un pdf che funga da breviario. Così non dovete andare a ricercarvi il post, fare copia/incolla...
Poi non dite che non vi voglio bene...;-)
Ad ogni modo, non fatevi idee strane; non iniziate a immaginarvi una selezione fichissima e ultradocumentata come il NANDROPAUSA dei Wu Ming...
Col tono che mi contraddistingue, mi limiterò a servirvi ottimi libri in salsa semiseria.
Nada mas...
Dunque, signore e signori, bando alle ciance.
Andiamo a incominciare...
Francesco Dimitri, Pan, Marsilio 2008
Immaginate.
Chiudete gli occhi e immaginate. Questo non è il genere di libro che si legge senza immaginazione.
Immaginate Roma.
“Non la Roma di piazza Fiume, fatta di palazzine pulite, studenti universitari e gente che passeggia a qualsiasi ora del giorno e della notte. Questa è la Roma del quartiere di San Basilio, una Roma ventosa e fredda, in cui gli alberi in inverno sono creature smunte di un altro mondo, in cui il silenzio è una forza con cui fare i conti, i palazzi crollano sotto l’umidità e il buio spaventa ancora.”
Ora aggiungete, che questo è un libro che si racconta solo per addizione: aggiungete pirati, galeoni, uno splendido angelo caduto di nome Wendy e una banda di marmocchi con pessime intenzioni.
Meravigliati? Siamo solo all’inizio: "Chi alla Meraviglia chiude gli occhi, di Morte sente tredici rintocchi".
Quindi, occhio a come vi comportate.
Arrivano un paio di morti ammazzati e si sente il soffio del passato: “Dì loro che sta tornando”.
Chi stia tornando si fa presto a immaginarlo: qualcuno lo vuol chiamare Peter; un tempo era noto come Pan.
Questa non è una storia semplice, questa è una favola nera.
In poco più di 460 pagine Francesco Dimitri fa qualcosa che non riusciva più a nessuno da un sacco di tempo: fa sognare.
E fa battere i denti, tremare i polsi.
Spalanca mondi orribili e meravigliosi.
Sembra di leggere il Gaiman migliore, quello di American gods. Non c’è pietà per i miti né per la società contemporanea. La scrittura è agile e tagliente come la lama di un rasoio.
Combinare il mito di Pan – il dio greco dei baccanali primordiali, della pulsione vitale, libera, del rifiuto di ogni dogmatismo – e il Peter Pan di Barrie non è un gioco da ragazzi.
Ma Dimitri, nonostante la giovane età (classe 1981) non è un ragazzino.
Scrive con una forza e un’acribia uniche, ha l’autentico dono dei cantastorie d’un tempo. Fa grandissima letteratura popolare raccontando storie eterne.
Il ragnarök nei cieli della capitale, divinità arrabbiate e decadute che se le danno di santa ragione, vecchi e bambini cattivi (mica tanto sperduti, a dirla tutta) che formano un affresco inusuale.
Il romanzo di Dimitri è L’Apocalypse panoramique di Lachappelle in prosa. Leggendolo si ha la medesima sensazione di straniamento che si prova di fronte agli scatti del fotografo americano.
La profondità è epica, la scena è minuziosamente calcolata. Sono perfette le luci, gli accostamenti cromatici.
Sembra Michelangelo. Poi ci si avvicina e saltano agli occhi tatuaggi e piercing, i modelli sono popstar, homeless e donne incinte.
Il risultato non è mai grottesco.
Il risultato è Tim Burton. Il migliore, quello di Nightmare before christmas.
Fatevi un favore: procuratevi il libro di Dimitri e leggetelo di sera, quando la città ha smesso di strillare.
Sarà come tornare bambini.
martedì 15 luglio 2008
E' arrivato il terzo volume di UWS
Si chiama INFAMI e assomiglia a un film di Maurizio Merli.
Anzi, a dirla tutta, in una scena c'è pure Maurizio Merli che prende a schiaffoni il sottoscritto (cioè... il mio alter ego Talento).
Per questo numero abbiamo veramente buttato il sangue.
Più di così...;-)
Compratelo qui o cliccando sull'immagine (o sul bannerone).
Buona lettura!
lunedì 14 luglio 2008
Sarasso vs De Cataldo: un'intervista per MilanoNera
Il pezzo è uno degli articoli di copertina del secondo numero di MILANONERA WEB PRESS, il nuovo free press giallo-noir diretto dal mio amico Paolo Roversi e scaricabile gratuitamente qui.
Buona lettura!
A pochi giorni dall’uscita dell’antologia Crimini Italiani (Einaudi, 2008, a cura sua, ça va sans dire) riesco a fare due parole col vero maestro della letteratura criminale. Tra il serio e il faceto, tra nomignoli e toni rilassati, si parla di New Italian Epic, alta montagna e persino di dieta.
Domande a raffica, risposte taglienti.
1) Il saggio di Roberto Bui (WM1) sul New Italian Epic ha finalmente dato forma teorica al lavoro di una generazione di scrittori che ha stravolto il modo di narrare del BelPaese. Tu, che di questa generazione sei uno degli esponenti illustri, all’epica ci sei arrivato tardi, con Romanzo Criminale prima e poi col superbo Nelle mani giuste. Come si è evoluta la tua scrittura in questo senso? Quando e perché hai sentito la necessità di dare un respiro diverso alle tue storie criminali? Com’è nata l’esigenza (per citare un tuo articolo recentemente apparso su Repubblica) di “sporcarsi le mani”, di narrare il marcio del paese, di andare alle radici del lato oscuro della nostra storia recente?
L’idea di Romanzo Criminale, in germe, risale al 1996. Scrissi un capitolo – che poi nel romanzo divenne Il Funerale del Dandi – e lo pubblicai sullo Straniero, la rivista diretta da Goffredo Fofi. Il libro fu dunque frutto di una lunga gestazione, visto che uscì nel 2002. L’evoluzione della scrittura è un dato comune a tutti gli scrittori più o meno citati da Roberto Bui (e anche da me). Si inizia con un genere, si prendono le misure dei suoi limiti, se ne estrae il succo, e poi lo si distilla innestandolo, come un feconda contaminazione, in altri generi. “Epico” è un racconto corale, a suo modo eroico, che veda la centralità del rapporto fra l’individuo e la storia del proprio tempo (o anche di quello passato, ma comunque in relazione con l’individuo). Da questo punto di vista, esiste in Italia una grande tradizione, che ha attraversato il Risorgimento, la letteratura postunitaria, la letteratura dell’Italia Umbertina, poi il Fascismo (almeno sino a Silone e Alvaro),
2) Dalla pubblicazione di Crimini (Einaudi, 2004), la prima antologia “nera” che hai curato, all’uscita del recente Crimini Italiani (Einuadi, 2008) sono passati quattro anni. Come è cambiato Il modo di rapportarsi dei maggiori narratori italiani alla crime-novel? E come è mutato (se è mutato) il tuo approccio alla “regia” di queste opere corali?
Il giallo italiano, ha ragione Carlotto, è tornato a rassicurare e a immergerci in un’atmosfera anni Cinquanta, un po’ da fiction. Il noir è ormai una formula per dire che stiamo parlando di tutt’altro, ma usiamo ancora la chiave criminale per comprendere questo altro (o almeno per cercare di intaccarne la complessità). Crimini Italiani è un’antologia più matura e consapevole, che fotografa il nostro modo di vedere l’Italia di oggi: chi con nostalgia, chi con rabbia, chi cercando la fuga nel delirio, chi aggrappandosi all’illusione che qualche eroe vagabondo e solitario, a questo sporco mondo, esista ancora. La regia ha segnato due défaillance perché ho perso, per mia colpa, Camilleri e Ammaniti, e me ne rammarico... scherzi a parte, non sono stato capace di convincerli a darmi un altro racconto, e dunque mea culpa. Ma abbiamo nuovi e formidabili acquisti, ancora una volta tutti uomini, e quindi anche di questo mi assumo ogni responsabilità. Che vuoi che ti dica? E’ un po’ un a questione di feeling, un po’ di professionismo, molto di comunanza e rapidità negli scambi... se avessi avuto carta bianca, avrei realizzato un volume alto il doppio, perché di scrittori bravi e interessanti esclusi ce ne sono, eccome. Ma spero che alla fine, in un ipotetico giudizio, la bilancia finisca col pendere dalla nostra parte... su una cosa sola siamo rimasti irremovibili: abbiamo deciso di completare il giro d’Italia del crimine occupandoci delle regioni e città non trattate da Crimini. Ma a parte questo, ogni scrittore è libero di scrivere quello che gli pare. E i temi si raccolgono alla fine, non si impongono prima.
3) Ancora su Crimini Italiani. Domanda impertinente e curiosetta, te lo dico subito.
Il tuo racconto, Neve sporca, è ambientato a Courmayeur. La stessa Courmayeur in cui sei stato incoronato, nel giro di pochi anni, indiscusso signore del noir vincendo il prestigioso Premio Scerbanenco e la sua edizione Super (quella riservata ai precedenti vincitori del titolo).
La doppia “incoronazione” c’entra qualcosa con la scelta della location per il racconto o si tratta di pura casualità?
No, nessun caso... La storia è ambientata a Courmayeur per omaggio e tributo a una capitale del noir italiano... per riconoscenza allo Scerbanenco... e perché è un posto emblematico di tante contraddizioni italiane: pensa che agiscono dei commercialisti bastardi, un ex-galeotto eroe, ragazzi sbandati, un carabiniere locale molto più saggio del segugio antidroga inviato da Roma e tanta, tanta neve. In tutti i sensi.
4) Nelle mani giuste si chiude alla vigilia del primo governo Berlusconi. Scialoja scompare e nessuno sa che fine ha fatto. Questo, narrativamente, lascia una porta aperta. Da fan sfegatato ti chiedo se hai intenzione di proseguire la saga e di aggiungere un terzo capitolo al dittico. Credo che molti dei tuoi lettori sarebbero curiosi (io lo sono prepotentemente) di un tuo sguardo sul presente (1994-2008, guarda caso i quindici anni che vedono nascere e definirsi il New Italian Epic).
C’è qualche speranza per noi aficionados assetati di pagine?
Vuoi la sincerità o la diplomazia, giovane turco? Diplomaticamente direi che ci sto pensando. Sinceramente ti dico: no, sto lavorando a una cosa completamente diversa. Il presente, se proprio ci tieni a saperlo, ma con dentro un po’ di futuro...
5) Ultima domanda, inevitabile. Nell’immediato, che bolle in pentola?
Un réportage dall’India e un graphic novel con Giuseppe Palumbo per Rizzoli. Una spy-story
scritta a quattro mani con il regista e sceneggiatore Mimmo Rafele. E una sana e (poco) robusta dieta.
mercoledì 9 luglio 2008
Ieri era il mio anniversario di matrimonio...
Gli amici ricorderano che gran bella idea sia stata, nel clou della torrida estate 2006, quella di sposarsi l'8 di luglio e di organizzare il rinfresco in un agriturismo sperso in mezzo alle risaie.
Senza condizionatori nè zanzariere...
Ieri io e la mia mia mogliettina ci siamo presi una giornata per festeggiare e siamo stati a vedere questa mostra. Più che la mostra, ho gradito tantissimo il documentario che, a metà dell'esposizione, girava in loop. Mi è venuta voglia di scrivere della Vienna dei primi del Novecento, dove l'industria del porno era più fiorente di quella dell'abbigliamento e dove girava più coca che a casa di Sam Giancana (Freud stesso ne inalava quantità sufficienti a stendere un pony).
Dopo la mostra, ci siamo sfamati qui. La strada per raggiungere il posto è invisibile a qualunque navigatore. Ma se mai riuscirete ad arrivarci, conoscerete inusitate prelibatezze. Tipo l'ossobuco col risotto. Magnifico.
Tra le varie cosucce che ho donato a mia moglie in occasione dell'anniversario (facendomi estrema violenza), c'è anche il libro di Giordano.
E' inutile ficcare la testa sotto la sabbia. Prima o poi dovremo parlarne.
Statevi bbuono e godetevi il fresco.
mercoledì 2 luglio 2008
La calata del bolognese: Wu Ming 4 live in Milan. C’era anche il Sarassone
Giornata deja vu quella di ieri. Per luoghi ed orari, innanzitutto.
Alle 18.30 andava in scena la prima (e unica) data milanese del tour di presentazioni di STELLA DEL MATTINO, il romanzo solista di Wu Ming 4. Il luogo (e l’orario) erano gli stessi della presentazione di Al diavul, il romanzo di Bertante uscito di recente per Marsilio. L’altra volta a introdurre l’autore c’erano due leggente viventi: Genna e Scurati.
A questo giro, per una curiosa legge del contrappasso, a presentare Federico Guglielmi (WM4) proprio Alessandro Bertante, in compagnia di Luca Crovi, deus ex machina di Tutti i colori del giallo.
Potevo forse perdermi una ficata del genere? Assolutamente no.
Ed ecco che all’alba delle cinque meno un quarto del pomeriggio mi ritrovo a girare come un pazzo nei dintorni della stazione di Novara, in cerca di un parcheggio che non c’è.
Trenta gradi all’ombra e cinque minuti alla partenza del treno mi convincono a lasciare la vettura in zona disco orario: tecnicamente la mia sosta sarebbe dovuta durare mezz’ora.
In pratica la macchina ce l’ho lasciata fino all’una e mezza di notte.
Salto trafelato sul convoglio, smadonnando per la multa che certamente troverò al mio ritorno, e nel contempo fibrillando per lo show che sto andando a godermi.
I presupposti per un vero spettacolo ci sono tutti: la sera prima mi ero scambiato qualche sms con Giuseppe Genna e il maestro mi aveva confermato che ci sarebbe stato anche lui (dal momento che WM4 avrebbe dormito a casa sua). Con buona probabilità ci sarebbero stati anche Eva e Franco Mattes, gli 01.org, ormai di stanza a Milano da dieci giorni dopo un lungo peregrinare tra New York e l’Olanda (avevo avuto la soffiata con un giro di mail, ma non ero sicuro che li avrei beccati).
E poi figurati: alle presentazioni dei Ming c’è sempre il pienone. Vuoi che se fanno una cosa a Milano non ci sarà il gotha della scrittura meneghina?
Arrivo in Centrale, faccio il biglietto di ritorno, compro due ticket per il metrò.
Siccome sono un vero cittadino del mondo, non ho certo bisogno della mappa per orientarmi nella giungla metropolitana milanese. E quindi monto sul primo treno in arrivo, cambio a Cadorna e finisco in un posto che non c’entra una mazza con quello in cui sarei dovuto andare.
Fermata Buonarroti; sarei dovuto scendere a Wagner.
Oddio, non è che ci sia questa distanza abissale da Piazza Wagner a Viale Buonarroti.
Solo che io devo andare in Piazza Piemonte, porcaccia la pupazza.
Allora mi affido all’istinto e percorro cinquecento metri buoni sudando ogni traccia di sali minerali presenti nel mio corpaccione sulla camicia azzurra (anche tu, però… c’è da camminare e metti la camicia azzurra?).
Arrivo a un’edicola, chiedo delucidazioni all’edicolante simpatico come un dito in un occhio e quello m’illumina su una verità incontrovertibile: se avessi camminato per mezzo minuto dalla fermata nella direzione opposta sarei già arrivato da un pezzo.
Ringrazio e riprendo a correre. A rebour.
Sei e trentacinque, qui finisce che mi perdo l’inizio.
La Feltrinelli, finalmente.
Io assomiglio al cassiere della pubblicità del Till – flai, ma mi faccio coraggio e mi precipito all’interno.
Ci sono tutti, ma proprio tutti.
Crovi, Bertante, Biondillo, Genna, gli 01.org, il mio amico Antonio Talia (che scrive per UWS e vive a Pechino, ma guarda caso è in Italia e ha fatto un salto)...
Pare sia passato anche il Paolino Roversi ma io non l’ho visto.
E poi c’è lui, mr. Wu Ming 4.
Ora, un attimo di attenzione, prego.
Chi mi legge da un po’ sa perfettamente che tipo di ammirazione nutra per il collettivo bolognese.
L’ho scritto ovunque, persino nel mio libro: senza i Wu Ming, Genna ed Evangelisti, io non avrei nemmeno pensato di fare questo mestiere.
Ora, però, con Genna ed Evangelisti l’empasse del vis à vis è stato minore: in rete circolavano foto loro. E da qualche parte si potevano recuperare anche dei clip audio.
Una mezza idea di chi mi sarei – fisicamente – trovato davanti me l’ero fatta.
Coi Wu Ming, you know, la cosa non è possibile. Non si fanno fotografare e, se pure ogni tanto capita di sentirli alla radio, è difficile immaginarsi una faccia col solo ausilio della voce.
Bene, io non posso dire nulla dei numeri 1,2,3 e 5 del collettivo bolognese, dal momento che non li ho mai incontrati. Ma per quanto riguarda Federico, vi posso assicurare che vale quello che dice Guccini a proposito del macchinista ferroviere della Locomotiva: “gli eroi son tutti giovani e belli”.
Federico Guglielmo è alto, bello e preparatissimo.
E se ora sta leggendo queste righe, ci metto dei soldi che mi sta dando del busone.
Credetemi, è davvero così (nel senso che lui è un bell’uomo, non che io sono un busone. Eccheccazzo!)
A testimonianza del fatto, il nugolo di lettrici e fan che l’hanno circondato non appena si son spenti i microfoni.
Durante la presentazione si parla di New Italian Epic, di mitopoiesi, di eroi caduti.
Io chiedo se si sia reso conto del percorso compiuto da Q a Stella del mattino, dell’evoluzione della mitologia wuminghiana, e Federico mi risponde che il concetto stesso di eroe è cambiato in nove anni e molte pagine.
Il capitano Gert dal Pozzo era, bene o male, il last man standing degli hard-boiled, dei western. Lawrence, in SdM, è qualcosa di più, qualcos’altro. Non è solo un sopravvissuto. Finisce per diventare persino l’antagonista di se stesso. Del proprio mito.
Io intasco la risposta e penso che questi ragazzi hanno davvero lasciato il segno nella storia della letteratura.
A bocce ferme agguanto una birra, mi metto diligentemente in coda per scroccare l’autografo e dono a WM4 i primi due numeri di UWS.
Lo spaccio di UWS prosegue: uno a Crovi, uno a Antonio, uno agli 01.org… Finiti! In un battibaleno.
Ancora qualche minuto di cazzeggio (una chiamata a casa alla mogliettina e un’altra al mio amico Luca, che ha dato buca alla serata ma è giustificato: è uscito con una bella ragazza. Ubi maior…) e poi si va a cena.
Ci si ritrova tra pochi intimi. Stesso ristorante dell’altra volta (in zona conosciamo solo quello), formazione leggermente mutata: Genna, Bertante e WM4 tre punte assolute, Eva (un’amica di Alessandro e Giuseppe) a centrocampo; il Sarassone tra i pali.
Pizza al crudo, birra media, caffè e grappa.
Atmosfera rilassatissima e discorsi da paura: ancora si tira in mezzo il NIE (giustamente), si discute di Nancy Nicholson, del romanzo di Lucarelli (che si chiamerebbe L’ottava vibrazione, ma che tutti iniziano a chiamare La quinta vibrazione vai a sapere perché. E La quinta vibrazione rimane…) e di Al diavul.
E più ascolto quello che hanno da dire i ragazzi, più mi rendo conto di che libro della Madonna abbia scritto Bertante.
A proposito, leggetelo. Che poi ne parliamo.
Conto, sigaretta, abbracci e strette di mano.
Sono le undici e mezza, gli 01.org chiamano sul cellulare di Federico: “Abbiamo appena buttato la pasta. Siamo da amici, ci raggiungete?”.
WM4 sorride: “Gli artisti…”
Non ho idea se il gruppo vada a farsi lo spago di mezzanotte; io monto sul metrò e prima dell’una e venti sono a casa.
Felice come una Pasqua.
Un’ombra di tristezza mi attraversa quando lumo la mia macchinina abbandonata nel parcheggio temporaneo.
Mi avran fatto la multa. Di fisso.
Beh, chi se ne frega? È stata una serata magnifica.
Arrivo trafelato allo sportello: spizzo il lunotto anteriore, quello posteriore.
Nisba. Nada. Niente di niente.
I vigili mi hanno graziato.
Davvero una serata speciale.
Una di quelle che non ti scordi più.