lunedì 22 dicembre 2008
Saluti e baci: il Sarassone stacca fino all'anno nuovo
Signore e signori,
ci siamo. E' con orgoglio e un pizzico di sollievo che vi comunico la fine della stesura di SETTANTA.
Proprio ieri ho messo la parola fine al mio nuovo romanzo.
Ora inizierà la girandola delle revisioni, l'attesa spasmodica delle bozze, l'ultimo chilometro alla ricerca del refuso fuggiasco, ma senza dubbio alcuno posso affermare che il più è fatto.
Dopo quasi due anni di lavoro, il bimbo è venuto al mondo. O meglio, è stato concepito. Per venire al mondo ci vorranno altri sei mesi. Se tutto va bene, per giugno dovreste trovarlo sui vostri scaffali, pronto pronto per farvi compagnia durante le vacanze estive.
Certo che parlare di vacanze al mare il secondo giorno d'inverno, col Natale alle porte, sembra proprio assurdo. Forse sarebbe più appropriato fare i proverbiali auguri delle feste, esclamare qualche frase di rito, tipo: "BUONA FINE E BUON PRINCIPIO", cose così.
Siccome io non me la cavo granchè con gli auguri, preferisco lasciar la parola a chi sa come si fa. E dunque vi rigiro prontamente la cartolina natalizia (barbaramente ridicola) che lo staff grafico di UWS ha realizzato per i suoi lettori. Uno Sterling decisamente diverso dal solito, pronto a dispensare i doni di sempre.
Come suggerisce il titolo di questo post, il vostro scrittore over 100 preferito staccherà la spina per un po'. Dopo il tour de force della volata finale di SETTANTA, ho bisogno di qualche giorno per tirare il fiato.
Non per riposare, ben inteso, che per quello c'è tempo dopo morti, ma per riorganizzare le idee e mettere in cantiere nuovi progetti (ce ne sono parecchie di cose che bollono in pentola).
Nel salutarvi e abbracciarvi, vi lascio un ultimo consiglio letterario, un'idea regalo per i ritardatari.
Quest'anno, come ogni anno, ho letto parecchi romanzi; verso la fine di dicembre è mia abitudine chiedermi quale sia il libro che ha lasciato il segno, che mi ha emozionato di più; il romanzo migliore dell'anno insomma.
Al ballottaggio erano arrivati testa a testa AL DIAVUL e IL TEMPO INFRANTO ma, sul filo di lana, un autentivo gioiello li ha superati.
Si tratta di WORLD WAR Z - LA GUERRA MONDIALE DEGLI ZOMBI, di Max Brooks.
Il libro apocalittico più straordinario che mi sia mai capitato di leggere.
Nessuna cronaca della fine ha mai scavato così in profondità.
WWZ è il libro dell'anno. E la cosa fa sorridere perchè è uscito due anni fa.
Regalatelo, leggetelo, rileggetelo.
E' il romanzo che tutti gli amanti della Storia dovrebbero avere sul comodino.
Buone feste e buone letture.
Ci si vede nel 2009
martedì 16 dicembre 2008
Sorprese di Natale: Turkemar potrebbe diventare una fiction
Turkemar, il mio primo (mezzo) romanzo, uscito per la ruspante Effequ Editrice, potrebbe diventare una fiction in due puntate. Insomma, l'anno venturo potrebbe capitarvi, facendo zapping una sera qualunque, di scorgere il "mio" Buscaglione in TV.
Per il momento non c'è nulla di certo, a parte un'opzione sui diritti cinematografici dell'opera, firmata di fresco con la casa di produzione CIAO RAGAZZI di Claudia Mori (la stessa production house che, per intenderci, l'anno passato realizzò la fiction su Rino Gaetano), ma i produttori si dicono sinceramente interessati a trasformare il mio libro in celluloide.
Staremo a vedere. Per il momento attendiamo e incrociamo le dita.
E sorridiamo: siamo davvero felici.
Questo è davvero un bel regalo di Natale.
Per ulteriori approfondimenti, vi rimando al sito Effequ.
lunedì 1 dicembre 2008
Consigli letterari prenatalizi
oramai è ufficiale: siamo sotto le feste. L'ho spiegato oggi a scuola inaugurando la pagina di dicembre sul calendario, me ne sono accorto ieri dalla quantità di luci, lucine, festoni e gente impazzita per le vie del centro.
Natale arriverà tra poco e parecchi di voi, nel giro di qualche giorno, si troveranno gomito a gomito coi propri simili, stipati dentro una libreria a leggiucchiare, scegliere e farsi impacchettare volumi da regalare. Per evitare la ressa dell'utlimo minuto e per facilitare gli indecisi, mi permetto un paio di consigli libreschi.
Libri letti recentemente e libri non ancora letti che mi piacerebbe trovare sotto l'albero (chi ha orecchie per intendere, intenda...)
IL TEMPO INFRANTO, di Patrick Fogli, è un romanzo davvero straordinario. E' la miglior narrazione che sia mai stata costruita intorno alla strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Ed è il libro che, a mio modesto parere, è candidato ad aggiudicarsi lo Scerbanenco 2009 (è uscito troppo tardi per concorrere quest'anno). Dirò di più: allo stato attuale delle uscite in libreria è il romanzo che si merita lo Scerbanenco 2009.
Faccio notare che, se tutto andrà come deve, dovrei concorrere anch'io per lo stesso premio l'anno prossimo (visto che Settanta dovrebbe uscire a giugno 2009). Tanto per dire quanto m'è piaciuto.
MANUALE DI SOPRAVVIVENZA DEL PADRE CONTEMPORANEO di Gianni Biondillo e Severino Colombo è il libro che tutti i neo padri dovrebbero avere sul comodino. La cosa vale anche per coloro che hanno semplicemente intenzione di metter al mondo (prima o poi) una creatura. E' un libro straordinario e spassosissimo. E' il Biondillo migliore, quello che sa far sorridere e pensare.
Assolutamente imperdibile.
ITALIA DE PROFUNDIS di Giuseppe Genna l'ho comprato a Cuneo in occasione del convegno sul NIE. E' lì sul terzo ripiano della libreria, che mi fissa. E tra poco cederò alle lusinghe.
Mi sento di consigliarlo a scatola chiusa, specie se avete amato il DIES IRAE e MEDIUM.
Genna è come il vino: invecchiando migliora.
LA TERZA META' di Guglielmo Pispisa è proprio accanto al libro di Giuseppe. Ho letto giusto una decina di pagine e la prosa mi ha completamente rapito. E' una storia di spie, di brigatismo, di servizi deviati, di infiltrati. Ma soprattutto è la straziante, geniale, bellissima storia di un padre e un figlio che si ritrovano, loro malgrado, a fare "più o meno" lo stesso mestiere.
E a smarrire completamente il confine tra bene e male.
WORLD WAR Z di Max Brooks è un libro che voglio leggere da mesi e che da qualche settimana ho ordinato al mio libraio di (s)fiducia. Al momento senza esito alcuno. Poi te la menano con la storia che IBS ammazza le piccole librerie, etc. etc. Se l'avessi richiesto su IBS, mannaggia, non sarei ancora qua a sfregarmi le mani.
Polemiche librarie a parte, pare sia un romanzo veramente straordinario. La guerra mondiale degli zombie. Non vi dico altro.
Procuratevelo (tramite internet...;-))
Ora, guardo la mia wishlist su anobii e scorpo che ci sono un sacco di libri che desiderei ardentemente possedere ma che per un motivo o nell'altro non sono ancora riuscito a procurarmi.
Vediamo di fare una selezione dalla lista:
NAVI A PERDERE di Lucarelli, CON LA FACCIA DI CERA di Girolamo De Michele, L'ULTIMO GIORNO FELICE di Avoledo, tutti VERDENERO. La collana di Legambiente sta crescendo di libro in libro. Si candida a diventare la "collana perfetta".
L'INVERNO DI FRANKIE MACHINE di Winslow pare sia splendido. Ne ho parlato a lungo con l'amico Paolino Roversi e se n'è detto entusiasta. Mi ha messo addosso una voglia di leggerlo che la metà basta.
Se proprio siete in vena di spese folli e volete farvi un super regalo, è uscita da un po' la super edizione della Planeta di WATCHMEN di Alan Moore. Un gioiello, semplicemente.
Il mio socio Daniele me l'ha comprata a Lucca e la conserva gelosamente nel suo studio da più di un mese. Non vedo l'ora di metterci le zampe sopra.
In chiusura, un consiglio per gli acquisti in dvd. E' uscita l'edizione in doppio disco de IL DIVO.
Assolutamente strepitosa. Acchiapatela, prima che finisca.
Fine dei consigli per gli acquisti.
Buone spese.
Prima o poi, ve lo giuro, vi racconto la storia di Sepulveda e di Cuneo...
Magari come regalo di Natale...;-)
lunedì 24 novembre 2008
Una mia intervista su RUMORI DI FONDO, il blog di Sergio Paoli
Da un po' di tempo a questa parte, il suo passatempo preferito è intervistare scrittori (più o meno) di genere.
Le sue interviste, curate, acute, mai banali, stanno diventando un vero must.
Recentemente sono cascato anch'io nella sua rete.
Quello che ci siamo detti è qui.
Buona lettura.
sabato 22 novembre 2008
Sepulveda, il New Italian Epic e la cucina novarese
Per ora accontentatevi di un breve riassunto.
Seguiranno dettagli.
In breve:
Ho conosciuto Sepulveda (è un uomo meraviglioso), ho visto per la prima volta Cuneo (che è proprio una gran bella cittadina. Se aggiungi che a Cuneo, quando l'ho vista for the very first time, c'era pure il Big Show di Scurati, Genna, WM1 e 2, Lucarelli, Muratori e Gervasini... devi proprio lasciarmi stare!) e mi sono strafogato di polenta, fidighin e stufato d'asino con l'amico scrittore (e parrucchiere) Gianluca Mercadante.
Di più, al momento, non è dato comunicare.
Ma vi racconterò per filo e per segno, non temete...
giovedì 20 novembre 2008
Nuovo, epico e italiano: l'apocalisse formato NIE
venerdì 7 novembre 2008
La morte fra la piazza e la stazione
Questo è un libro piuttosto interessante per diversi motivi.
Basta dare un'occhiata all'indice per rendersene conto.
Buona lettura.
mercoledì 5 novembre 2008
Yes We Can...
Non ci credevo.
Non ci credo ancora, ma è successo.
Ci speravo con tutto il cuore, ma davvero non ci credevo.
Stamane, quando ho visto il discorso di insediamento, c'è scappata pure la lacrimuccia.
E' l'alba di un giorno nuovo.
Ora sì che posso prenotare i biglietti per New York.
Credo che andrò oggi stesso.
Si può fare. davvero, si può fare...
Obama rocks.
martedì 4 novembre 2008
Se mai torni
Signore e signori, finalmente riemergo dal mio silenzio radio.
Le cose vanno un po’ meglio, in termini di pressione lavorativa.
Tuttavia, a spingermi di fronte alla tastiera, non è solo il lavoro in calo ma soprattutto la lunga serie di festosi eventi occorsi nell’ultimo mese.
Queste settimane sono state così memorabili che raccontarle non è solo vezzo, è necessità.
Ci vuole un post, un contatto, un segno di vita.
Un resoconto da un centinaio di righe, per rassicurarvi sul fatto che sono vivo e lotto con voi (come si dice) e che se mi sono negato così a lungo è solo perché il richiamo delle storie è forte e non può essere ignorato.
Iniziamo con la questione spinosa: che hai fatto pe’ sto mese – mese e mezzo che nun te s’è visto?
Come sapete, non ne posso parlare esplicitamente, ma non posso nemmeno continuare a trincerarmi dietro un silenzio che inizia ad apparire ridicolo.
Ho scritto una sceneggiatura.
Ci sono affondato per quasi due mesi, senza respirare altro.
Questo è quanto, non chiedetemi di più.
Dice: ma allora vedremo qualcosa di tuo sullo schermo?
Sì.
Una storia con alcuni dei miei personaggi è attualmente in produzione. Su quale schermo la vedrete e soprattutto quando, non è dato sapere.
Almeno per il momento.
Lo so, non è molto, ma spero possa placare la curiosità dei molti affezionati che mi hanno subissato di mail (mail graditissime, ben inteso) durante la mia astinenza dal web.
Fa sempre piacere quando manchi a qualcuno.
E non potergli dire dove sei sparito è una cosa antipatica.
Spero, con queste poche sparute informazioni, di aver “giustificato” la mia assenza, proprio come si faceva a scuola.
Chiusa la parentesi “ma dove cazzo eri finito?”, apriamo quella “attività collaterali”.
In questo periodo di iperlavoro, dove tutto il giorno – tutti i giorni, week end compresi – erano dedicati al vis à vis con la tastiera, capitava spesso che le serate non fossero utilizzate per il semplice riposo.
Ogni tanto, addirittura, scappavano pure quarantotto ore di semilibertà.
E allora pareva naturale inforcare l’ottima Modus e correre là dove si parla di libri.
Le ultime due settimane sono state fittissime.
Ho conosciuto e rivisto con immenso piacere un gran numero di colleghi; ogni volta si è trattato di un’occasione speciale.
Ma andiamo con ordine.
Domenica 19 ottobre, al Villaggio del Libro di Frassineto Po, dietro il microfono c’erano due pezzi da novanta: Gianni Biondillo e Patrick Fogli.
La giornata, per il sottoscritto, era vagamente critica, visto che io e la mia mogliettina la sera precedente avevamo festeggiato il sopraggiungere dei trent’anni con una maxi party stile “festa delle medie”.
Siccome sessanta persone eran dure da far entrare nella modesta magione Sarasso, abbiamo affittato per l’occasione la Casa del Popolo di Romentino (siamo entrambi veterocomunismi impenitenti…) e ci siamo dati alla pazza gioia con amici e parenti in mezzo a fiumi di spumante, bonarda, cedrata Tassoni e pasta aglio e olio.
Sabato sera memorabile e domenica passata a pulire il macello lasciato la sera prima.
L’incontro di Frassineto cascava proprio in mezzo al più bello della pulizia, ma la mia dolce metà mi concede un paio d’ore di libera uscita; così ecco che volo dai compadres nel casalese.
La lecture è stata memorabile: Gianni e Patrick dal vivo fanno scintille e durante lo show hanno regalato splendide chicche sul mestiere di scrivere.
Una su tutte, la storia della carta d’identità di Gianni Biondillo.
Un parossismo profetico: a diciotto anni, alla voce PROFESSIONE, il documento d’identità di Biondillo recava la dicitura SCRITTORE. Benché Gianni non avesse nemmeno mai pensato di mettere nero su bianco una sola riga.
Vezzo di gioventù. Vezzo divinatorio, a dirla tutta, perché qualche anno più tardi la profezia si sarebbe avverata.
Solo che, a quel punto, sulla carta d’identità – nel frattempo rinnovata più e più volte – la nomenclatura era mutata, perché Gianni, nel frattempo, era diventato l’architetto Biondillo.
E oggi, che Biondillo di libri ne ha scritti più o meno una decina, su quel documento c’è scritto ARCHITETTO.
Poi dici il destino…
La giornata monferrina finisce a chiacchiere, moscato e krumiri.
Si parla di NIE e di vino.
Di trasferte e di magnate colossali.
Baci e abbracci coi colleghi, la promessa di rivedersi presto. E via di corsa dalla mia mogliettina a raccattar cartacce, bottiglie e resti di palloncini e festoni.
Fino a notte fonda.
Passano pochi giorni, e nella mia città si inaugura il festival Scrittori & Giovani.
Autori di acclarata fama calano nella nebbiosa terra del riso a raccontarsi e a incontrare i ragazzi delle scuole.
Il 25 ottobre arriva anche Paolo Giordano.
Ora, su Giordano si sono spesi fiumi di inchiostro ma, anche parlando con colleghi ed amici nessuno ha mai risposto chiaramente alla domanda: “Ma gli scrittori rosicano perché un ragazzo così giovane ha vinto lo Strega?”
Io non so come la vedano i miei colleghi. Per quanto mi riguarda rosico da morire.
Suvvia, è normale, se si fa questo mestiere, immaginarsi al suo posto. Sotto i riflettori, con i giornalisti alla porta…
E rosicare è un attimo.
Se si volessero fare le cose per bene, bisognerebbe pure odiarlo questo enfant prodige.
Trovarlo antipatico.
Imputargli dei terribili difetti di modo da farsi una ragione: lui ha vinto lo Strega e io no ma guarda com’è gobbo... (tanto per dire)
Specie perché, quando c’è un suo live, sembra di stare al concerto dei Duran Duran nell’87.
Stuoli di ragazzine urlanti e adoranti. Mamme delle ragazzine in visibilio e addirittura qualche nonna e diverse attempate maestre di scuola elementare con gli occhi lucidi.
Uno che fa quell’effetto lì e fa il tuo stesso mestiere tocca odiarlo per forza.
E qui viene la parte difficile.
Vedendo en vive Paolo, ho scoperto come sia praticamente impossibile volergli male.
Perfetto, pacato, timido. Risponde alle domande senza fretta e con grande intelligenza. Mai sopra le righe.
Ma un conto è l’empatia e un conto è la stima.
Voglio dire: ok, è simpatico, bello, di successo, per niente sbruffone, ma sarà un po’ inesperto. Dimostrerà delle ingenuità in campo narrativo…
Seeee magari…
Ora, intendiamoci bene: il suo libro, per quanto mi guarda, non è perfetto. Anzi.
I primi due capitoli sono una bomba, poi la storia va per fatti suoi. Funziona ma va per fatti suoi.
Questo non significa che Paolo non ne sia conscio.
In quasi due ore di conferenza ha raccontato per filo e per segno i difetti del romanzo. Ha preso la sua creatura, l’ha maltrattata, sezionata, esposta al pubblico come si fa coi cadaveri in camera autoptica.
Parlando di narrazione ha raccontato di direzioni in cui, onestamente, non avevo mai guardato.
È stato semplice, incisivo.
Onesto.
Forse un po’ sottotono nell’incontro del pomeriggio, ma provateci voi a spararvi tre presentazioni al giorno per sei mesi.
Il sottoscritto, affetto da cronico bradipismo (se il sabato salto la pennica, il lunedì mi devono raccogliere col cucchiaino), crollerebbe dopo la prima settimana.
Insomma: da lettore non ho particolarmente amato LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI. Da narratore non imbastirei mai nero su bianco una storia del genere e da scrittore neo trentenne mi brucia assai che un ventiseienne al primo libro vinca lo Strega.
Eppure…
Eppure credo fermamente che Paolo Giordano sia una gran bella persona. Un professionista coi baffi.
E che meriti il successo che ha.
C’è una vita, davanti, per affilare gli strumenti.
E niente mi leva dalla testa che Giordano diventerà (non lo è ancora, a mio modestissimo parere. Ma ricordate che io son quello che vende cinquemila copie cacate e lui un milione…) un raccontastorie di razza.
Che palle questi scrittori di talento.
Ti fanno persino passare la voglia di rosicare come si deve.
Da Giordano a Trevi il passo non è così breve.
Giordano è di Torino e Trevi sta in Umbria.
Apparentemente non hanno una mazza in comune.
Se non che Giordano è uno scrittore. E di scrittori – scrittori neri, a questo giro – la piccola cittadina umbra si è letteralmente riempita durante lo scorso week-end.
Lasciatemi dire subito che quella di Trevi – secondo la mia attuale esperienza di uscite letterarie – è stata la più bella trasferta che abbia mai fatto. Non me ne vogliano gli ospiti precedenti, ma in quel delizioso borgo tra tra Foligno e Spello si è creata un’alchimia particolare. Per suffragare la pesantezza di cotanta affermazione, andrò ad esplicare per filo e per segno com’è andata.
All’alba di sabato io e la mia mogliettina ci alziamo e ci prepariamo con tutti i crismi per il lungo viaggio.
Notte difficile, quasi insonne, quella precedente.
Incubi terrificanti (ma piuttosto classici: mostri e pupazzi animati che m’inseguono per farmi a brandelli…) mi svegliano ogni paio d’ore.
Io, che di solito dormo come un sasso del deserto del Gobi, rimango inizialmente stupito. Dopodiché faccio caso al calendario e soprattutto al menu della sera precedente.
31 ottobre: notte di Halloween.
Con annessa cena dagli suoceri: panissa, coniglio al forno, torta al cioccolato e bottiglia di Montapulciano d’Abruzzo (accompagnato da un paio di Ballantines).
Poi non lamentiamoci dei brutti sogni…
Se mi fossi coricato con una pastina in brodo e un kiwi (come mia nonna, peraltro, fa da sedici anni) chissà se avrei avuto paura di Freddie Krueger?
Ad ogni buon conto, via che si va che la strada è lunga.
Sei ore di macchina, De Gregori nello stereo e vestiti pesanti indosso.
Panino striminzito in autogrill, arrivo al pelo alle 14.30.
Valigie posate in albergo, breve squillo a Mike Jacobs (il Micheal del duo Micheal Gregorio, organizzatori e veri deus ex machina dell’evento) e un paio di foto a immortalare la splendida cittadina.
L’evento delle 15.00, al quale partecipo insieme a Guglielmo Pispisa – che presenta il suo LA TERZA META’, nuovo di zecca – parte in perfetto orario. Si dicono cose interessanti sulle BR (vecchie e nuove) e sui Servizi.
Il pubblico è reattivo come non mai e interviene con domande toste.
La migliore, tuttavia, proviene da una attempata e smarrita signora inglese che si alza educatamente e in un italiano perfetto, appena screziato dell’accento di York, chiede: “Scusate… scusate… Ora io ho sentito tutti questi cosi e tutti questi libri… e agenti secreti, per carità… molto, molto interessanti… ma io venuta qua per visita guidata e adesso… adesso io chiedeva: chi mi riporta a BUS?”
Risate fragorose, applausi.
Micheal Jacob si alza commosso dal palco, abbandona il convegno e porta la smarrita signora al “BUS”.
Seguono altri applausi per il gesto e già s’intuisce che sarà un week-end indimenticabile.
Finita la lecture è tardi per il pranzo e presto per la cena. Ci scappa prima un caffè con Pasquale Guerra, splendido padrone di casa, e poi un paio di birre (ma anche tre) con gli amici.
Intorno al tavolo ci siamo io e la mia mogliettina insieme ai quattro KAI ZEN (di cui uno, Guglielmo, con sposa – la straordinaria Germana – al seguito), il mio boss Jacopo De Michelis e Alessandra Buccheri di Angolo Nero. Dopo un po’ si unisce anche Patrick Fogli, appena arrivato in quel di Trevi e in attesa – come noialtri del resto – dell’ora delle gambe sotto il tavolo.
Ci si aspetterebbero colte discussioni sullo stato del noir italiano. Invece l’aria è cazzara, ma cazzara parecchio, e si ridacchia di serie tv e gite scolastiche.
Arriva il tanto sospirata pappa-time e ci si incunea tutti verso l’antro di Gustavo.
All’entrata abbiamo persino qualche difficoltà: Gustavo non credo si attendesse tutta questa gente e gli tocca tirar fuori tavolini e tavolini per metterci tutti seduti.
Al nostro tavolo metà dei KAI ZEN (Guglielmo e Bruno), dietro le nostre spalle l’altra metà (Jadel e Aldo), seduta con Michele Serra e sua moglie, Giovanna Zucconi.
Ora, noi si vorrebbe pure origliare che si dicono giovani scrittori di successo e giornalisti di chiara fama, ma Bruno si mette a raccontare di quella volta che il suo tatuatore gli incise un bassorilievo su una spalla, o quell’altra che, a non so più che centro sociale, fresco di piercing al naso, si beccò una legna sul naso durante il pogo (o forse una rissa. Vorrei essere più preciso, ma l’acool scorreva a fiumi durante il racconto e qualcosa può non essersi fissato chiaramente nelle memoria…).
Risate, risate, risate.
Si mangia divinamente da Gustavo, anche se le porzioni non sono proprio king size (epocale Patrick, fuori dal locale: “Tutto buonissimo! Adesso andiamo a farci due spaghetti?”).
Il rosso antico scorre a fiumi e si conclude con la grappetta di rito.
A quel punto saremmo tutti cotti e pronti per il paglione, ma il richiamo della compagnia e del bicchiere della staffa è troppo forte.
Ultimo giro di bevute al baruccio in piazza.
In sottofondo un’inquietante musica anni Ottanta (le ragazze riconoscono ogni pezzo dopo pochi secondi, potrebbero umiliare Coccinella di Sarabanda) e ancora un profluvio di aneddoti e minchiate stratosferiche.
Stiamo bene, davvero bene.
Ci salutiamo controvoglia.
La mattina dopo occhiali da sole, cerchio alla testa e cappuccio per tutti. All’alba delle dieci e mezzo.
Un’ora dopo, big show dei KAI ZEN (big show davvero: Jadel in occhiali da sole a parlare di nichilismo e Mao Tse) e poi vai di pranzo a base di salumi e formaggi.
All’alba delle tre, con grande rammarico, ci si saluta tutti.
Prima di andar via, però, l’ultima perla.
Daniela (Gregorio, la padrona di casa) si ferma un attimo con noi a chiacchierare e io le chiedo di un famoso aneddoto che li riguarda. Apparve un po’ di tempo fa su Vanity Fair: l’intervistatrice le chiese – siccome Daniela, prima di scrivere, ha sempre fatto l’insegnante e ancora insegna, seppur part-time – come reagissero i suoi allievi ed ex allievi al suo successo letterario.
Daniela e Mike, coi loro gialli storici (CRITICA DELLA RAGION CRIMINALE e I GIORNI DELL’ESPIAZIONE) hanno davvero cambiato il modo di raccontare il delitto, mettendo addirittura in gioco Kant nella parte di investigatore. Sono diventati un vero e proprio caso letterario e dunque è naturale chiedersi quale sia stata la reazione dei loro studenti (anche Mike insegna) a cotanto successo.
“Mo’ te la mostro io la reazione…” dice Daniela, e tira fuori il cellulare.
Un messaggio anonimo, mandato da un genio del male, recita così:
IMMANUEL KANT GRANDISSIMO ROTTO IN CULO
E PURE GOBBO.
LIONELLO GAY
VIVA LA FICA.
Ora, converrete anche voi che la domanda sorge spontanea: “Chi è Lionello?”
“Il gatto di casa… porello….”, mi informa mestamente Daniela.
Dispensando solidarietà per il misero felino oggetto di discriminazione, io e la mia dolce metà guadagnamo la via del ritorno.
Altre sei ore (fai sette, va) di macchina e poi casa. Pappa e nanna.
L’indomani (che poi era ieri), ultimo atto di una lunga maratona letteraria.
Live in Novara di Lucrezia Lerro. Presentazione alle 18.00. A cui segue aperitivo e cena con l’autrice (io e mia moglie diventeremo dei bidoni, se continuiamo a strafogarci a questo ritmo…) e altri amici, tra cui l’inossidabile Luca Ottolenghi di Rolling Stones, Roberto di Interlinea e una giovanissima scrittrice di talento, Giulia Carcasi.
A cena le ragazze mangiucchiano ma non esagerano. Noi maschietti ci diamo giù di brutto, specie col vino e i salumi.
Al punto che, a dirla proprio tutta, alla fine non ricordo bene se si è parlato di New Italian Epic, di cotoletta coi funghi, di Erri de Luca o di Maurizio Costanzo.
Ma sono piuttosto sicuro che Maurizio Costanzo sia venuto fuori.
In sempiterna memoria della serata rimangono due insostituibili concetti, emersi dalle svariate ore di libagioni e conversazione:
- Roma e Milano sono diverse (ma và?)
- Costanzo lavora anche il week end (così pare…)
In chiusura mi pare di rammentare di aver chiesto a Lucrezia di aggiungere al messaggio che stava mandando a Scurati che “IO QUELL’UOMO LO VOGLIO BENE” (il che è la sacrosanta verità, peraltro…) .
Scurati, signorile e impeccabile come sempre, ha ringraziato via sms, pur (giustamente) stupito dell’inusitato slancio emotivo.
Per chi non potesse farne a meno, esistono testimonianze della due giorni umbra.
Le trovate qui.
venerdì 31 ottobre 2008
Domattina si va a Trevi...
Domattina presto parto e vado in Umbria.
Precisamente qui, a TREVI NOIR.
Ci saranno un sacco di amici e di gente interessante.
Tanto per non fare nomi: KAI ZEN, MICHEAL GREGORIO, JACOPO DE MICHELIS....
Mi sa che ce la spasseremo.
Se capitate da quelle parti...
Io parlo alle 15.00 (se ce la faccio ad arrivare per le 15.000...;-)) insieme a Guglielmo Pispisa a Piazza Garibaldi.
Quando torno vi racconto com'è andata.
E già che ci sono faccio un po' il riassunto di questo terribile periodo di latitanza.
Ne sono quasi fuori. Quasi...
domenica 26 ottobre 2008
IL DIVORATORE
Comprate questo libro.
E' una bomba atomica. Parola di Valerio Evangelisti (che ha pure scritto la prefazione).
giovedì 23 ottobre 2008
giovedì 16 ottobre 2008
Paolo Roversi per UWS: un racconto inedito
L'amico Paolo Roversi mi ha fatto un gran regalo (d'altronde, il mio compleanno si avvicina...).
Ha scritto LA LIBERAZIONE DI CAPO DI PONTE EMILIA, uno splendido spin-off di UWS.
Potete leggerlo qui.
Godetevelo. E' una chicca.
giovedì 9 ottobre 2008
Amici, lettori, compatrioti...
...post brevissimo per chiedere scusa a coloro che non hanno ricevuto risposta alcuna alle mail inviate in questi giorni.
E' un periodo che definire di fuoco sarebbe un puro eufemismo: il lavoro "top secret" mi sta assorbendo come pochi e non ho nemmeno il proverbiale minuto libero che occuparmi della normale corrispondenza.
Vi chiedo, pertanto, di avere PAZIENZA.
Un mesetto ancora, e dovrei essere fuori dal tunnel.
A novembre inoltrato, promessa solenne, riprenderò le fila di tutti i discorsi lasciati in sospeso con amici, lettori e colleghi.
Se vi può consolare, sappiate che, come sempre, qui si lavora per voi.
Se tutto andrà come si deve, l'anno prossimo inizerà col botto.
Come dicono quelli che conscono gli idiomi,
Thanks for your patience...
lunedì 6 ottobre 2008
ACTA NON VERBA
E' arrivato.
Ed è un missile. Trentadue pagine di adrenalina, scontri a fuoco, e dialoghi taglienti come la lama di un rasoio.
Lo trovate qui.
domenica 5 ottobre 2008
Polaroid
Leggete questo libro, datemi retta.
E' una staffilata al cuore.
E' uno di quelli che ti rimane addosso anche dopo averlo chiuso.
venerdì 3 ottobre 2008
Taccuino di una sbronza su Carmilla
Qui.
martedì 30 settembre 2008
venerdì 26 settembre 2008
Wu Ming 1 + New Italian Epic live in Milan: Sarassone was there (e ci mancherebbe pure...)
Martedì cenaccia di lavoro, ieri sera il big show del maestro bolognese e domani via che si parte per Treviso alla volta di Fumetti in TV, manifestazione di cui io e il prode Rudoni saremo ospiti per tutto il week end.
Ma veniamo a noi, e focalizziamo l'attenzione sulla splendida serata di ieri per il consueto resoconto cultural-mangereccio.
All'Informagiovani di via Dogana 2 (a due passi dal Duomo) WM1 a.k.a Roberto Bui presenta la versione 2.0 del memorandum sul New Italian Epic.
Appuntamento alle 18.30.
Alle 16.30 il sottoscritto è ancora in quel di Novara, alle prese con pargoli vocianti e sfiancati che chiedono a gran voce il magico trillo della campanella (a quanto ne so, gli alunni delle elementari sono gli unici veri fan della Gelmini e delle sue riforme contro il tempo pieno: passata l'ora di pranzo, sono tutti stremati dall'abbioco post-prandiale ed è praticamente impossibile svolgere qualunque attività didattica).
Un secondo dopo lo squillo rituale mi precipito alla vettura, mi scapicollo verso la stazione, agguanto con piratesca ferocia un parcheggio (lontanissimo, peraltro), corro al binario 4 e mi tuffo sul treno.
Nel frattempo, col fiatone e addosso una pletora di vestiti troppo pesanti per il clima torrido, faccio un colpo di telefono all'amico Luca Ottolenghi (giornalista di Rolling Stone, fido compagno delle trasferte milanesi) per ragguagliarlo sull'ora del mio arrivo nella capitale meneghina.
Luca ha l'aria mesta, trentotto di febbre e un principio di mononucleosi: marca visita, come si dice.
Non ci sarà, ma si raccomanda di registrare per filo e per segno ogni dettaglio, e di raccontargli tutto al più presto.
"Sarà fatto", prometto.
Sul treno ci sono quaranta gradi, perchè Trenitalia ha la splendida idea di accendere il riscaldamento su tutte le carrozze. Il colpo d'occhio sulla folla accalcata nel vagone è strabiliate: canottiere, magliette a mezza manica, qualcuno - me lo dice l'espressione del viso, affranta - se potesse si metterbbe a torso nudo.
Sembra di stare a Ostia.
Io, che di mio son freddoloso, rimango in camicia e leggo avidamente L'ESTATE DEL CANE NERO di Francesco Carofiglio. Libro molto bello ma permeato da una tristezza infinita. Consigliatissimo, ma con un'avvertenza: leggetelo solo se siete di cuon umore.
Il convoglio attracca a Centrale, aiuto una signora calabrese a scaricare i bagagli e mi fiondo nella metro.
Quattro fermate e sono sul posto.
Sono arrivato prestino, ma vedo già qualche amico.
Giuseppe Genna, elegantissimo (as usual) e malaticcio. Prende antibiotici da qualche giorno, ma ci tiene a dirmi che non è più contagioso.
Di mio lo bacerei (lo bacio sempre volentieri) ma siccome domani devo partire e proprio non posso ammalarmi, gli stringo la mano.
Si chiacchiera allegramente di libri e serie TV, finché al gruppo non si aggiunge Antonio Talia, stella nascente di UWS ed economista di razza.
"Antò, fa caldo... Beviamoci una birra!"
Antonio non rifiuta, anzi paga lui (gran signore).
Birretta in mezzo alla calca, m'informo se Roberto sia già arrivato ma Giuseppe dice di no.
Cioè, è già a Milano, ma ancora in stazione. Alessandro (Bertante) è andato a prenderlo.
Si vocifera che pure Biondillo sia in arrivo ma poi non verrà. Peccato.
Finalmente il Wu Ming si rivela e la folla lo acclama.
Folla, fatevelo dire, delle grandi occasioni. Informagiovani stracolmo in ogni ordine di capienza.
Si comincia, e devo dire che ascoltare Roberto è un vero piacere.
Racconta al pubblico il contenuto del memorandum e i corto circuiti che stanno alla base della sua concezione. Quando finisce di parlare, fioccano interventi sapidi.
Apre le danze Valter Binaghi (credo. Dico credo perchè io ero accomodato nel loggione, non ho visto in faccia chi ha fatto al prima domanda, ma la voce mi sembrava la sua), seguono Bertante, Altieri e parecchi altri.
Si chiacchiera a lungo, si dicono cose importanti.
Quando è tutto finito avvicino Alessandro e gli pongo una domanda teorica fondamentale: "Se magna?"
Ale annuisce, e dopo una sigarettina, il gruppone si muove verso un bicchiere e del cibo.
Gli 01.org (Eva e Franco Mattes) si manifestano all'improvviso.
Baci, abbracci, chiacchiere.
Prima dicono che non vengono a bere con noi, e nemmeno a cena. Perchè son stanchi e hanno voglia di andare a casa.
In realtà mentono, perchè dieci minuti dopo averli salutati ci richiamano e ci raggiungono.
Ah! Gli artisti...
In piazza Duomo, in cammino verso l'aperitivo, discuto di scuola con Igino Domanin. Intanto penso che sia davvero un genio e che mi spiace vederlo una volta ogni morte di papa.
Ci si accomoda nel gustoso dehor e si ordinano Negroni a mazzi (Roberto no perchè non beve). Siamo la metà di mille, ma ancora più numeroso è il gruppo di Scout (erano Scout?) che in due minuti imballa il locale e comincia a intonare canzoni popolari di un'altra epoca, tipo Parlami d'amore Mariù.
Giuro.
Io ingollo la mia bevanda saporita e chicchiero con Roberto del futuro delle produzioni wuminghiane. Mi dice un sacco di cose interessanti che però - mannaggia - non posso rivelare. Dunque ciccia, cari lettori. Sappiate solo che ci sarà parecchia roba in ballo per l'anno che viene , l'officina bolognese sta lavorando alacremente per voi.
Giuseppe e Valter Binaghi conversano profondamente di teologia.
Franco degli 01.org è rapito dalle melodie scuotistiche.
Roberto non mangia la pasta al ragù perchè è vegetariano e dunque ha una fame della Madonna.
Antonio Scurati (impeccabile come sempre) gli legge negli occhi il buco allo stomaco, si alza e invita il gruppone a schiodarsi.
A quel punto butto un occhio all'orologio e mi rendo conto che son le dieci. Il che vuol dire che non ce la farò mai a prendere il treno delle dieci e un quarto e essere a casa per mezzanotte.
Mi toccherà quello della mezza, e un numero limitatissimo di ore di sonno.
Ma chissenefrega, la serata è spaziale.
Mentre ci alziamo, Valter Binaghi racconta l'episodio dei polli di Re Nudo al Parco Lambro.
Lui c'era. E ne ha scritto, credo.
Io gli dico che gliel'ho appena fregato per metterlo in SETTANTA.
Lui sorride, poi mi rifila un cazzottone sulla spalla.
Poi ride ancora. Mi ha già perdonato.
Fiuuu... meno male. Un altra botta del genere mi avrebbe compromesso la clavicola.
Altri due passi e finalmente a cena, in un posto lì vicino dove servono un risotto che levati.
Io, Roberto e gli 01.org non possiamo resitere alla specialità della casa, Bertante è in cerca di una milanese, ma quando sbircia il menu s'indigna.
Qui la fanno coi pomodorini e la rucola. "E i pomodorini e la rucola sulla milanese sono da socialisti".
Si ride di gusto, la ordina con patate.
Durante la cena sono parecchi i discorsi pregnanti che vengono fuori. Discussioni letterarie di alto livello, ma chissà perchè non ne ricordo nemmeno uno...
Nella memoria restano fissi argomenti minori, che esulano dal paludamento del narratore o dalla mimesi linguistica; uno su tutti: i film softcore degli anni Settanta.
C'è chi si ricorda i cinema a luci rosse e chi le cose spinte le guardava su Telereporter, la sera alle undici.
Poi tocca a tutti fare un nome di donna, quello dell'attrice che ha in assoluto sconvolto di più gli ormoni di una generazione.
Vince la Fenech, una spanna sopra le concorrenti.
Pausa sigaretta, la cena volge al termine.
Nel freddo di Via Ragazzi del '99 scopro una verità scottante.
Quando esco sono già tutti schierati con la paglia accesa e com'è come non è viene fuori che, dopo ognuna di queste serate, tutti i partecipanti hanno l'abitudine di venire a leggersi il resoconto su queste pagine.
Mamma mia, penso. E che diranno?
Alla fine, la microcronaca piace a tutti, piace sempre.
Addirittura Alessandro insiste perchè metta nel pezzo la questione dei pomodorini socialisti.
Prometto.
Ogni promessa è debito.
Prima di farmi inghiottire dalla metro e dal Milano-Torino in perfetto orario, chiedo pegno a WM1: mi sono portato dietro NEW THING apposta.
Lui abbranca il pennarellone (residuato bellico della scuola dell'infanzia) e verga una sentenza esemplare:
A SIMONE, REPORTER DELLA MOVIDA LETTERARIA MENGHINA.
Se lo dice il maestro...
Io ringrazio, bacio abbraccio e due ore dopo sono sotto le coperte.
Nemmeno sei ore dopo, fresco come una rosa, già al lavoro.
Ma ne è stravalsa la pena.
giovedì 25 settembre 2008
Video a manetta: libri in uscita e discussioni passate
Il primo è il booktrailer di POLAROID, una raccolta di racconti cazzuti quanto basta a firma Gianluca Mercadante. Di prossima uscita per LAS VEGAS EDIZIONI.
Il secondo è la maxiconferenza a cui ho partecipato recentemente ad Arezzo (Copyleft Festival) insieme a Bruno Fiorini (KAI ZEN), Serge Quadruppani e Antonella Beccaria.
Prima la presentazione del nuovo libro di Antonella, poi quattro chiacchiere tra amici su letteratura e sociale.
mercoledì 24 settembre 2008
venerdì 19 settembre 2008
Io ve lo dico....
...ma non mettetevi strane idee in testa. Settanta è finito.
Oggi ho posto la fatidica parola FINE al manoscritto del mio nuovo romanzo.
Il che NON significa che il romanzo sia veramente finito, nè che lo vedrete in libreria in tempi brevi.
C'è ancora un sacco di lavoro da fare. Misure da prendere, cose da aggiungere e da togliere, la lingua da rivedere e mille altre cosette.
Ora inizia il periodo più duro, quello del perfezionamento della creatura, della raffinazione del prodotto.
Davanti ci sono un sacco di mesi, prima di poter mettere finalmente un punto.
Prima di quel magico periodo che sta tra la consegna delle ultime bozze e il momento in cui il nuovo nato arriverà sugli scaffali delle librerie.
Come diceva quel genio di Celentano, il meno è fatto.
Ad ogni modo, volevo che lo sapeste.
Non chiedetemi quando uscirà, perchè non lo so davvero.
Dipende.
Dipende da un sacco di cose.
Comunque, la fase dove si butta il sangue è chiusa.
In allegato, quattro foto che ritraggono la mia postazione di lavoro, in condizioni da terremotato curdo dopo un anno e mezzo di impegno metodico e frenetico.
I fogli di Google Calendar sono pieni di rigacce nere.
A ogni riga corrisponde un paragrafo, più o meno.
Ogni giorno, per diciotto mesi, ho scritto un paragrafo (a volte due, a volte nessuno, a dire il vero). Quando il paragrafo era pronto, tracciavo una rigaccia sopra la voce che lo contraddistingueva nella mia agenda.
Il tempo delle rigacce è finito.
Se Dio vuole.
Ci tenevo foste i primi a saperlo.
domenica 14 settembre 2008
Il Sarassone (e il prode Maestro Rudoni) al Copyleft Festival di Arezzo: microcronaca di una due giorni sotto l'acqua
Trasferta faticosa ma molto piacevole.
Partenza alle otto di venerdì da quel di Novara, lotta greco romana contro l'acquazzone e l'asfalto non drenante fino ad Arezzo, con rapida sosta in Autogrill per Camogli d'ordinanza.
Arriviamo in centro e scopriamo che i parcheggi, nella ridente cittadina toscana, soffrono di una curiosa sindrome da deficienza affettiva. Al contrario degli altri posti macchina dello stivale, quelli aretini non gradiscono la consueta avvilente pratica del "paga quello che c'è da pagare, molla l'auto e vai pure a farti i fatti tuoi". Bisognosi d'attenzione, richiedono il rinnovo del ticket ogni due ore.
Vai tu a sapere perchè.
Dunque infiliamo le monetine, otteniamo lo scontrino e e facciamo ciao ciao agli spazi blu, con la tacita promessa di ritornare presto.
In piazza fa un caldo che sembra di essere in Africa, ma è solo uno specchietto per le allodole: non durerà.
Incontriamo Marco dell'organizzazione, ci accordiamo sull'ora della tavola rotonda e andiamo a fare due passi. Arezzo è bella, piena di turisti e di gente simpatica.
Dopo una birretta e un caffè, mi chiama Bruno dei KAI ZEN e mi dice di essere appena arrivato da Bologna.
Presenterà il libro UNO BIANCA TRAME NERE di Antonella Beccaria.
Anche Antonella è già sul posto: sono scesi assieme, in treno, dal capoluogo emiliano.
Bruno e Antonella sono fantastici: spassosi e molto preparati. Si chiacchiera finchè non è ora di andare in scena.
Mentre si chiacchiera, il tempo peggiora: addio presentazioni all'aperto. Il nubrifragio ci spinge all'interno della Camera di Commercio (credo fosse la Camera di Commercio, ma non ne sono del tutto sicuro...) e si aprono le danze.
Prima Marcello Baraghini, il patron di STAMPA ALTERNATIVA, presenta questo libro insieme al suo autore.
Il libro è molto interessante e Marcello è un vulcano. Lo ascolteresti per ore.
Poi è il momento dei fumettari in copyleft, ma confesso di essermi distratto un attimo, tra sigaretta, telefonate e ciance. Mea culpa.
Intanto arriva anche Serge Quadruppani, che deve partecipare insieme a me e Antonella alla tavola rotonda sul noir e la critica sociale.
Rientro e tocca a noi. Siccome s'è fatta una certa, decidiamo di accorpare la tavola rotonda e la presentazione del libro di Antonella in un unico evento.
Ne viene fuori una discussione da paura: si parla della Bologna dei Novanta e delle stragi ottantine, si scava sotto l'anima nera del paese, ci si scambia pareri sulle tecniche narrative.
Uno rimpianto: il pubblico. In platea poca gente (pochi ma molto buoni), per colpa del temporale infinito.
Si termina che è ora di cena e si trotta a passo spedito verso il circolo Arci Aurora, dove famelici e felici ci avventiamo su un'ottima pasta alla Checca, crostini assortiti, pizza fatta in casa e torta al cioccolato.
Vino e birra d'accompagnamento.
Si sta gran bene.
Verso le dieci, Antonella e Bruno scappano verso Bologna, Sege fila in albergo, io e Daniele pattugliamo il centro deserto alla ricerca di un whisky. Alla fine ce la facciamo, ma siamo zuppi, mannaggia.
Nessuno dei due è stato così lungimirante da portarsi un ombrello.
Verso mezzanotte l'organizzazione ci cerca al cellulare: "è ora della nanna - dicono - Vi si porta in foresteria".
Noi, mesti e da strizzare, la smettiamo di gozzovigliare e ci facciamo accompagnare.
Doccia, lungo sonno, lauta colazione al Bar degli Svizzeri (in realtà gestito da simpatici ragazzi rumeni) e di nuovo in centro, perchè Daniele deve disegnare la vetrina della libreria EDISON di piazza Risorgimento.
Mi piacerebbe postarvi una foto del disegno ma, a dirla tutta, non solo non ho avuto occasione di immortalarlo: manco l'ho visto.
Sempre per colpa del dannato biglietto del parcheggio, che vuol esser cambiato molto più sovente che il pannolino d'un neonato.
Morale: non solo faccio dei chilometri per rintracciare l'auto e sostituire l'odioso pezzo di carta, ma mi becco pure tutta la pioggia della Toscana.
Una volta arrivato in auto, mi cambio perchè sono marcio e alzo bandiera bianca (fuori dal finestrino, l'uragano).
Daniele mi raggiunge non appena spiove e si parte.
Al dinamico duo si aggiunge un compagno di viaggio: Francesco, operatore di ARCOIRIS (che ha ripreso tutto il festival), viaggiatore, persona meravigliosa.
Tra un pieno di benzina, centinaia di chilometri e qualche sosta panino, Francesco ci racconta dei suoi cinque mesi in India, del giro in moto sulla vetta più alta del mondo, della barba che si è tagliato da poco.
Noi, pasciuti stanziali di risaia, rosichiamo e stiamo a sentire.
Francesco lo lasciamo a Modena: ci si promette di risentirci presto.
Ancora un due orette e mezza ed è finalmente casa.
Distrutti ma soddisfatti.
Pizza a cena, nanna presto.
Oggi riposo e scrittura.
Domani ricomincia la scuola: occorrono tutte le energie possibili.
mercoledì 10 settembre 2008
Face Off - Giuseppe Genna vs Simone Sarasso
Su quel numero il vostro scrittore over 100 preferito ha intervistato uno dei suoi maestri: il signore del noir Giuseppe Genna.
Sul giornale cartaceo l'intervista è stata (giustamente) mozzata. In realtà quelle 4000 battute che potete leggere a p.11 non sono che il cuore di una ben più lunga conversazione, che ho il piacere di riproporvi per intero.
Buona lettura.
FACE OFF
Giuseppe Genna e Simone Sarasso
Doveva essere un’intervista. È diventato un faccia a faccia. Mi era stato chiesto d’intervistare l’autore di Hitler, il best seller recentemente uscito per Mondadori. Io sono andato a caccia dell’uomo che mi ha insegnato a scrivere.
Lo dico da una vita: senza i libri di Giuseppe Genna, non avrei mai scritto i miei.
Senza la quadrilogia di Lopez (Catrame, Nel nome di Ishmael, Non toccare la pelle del drago, Grande madre rossa) non mi sarei mai interessato al noir, non avrei mai letto Ellroy, non avrei scoperto un mondo.
Vediamo, dunque, di partire proprio da lì. Da dove tutto è nato.
SS: Giuseppe, da tempo dici di aver abbandonato il noir e il thriller. I tuoi libri sono altro, adesso. La gabbia narrativa del genere è esplosa, è esorbitata, si è espansa. Da L’anno Luce a Hitler c’è un’abisso.
La distanza stilistico-concettuale delle tue ultime creature dalle prime è siderale.
Ti seguo da anni, da anni ti studio e so come è avvenuta quest’ultima evoluzione. Quello che non so, che mi chiedo da sempre, è come tu abbia avuto l’intuizione per scrivere i tuoi primi quattro libri.
Non esisteva niente del genere in Italia, prima. Nessuno faceva controinformazione a quel modo. C’erano in giro parecchi protagonisti “sporchi” e politicamente scorretti, ma nessuno aveva un narratore così cattivo.
Come è nata quella magia?
GG: Detto che per me non è una magia, e che considero la quadrilogia di Lopez sotto lo sguardo di certe poetiche che mi interessano ora, va detto che ad altezza della scrittura di Catrame, almeno in Italia, la tradizione del giallo e del thriller e del noir era considerata e praticata contraddittoriamente. Esisteva poi una situazione che era quella dell’attualità sociale e politica, con una rimozione pressoché assoluta della continuità storica tra certi eventi e svolte di un Paese addormentato. Questo, da un lato.
Dall’altro lato, c’era per me un’evidenza della presa di piede di un protocollo che concerneva un cattivo immaginario, a mio parere automaticamente derivante dalla sottocultura a cui l’Italia si era esposta – e intendo il protocollo della paranoia, estetizzato con suspence sempre più frequentemente utilizzata nella fiction cinematografica e televisiva. Qualcosa che in America era già decaduto e che preludeva a una rinascita del romanzo storico. Dal punto di vista del confronto con la poetica, c’era un problema che per me era devastante, e cioè l’idea critica di “contaminazione” tra i generi, un residuo postmoderno scaduto come si dice che un alimento è scaduto, e i risultati che eiettava spettacolarmente (penso alla stagione dei Cannibali) erano non soltanto scaduti a priori, ma anche letterariamente scadenti (a parte Woobinda di Aldo Nove, che però è poesia, non narrativa). Si trattava di un conato di reviviscenza della Neoavanguardia storica, che a mio parere ha un torto gravissimo nella dialettica che ha imposto in questa sua esasperante sopravvivenza: l’annullamento della narrazione popolare.
Inoltre c’era il problema che sollevi tu: la necessità che la controinformazione non paranoide, ma basata su studi documentali, si trasformasse in materia di narrazione storica, e venisse metabolizzata dalla letteratura.
In tutto ciò, lo sfondo critico, che ai tempi era pesante e adesso, nel giro di un decennio, si è ridotto all’altezza che merita. L’Italia soffre di nanismo critico, di un’attenzione viscerale e ciecamente specialistica alla propria tradizione, intesa soprattutto come lingua di superficie e in particolare come sguardo sullo stile, di derivazione continiana. Perfino in poesia, l’erede di questo approccio stilistico, cioè Mengaldo, nella sua antologia poetica del Novecento italiano esclude Cesare Pavese, e si capisce perché – è il poeta che utilizza un ritmo che cerca di sfondare il petrarchismo e apre alla narrazione, diventando popolare (Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è il libro di poesia italiana più acquistato e letto degli ultimi trent’anni di editoria di settore e Pavese è uno dei pochi italiani moderni tradotti ovunque all’estero). Questo, il quadro.
Per quanto concerne la scrittura del mio primo noir, si è trattato di una casualità. Mio padre amava svisceratamente Maigret, aveva letto Simenon (anche i romanzi non di genere) più volte, e io volevo fargli un regalo: un piccolo giallo senza pretese che aggiornasse la figura di Maigret e la collocasse nella zona in cui sono cresciuto e mio padre viveva a quei tempi. Avendo studiato i 19 (19...) volumi degli Atti della Commissione Parlamentare sulla P2, privi di indice analitico e sigillati dall’”eroica” Tina Anselmi con una relazione di 36 (36...) pagine, disponevo di una visione circa il ruolo non solo di Gelli, ma delle radici che Gelli ha incarnato nel Dopoguerra italiano. Si tratta di una scansione della nostra storia che coincide con quella della “sovranità limitata” fornita dal giudice Salvini nella sua accusa sui fatti di Piazza Fontana. E’ una visione che differisce dallo scontro semplicistico tra estrema destra, estrema sinistra e apparati dello Stato, con influenza della Cia e di altri organismi. Viene alla luce il ruolo di certe tecnocrazie, embricate in Italia, la nazione chiave per comprendere la Guerra Fredda. A questo si aggiunga l’inesausta aggressione inglese al Vaticano e, dunque, all’Italia stessa, a partire dall’immediato Dopoguerra, quando il nostro Paese non disponeva di servizi segreti propri, sostituiti da quelli inglesi (De Lutiis, eccelso storico della materia, è molto preciso su questo punto). In Catrame non esiste davvero un’influenza letteraria esterna. Ellroy mi ha piegato polso e immaginario successivamente, quando c’è stato da affrontare il caso Mattei, inserendolo in una continuità che conduce al nostro presente. In quegli anni cresceva un fronte narrativo anti-postmoderno, di cui i frutti sono assai visibili oggi. Faccio il nome di Evangelisti e Wu Ming su tutti, perché è grazie a loro che l’idea stessa dei sottogeneri (il genere è il romanzo: non esistono romanzi di genere) è saltata, verso la conquista di un’affabulazione allegorica, che reinstalla l’idea di un’etica interna alla scrittura. Il bilancio, che è però anche una profezia, è fatto nel saggio di Wu Ming 1 sul New Italian Epic.
SS: Se nella concezione della mia trilogia ho immaginato uno scenario occulto per il paese degli ultimi cinquant’anni, lo devo a te. Alcune delle intuizioni fondamentali dei miei romanzi sono rielaborazioni di suggestioni che tu hai disseminato nei tuoi.
Una su tutte, su cui si basa l’architettura intera della mia opera: la presenza sul suolo italico di un’organizzazione (militare e di intelligence) col compito di intervenire (anche militarmente) in caso di pericolo rosso (il che significa anche in caso di vittoria democratica delle sinistre).
La mia Ultor è in un certo senso la trasfigurazione della tua Ishmael, ed entrambe sono belle copie di Gladio.
Entrambi abbiamo studiato gli stessi documenti, ma è come se tu fossi riuscito, nei tuoi libri, a prevedere degli assetti geopolitici che si sarebbero configurati solo dieci anni dopo (penso allo strapotere cinese di cui parli nel Drago o alle strutture “federali” di intelligence a livello europeo di Grande madre rossa). Da dove viene tanta lungimiranza? Come fai a vedere così lontano? C’entrano i tuoi contatti coi Servizi ai tempi dell’esperienza di consulente alla Camera? E, questione che mi pare ancora più nodale in termini letterari: come si trasforma il nudo dato storico (politico, economico, militare) in letteratura di gran classe?
Fino a che punto è lecito forzare il reale a fini narrativi?
GG: Comincio dall’ultima domanda, che per me è decisiva in termini poetici e non soltanto. Ho una posizione personale, in merito, che desidererei fosse chiara: non è apodittica e non intende proporsi come una verità estensibile ad altri che a me.
A mio parere la realtà è allucinatoria. La realtà è sempre percepita e la percezione è, per ogni branca della neuroscienza, un meccanismo allucinatorio apparentemente stabile e coerente, ma in realtà discontinuo. In questo senso, non guardo all’epos, ma a più che l’epos: guardo alla costituzione psichica totale dell’umano. Mi allineo a una tradizione che nella modernità va da Walser a Kafka a Eliot e Celan, passando per Stevens, e culminando con Burroughs. E’ dalla meditazione sulla struttura allucinogena della percezione di realtà che io desumo la possibilità – anzi, per mio conto, la necessità – di allargare il dato allucinatorio, esaltando la discontinuità. Di qui: allegorie che puntano al “fuori” dello stampo umano, ucronie, discronie, visioni da stress post-traumatico che nascondono traumi dietro altri traumi. Il problema è rendere tutto ciò in narrazione che sia leggibile e popolare.
Non è che io abbia una sfera in cui guardi e preveda il futuro. La geopolitica è una disciplina che studio intensamente e si tratta di una scienza molto dinamica, strapiena di variabili, le cui linee generali però si muovono con modalità abbastanza chiare e incontestabili. Quando scrissi Ishmael, l’editore mi chiese perché, anziché Berlino, ambientassi parte della storia ad Amburgo. Poco dopo accaddero i fatti dell’11 settembre e le indagini su Mohammed Atta condussero ad Amburgo.
Se certe cose non si studiano, non si sanno.
Esistono intercettazioni telefoniche di Atta dall’Afghanistan, pubblicate ai tempi su “Panorama”, in cui Atta si lamenta dell’intrusione massiva di questi “ingegneri cinesi”. Tra l’altro, bisogna dire che anticipare in questo modo alcuni movimenti della realtà conduce sicuramente a un insuccesso editoriale.
Penso a due elementi: la scena dei cinesi cadaveri nel container freezer che apre Gomorra di Saviano sta nel mio Drago; Rampini di altro non scrive che di cose che stanno tutte in quel thriller. Non lo sottolineo per narcisismo, dico solo che ci sono momenti in cui certe cose hanno ricezione; se anticipi troppo non puoi poi lamentarti del fatto che queste cose penetrino a stento in ottomila lettori. Si tratta, però, di un elemento secondario, perché è la narrazione di storie aperte che per me è fondamentale.
Quanto a Ultor, trovo una differenza fondamentale con Ishmael.
Ishmael è un nome che evoca un elemento metafisico, oltreché biblico e coranico, quindi religioso. Ishmael osserva e rimanda all’incombere del bianco accecante della balena di Melville, quella tinta che, citando da Agostino, nel capitolo 42 di Moby Dick è definita “cosmetico spirituale”. Per me il movimento di intelligence, che è una costante storica umana in quanto lo è quintessenzialmente di quella potenza extraumana che si incarna nelle strutture di potere (questa lettura è di Burroughs, non mia), è sempre un movimento metafisico: è la scimmia di Dio, che crede in un Dio inesistente e lo imita, proiettandolo. In Assalto tentavo di accostare l’ordine del Cristo ai suoi apostoli al mandato centrale di ogni intelligence. Non si tratta di controllo mentale, sociale e politico: è l’accesso alla pratica metafisica che viene interdetto, in nome di una conquista religiosa – e non è detto che la religione sappia indurre a pratiche metafisiche, come dimostra il cattolicesimo moderno e contemporaneo.
SS: La punta di diamante della tua narrativa credo che sia la transmedialità. Quello che alla prima lettura di Ishmael mi colpì fu la commistione di linguaggi e di suggestioni. Lopez parla come un divo di Hollywood, vive in una Milano nera peggio di Liberty City, indaga senza scrupoli come Kemper Boyd. Eppure guarda le architetture come lo farebbe Renzo Piano. Il narratore che lo accompagna trascende il linguaggio da strada per esprimere lirismi à la De Lillo, ripiomba nelle più crude bassezze ellroyane e discerta di equilibri planetari come il compianto Sbancor.
Ancora una volta (per quanto il quesito sia banale), come ci riesci? In secundis, qual è la valenza narrativa di questo maelstrom di punti di vista? È necessario forzare la gabbia del genere per “andare fino in fondo”?
GG: Tu, in Confine di Stato hai forzato la gabbia fino in fondo. Il problema sta a monte: esiste una gabbia? Per me no. I generi sono metriche e retoriche che si sono cristallizzate in prosodie prevedibili e in stilemi svuotati psichicamente. Il problema centrale è l’affabulazione. Direi che tutto ciò che dici è riassumibile in questo movimento: Lopez non è un personaggio psichicamente coerente. Ma è proprio l’idea che la psiche e la psicologia siano un dato definitivo, idea primonovecentesca ed eminentemente borghese, ciò che io vedo come avversario poetico. La poetica di Piperno, per esempio, è tutta intrisa di questa convinzione laicista, ma per me non radicale e non all’altezza di quanto un intellettuale deve fare nel momento in cui è immerso nel tempo e cerca di scardinarlo. Sono poetiche differenti, ognuna con piena legittimità di esistenza. Il successo della poetica neoborghese, quella alla Piperno, è spiegabile attraverso un meccanismo di identificazione e di mimesi in scala 1:1. Io non cerco quella mimesi e non cerco quell’identificazione: cerco un’identificazione altra. Se la letteratura scatta, e questo lo determina esclusivamente il tempo, l’identificazione avviene con qualunque visione, poiché accade istantaneamente nella percezione della fabula.
Sarei curioso di conoscere la tua opinione. Per come tratti i personaggi, la psicologia ha un ruolo molto importante per te, eppure esiste una totale diffrazione che è data dagli eventi e dalle strutture mobili che metti in campo. La tua rappresentazione letteraria è per me un’osmosi di interiorità sbilanciata dall’esterno. Così stabilisci una continuità discontinua tra personaggio e mondo, tra storia e mito. Tu come la vedi?
SS: Per quanto mi riguarda, occorre fare dei distinguo. Tra quello che ho scritto in principio (Confine di Stato), quello che ho scritto dopo (United We Stand) e quello che sto scrivendo ora (Settanta, il seguito di CDS).
Inerentemente a CDS, credo che tu ci abbia preso. I personaggi sono psicologicamente caratterizzati ma estremizzati nella loro eccessiva bidimensionalità. Ecco perché gli eventi (le strutture mobili di cui dici tu) li mettono così a dura prova. La mimesi non è completa. Quello che voglio è raccontare una storia, fare controinformazione. Per farlo uso marionette pavloviane, Big Jim senz’anima, a scatto fisso. Sono tutti dei duri, a parte Trama che è il weird. Ma, seppur weird, agisce come una marionetta (esattamente come gli altri).
Mi interessa l’impatto dinamico della storia contro la massa statica dei personaggi bidimensionali.
Questo perché, io, un po’ le gabbie me le sento addosso.
Con una gran voglia di sventrarle, beninteso. E allora in un romanzo è cosa buona e giusta far agire i personaggi in maniera fumettistica.
Simile e inverso di segno è il discorso per UWS. Proprio perché si tratta di fumetto, il suo ancoramento al reale deve essere mostruoso, fuori misura. Iperrealismo visivo (immagini quasi fotografiche), personaggi ultra caratterizzati (nessuno assomiglia a nessuno) e secondo livello mediatico (il sito, con i vari racconti tangenziali, i giornali fake che informano sull’andamento del mondo sotto minaccia nucleare, le voci in presa diretta dei sopravvissuti all’assedio) per rendere la faccenda il meno fumettistica possibile.
Anche qui, una gabbia che salta. E i personaggi (anche qui pavloviani, anche se “inversamente pavloviani”, rispetto all’accezione di cui si diceva prima) che agiscono di conseguenza.
Differente la prospettiva per Settanta. Qui il punto di vista cambia. Il mondo reale non è più così reale. Il narratore affabula, inventa, crea (finalmente) un universo, che non è più così simile a quello in cui viviamo o abbiamo vissuto.
E i personaggi in quell’universo maturano, evolvono, mutano, si caratterizzano. Finalmente liberati dal riflesso pavloviano. Credo che Settanta segnerà un’evoluzione stilistica nel mio lavoro.
GG: Ecco, questa consapevolezza che sembra calcolare e invece non calcola affatto, ma realizza mentre crea la forma, mi pare un elemento distintivo di chiunque sia emerso da quei sottogeneri del romanzo che sono thriller, noir, fantascienza (includerei anche il “rosa”, che è una mia vecchia tentazione provare a sperimentare). Qui mi occorre farti una domanda, che pertiene l’intimo del momento letterario. Io sono assai spaventato dall’idea che le poetiche, le intenzioni, si mangino l’esito testuale. Sono certamente convinto che in ogni caso un’eccedenza del testo ci sarà, ma ravvedo in tanta narrativa di oggi questa tentazione algebrica, che in parte è dovuta a un sindrome di controllo interno da parte dello scrittore e in parte è dovuta a un cedimento davanti a supposte richieste di mercato della fabula. E’ ironico che, scrivendo di strutture di controllo politico o super-politico, mi pare che entrambi abbiamo anzitutto da superare un controllo interno. E, per quanto ironico, c’è il fatto che nei tuoi libri la materia sostanziale, quintessenziale è il mistero. C’è una frizione tra la sostanza ubiquitaria, che è mistero, e qualunque paradigma di controllo emerga: questo, secondo me, sia nel romanzo sia nel fumetto, crea l’affabulazione che è la tua cifra. Tu avverti questi “confini di stato”?
SS: Sicuramente so che storie voglio raccontare, e qui i casi sono due.
O parlo del passato, dove l’abbrivio è dato dal “nudo fatto” e solo successivamente entrano in gioco caratterizzazioni, distorsioni e interpretazioni volte ad affabulare.
O immagino il futuro, e qui la sponda documentale è ovviamente inesistente. Dunque uso il cinema apocalittico paranoide (l’antesignano di quello che citavi tu prima, che ha negli anni Ottanta di War Games, Alba Rossa e Sindrome cinese la sua età dell’oro) per rendere l’affabulazione sostenibile da un punto di vista narrativo.
In entrambi i casi non c’è il vantaggio della pagina bianca. L’appoggiare le proprie costruzioni narrative su qualcosa d’altro mette in gioco quel paradigma del controllo a cui fai riferimento.
In molta letteratura italiana contemporanea la preoccupazione per il suddetto paradigma è eccessivamente presente. E talvolta gli esiti narrativi dei “preoccupati” sono rigidi, i prodotti “forzati”, poco leggibili. Il rischio di rimanere impigliati nella rete dell’eccessiva coerenza c’è.
Tuttavia, più s’impara il mestiere, più è naturale sentir meno il peso del “materiale d’appoggio”.
Pensa ad esempio a Stella del mattino di Wu Ming 4 o al tuo Hitler. L’ancora documentale è leggera e sfuggente, al punto che siamo ancora qui a discutere se Hitler possa o non possa definirsi romanzo.
Se s’impara bene a gestire la cosa (tu e i Ming avete imparato da un pezzo, io ci sto ancora lavorando), i generi smettono di essere un problema e l’affabulazione (anche quella che ruota vorticosamente intorno al “mistero”) è scorrevole.
GG: Da questa prospettiva che enunci, e che io condivido pienamente, si apre la possibilità di una indifferenza di fondo nella trattazione di passato e futuro, poiché automaticamente convergono sul presente. Questa possibilità è data dall’allegoria. Il fatto di appoggiarsi a “qualcos’altro”, come dici tu, apre a retoriche di distorsione a partire proprio dall’elemento di appoggio. Se questo è posto nel passato, si distorce per far rimbalzare la visione su presente e futuro; se l’appoggio è collocato nel futuro, immediatamente ha un effetto retroattivo e raggiunge, come un arco voltaico elettrico, il nostro tempo e radici antiche del nostro tempo. E’ il concetto di romanzo metastorico che Wu Ming 1 ha fenomenologizzato nel suo saggio sul New Italian Epic: in realtà il romanzo è sempre talmente storico, che è metastorico, altrimenti sarebbe un saggio di passatistica o un trattato di futuristica. E’ la finzione allegorica a creare l’elemento metastorico: il fatto che il racconto significhi altro oltre l’immagine e la storia raccontate...
SS: A proposito del New Italian Epic (si veda, in merito, il saggio di WM1, recentemente presentato su Repubblica e scaricabile da www.carmillaonline.com): Roberto (Bui, a.k.a WM1) ha iscritto Grande Madre Rossa a pieno titolo nel filone di cui ha delineato le caratteristiche nel suo saggio. Io credo che ci abbia preso in pieno. Ma credo anche che le tue ultime produzioni (Hitler in testa) siano altrettanto includibili nella categorizzazione. Che ne pensi? Quali sono state le derive più meramente epiche del tuo lavoro e come hanno influenzato la tua produzione?
GG: Posso dire questo: il testo ha un’eccedenza rispetto alle intenzioni. Se WM1 ravvede in quell’incipit il movimento che descrive, riunisce l’esito letterario alle mie intenzioni: io intendevo fare proprio quella cosa che in New Italian Epic viene così filologicamente fenomenologizzata.
Hitler in sé è un romanzo che non lo è. Lì io tento una cosa che davvero non so se mi è riuscita: le critiche arrivatemi addosso, gli argomenti utilizzati per dire che il libro fa schifo tenderebbero a confermare che l’operazione è riuscita. Ma lo dirà il tempo. In questo caso, io adotto definitivamente la radice metafisica come nucleo sorgivo di un epos possibile: il mito storico e immaginario di Hitler crolla se e solo se si sa e si sperimenta l’elemento metafisico, che è semplicemente la sensazione concreta di essere presenti mentre una cosa accade. Questa sensazione non è allucinatoria: è essa che vede la percezione, la quale è instabile. L’elemento metafisico esige certe retoriche: la tragedia non poteva utilizzare altra lingua, altra struttura, per esaltare l’implicito che non ha linguaggio. Queste retoriche sono abbandonate dalla modernità. Tale abbandono pone per me un quesito fondamentale: l’abbandono avviene col romanzo, che quindi è adatto a incarnare la potenza tragica? Sto con Aristotele, che, nella Poetica, dice semplicemente che Omero non scriveva ditirambi, istituendo una continuità tra epica e potenza tragica (e, in effetti, l’epica mi pare un assommarsi di tragedie incollate tra loro secondo un magistrale protocollo narrativo)? La tragedia si fonda su un vuoto, per quanto concerne me – quel vuoto non si può dire, ma vi si può infinitamente alludere. L’infinità delle allusioni a quel vuoto, che non è soltanto umano, ma non rappresenta alcuna forma superumana o extraumana, è direttamente l’infinità delle storie.
Su questo punto vorrei interrogarti. Tu fornisci una fortissima transmedialità (non nel senso da te conferito prima all’interno di un romanzo) alle storie che scrivi: trapassi dalla letteratura al fumetto al video al fotoromanzo. Quale filo tiene assieme tutte queste manifestazioni rappresentative? E’ la storia? Di cosa è fatta la storia raccontata, e quindi prima immaginata, per te? E’ una questione che mi affascina, perché il tuo lavoro esplode mantenendosi compatto, è coerente pur deflagrando e mi chiedo come fai, quale sia l’elemento subliminale che tiene tutto assieme...
SS: Credo che alla base di tutto, ancora una volta, stiano i personaggi. Sterling è assoluto, transgenerazionale, ultraversatile. Difficilmente me ne libererò. Più facilmente lo riciclerò all’infinito, tritandolo in plurime versioni, stravolgendolo, reinventandolo. Esattamente come si fa coi comics d’oltreoceano da un sacco di tempo (qui in Italia no. Tutti i Bonelli sono cloni di Tex. E l’immobilismo li affligge come un cancro).
Allo stesso modo, sulla strada, ho trovato altri personaggi. Il più delle volte elaborati sullo schema di personaggi storici (vedi il mio Ettore Brivido, così simile al duro della Comasina), altre volte nati per caso (il gangster paffuto che interpreto in Ruby Soho, il fotoromanzo attualmente in produzione, è nato per caso, anni fa, a una festa in maschera. Da semplice feticcio volto a farsi quattro risate, ha preso corpo).
Il medium non è così importante. Sono importanti le storie e ancor di più i character. Questo, credo, dà la compattezza che dici al mio lavoro. Più ancora della Storia o delle storie.
GG: Metti in luce una lingua sotto la lingua, in realtà: è la lingua di un incantamento, che ovviamente esige forme, immagini, sagome per concretizzarsi. I movimenti del personaggio, leggendoti, mi sembrano ancora più importanti del personaggio, e lo sfondo in cui si possono percepire questi movimenti, ancora di più. Credo che la tendenza alla centratura sul personaggio, per come la pratichi tu, cioè scardinando la psicologia, utilizzando la bidimensionalità o lo stridio tra registri e piattaforme, preluda ad abnormi e inaspettati mutazioni della tua scrittura...
SS: Credo che queste righe siano l’analisi più efficace del mio lavoro da quando l’ho iniziato. Hai colto nel segno: sono più interessato ai fatti che hai personaggi, ma è proprio questo estremo interesse all’andamento delle cose che me li fa caratterizzare in maniera così particolareggiata nel nuovo romanzo.
Sperimentando la bidimensionalità dei character in Confine di Stato ho capito di avere in mano un medium insufficiente per raccontare veramente le storie che voglio.
Entrare nella testa del personaggio (meglio se storico), stravolgerlo, presupporne la psicologia, metterlo in moto secondo dinamiche estremamente plausibili, permette alla materia documentale di esorbitare. La narrazione non assomiglia più alla nuda cronaca, si compie in parte quella partecipazione diretta di cui hai detto a proposito di Hitler, si catapulta il lettore in mezzo agli eventi.
Così vorrei che fosse Settanta. La strada per arrivare a tali esiti passa sicuramente attraverso i personaggi e la lingua (specialmente quella parlata dai personaggi stessi). È lì che sto lavorando duramente. È lì che sto modificando il mio modo di narrare.
SS: Voglio chiudere con un quesito speculare a quello con cui abbiamo aperto questa chiacchierata. Il tuo abbandono del noir è ormai conclamato. Con grande rammarico dei tuoi lettori, io in testa.
Per mantenere accesa la speranza, tuttavia, mi chiedo se questa defezione includa definitivamente anche Guido Lopez, il protagonista dei tuoi libri che amo di più.
Mi chiedo se mai tornerà (mutato e stravolto, perché no? In ottemperanza a quella “reversibilità” dei personaggi che propugno a spada tratta in ciò che scrivo, per esempio) in qualcosa di tuo. E se mai tornerai a occuparti di intelligence come facevi un tempo (già nel Dies Irae la prospettiva non era più la stessa, ne converrai) Spero proprio di sì. Noi lettori sentiamo una gran mancanza di quelle parole.
GG: Hai sicuramente intercettato l’obbiettivo del mio lavoro a venire. Io mi sposterò sul futuro. Non so quando e dove mi sarà concesso dal punto di vista editoriale, ma ciò che intendo fare è prendere il futuro immediato, cercare l’allegoria che mette in stato allegorico anche il passato e soprattutto il nostro presente. Ho da anni in testa una trilogia particolare. Qui è previsto il ritorno di Lopez, in forma di una reincarnazione passata di uno dei personaggi. Già oggi esiste una continuità di Lopez: in realtà Lopez c’è in Dies Irae, anche se non si capisce che è lui.
Perché io ho smesso di scrivere thriller con Lopez protagonista? Per stanchezza, anzitutto. Perfino l’assenza di psicologia è psicologica. E’ un meccanismo che, con una profondità abissale, Pasolini mette sotto fuoco in Petrolio, nella scena del “Pratone della Casilina”: venti e passa pagine dove il protagonista, diventato donna, soddisfa oralmente giovani borgatari. Una ripetizione che varia nelle figurazioni, ma angosciantissima in quanto lugubre e profetica della serialità. Io non tollero la serialità. Per cui, detto che esiste un inedito che ha Lopez come protagonista (non so se e quando e quali editori lo stamperanno), io sogno l’annullamento di Lopez così come sogno l’annullamento non del noir o del thriller, ma del mio noir, del mio thriller.
Oggi occuparsi di intelligence nella narrazione è controproducente. Esiste una vastissima letteratura saggistica, sdoganata e fiorita a partire dall’11 settembre. Non funziona più l’allegorema, utilizzando l’intelligence. Poiché la situazione si è spostata: si è spostata nel futuro. La situazione geopolitica per molti anni, a meno che non intervenga il collasso climatico che stiamo imponendo al pianeta, sarà questa: tentativo dell’Occidente di conquistare la cosiddetta “corona” di Paesi ai confini della Cina; mossa sul mercato da parte dei Cinesi; variabile russa che l’Occidente tenterà di conquistare alla sua causa; petrolio contro grano e riso, quale risposta della Corona inglese che non dispone del controllo della produzione petrolifera e reagisce con movimenti speculativi grazie al controllo sul cartello agroalimentare; tentativo di sistemazione del Medio Oriente, soprattutto facendo leva sulla Turchia, che sta per tagliare le risorse idriche che giungono a Israele; tentativo di creazione di un grande Stato dato alla Umma, al radicalismo islamico; definitivo attacco dell’Occidente, mosso da Londra, al cattolicesimo, che già da ora è finito, si è protestantizzato. Ora, i riflessi in Italia delle operazioni di intelligence che ci attendono sono marginali, periferici. Sicuramente non permettono l’allegoria. Che, dico, si sposta più avanti – in un altro genere letterario che, per l’appunto, mi interessa molto. Quando dico che la geopolitica si farà altrove, intendo proprio un altrove che non sta qui.
Perciò quanto devo fare è collocare l’allegoria in uno spazio fisico per significare una tensione al percorso metafisico, che nulla ha a che vedere con la religione. Il futuro, per me, è Kubrick. Spero che i lettori accettino lo scambio.